giovedì 30 maggio 2019

Vi presento Toni Erdmann (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 17/07/2018 Qui - Spesso tendiamo a prendere troppo sul serio la nostra vita, perdendo di vista il lato più bello dell'esistenza: il bisogno di emozioni, leggerezza, di prendersi del tempo per pensare a se stessi e reinventarsi per trovare quella sensazione di cui tutti sono in cerca, la felicità. Come ad esempio emerge dal complicato ma tenero rapporto di una giovane donna manager, dedita solo al successo e alla carriera, con l'eccentrico padre in Vi presento Toni Erdmann (Toni Erdmann), film del 2016 diretto da Maren Ade. Quest'ultimo infatti fa di tutto per farle tornare il senso dell'umorismo e la leggerezza della vita, e recuperare altresì il tempo perduto nel legame affettivo con la figlia. Come? Giocandosi l'unica carta che gli rimane a disposizione, lo sberleffo, impersonando e quindi assumendo l'identità del proprio alter ego Toni Erdmann. Peccato che il finale lasciato alla libera interpretazione, non spiega se padre e figlia abbiano finalmente allacciato un rapporto oppure no. Peccato anche che, il messaggio simpatico e carino del bisogno di prendersi meno sul serio rinunciando talvolta al conformismo, non porti da nessuna parte. Peccato altresì che il film, disseminato di scene dell'assurdo alquanto inutili e sconclusionate, non riesca a coinvolgere appieno nell'intento critico alla disumanizzazione dei rapporti di lavoro all'interno delle multinazionali. Peccato soprattutto che il grottesco padre non sia mai divertente ma solo inutilmente imbarazzante. Non dimenticando che il film, proprio ridere o sorridere tanto non fa e forse non vorrebbe, perché il suddetto, è tutto fumo e niente arrosto. Si ride, è vero, ma le situazioni che lasciano spazio alla comicità sono parecchio diluite all'interno delle due ore e mezza del film, il quale alla fine risulta maggiormente incentrato sugli sguardi e sul non detto. Ma questo accade perché dopotutto non vi è molto da dire: l'ambiente di lavoro di Ines, dedito al maschilismo e alla freddezza dei rapporti umani, non viene mai realmente approfondito, come del resto era nelle intenzioni della stessa regista. Regista che avrebbe forse dovuto girare una pellicola drammatica, perché l'intento del regista di dare largo spazio anche alla commedia, non sempre funziona come previsto, ed è parecchio deludente.
Infatti, a dispetto della trama e delle recensioni entusiastiche, il film non è affatto scoppiettante, unico od esilarante, di quanto ci si aspettasse. In tal senso aver definito Vi presento Toni Erdmann "un trionfo di risate" non è solo fuorviante, ma completamente falso, perché il tono fondamentale del film è la malinconia, e proprio le scene in cui apparentemente più si spinge il pedale del "comico", in realtà del grottesco, sono le più tristi, volutamente le più tristi quando non angoscianti. Ma questo ovviamente non è un problema, come non sarebbe un problema la lunghezza fuori misura, non fosse che tale lunghezza è per gran parte il risultato di una somma di sequenze di cui si fa fatica a comprendere il senso, se non quello di espandere una trama in sé piuttosto esile in direzioni diverse. Inoltre, l'impianto narrativo nelle mani della regista rimane giustapposto senza mai riuscire a fondersi in una commedia di denuncia che dovrebbe essere brillante nelle intenzioni ma che si rivela mortifera e interminabile. Difficile immaginare infatti un film più stucchevole, noioso e privo di interesse di questo. Tanto che proprio non si riesce a capire quale sia la molla che spinge a realizzare film così noiosi e spenti. Così tanto che proprio non mi spiego come abbia fatto questo sgangherato film, presentato in concorso al Festival di Cannes 2016, ad ottenere una nomination agli Oscar per la categoria Miglior film straniero nel 2017. Proprio perché tutt'altro che incisivo, sorprendente o coraggioso, esso rimane in un campo neutrale dove, per ben 2 ore e quaranta, lo spettatore naviga a vista non trovando l'agognata "isola" salvatrice a cui aggrapparsi per giustificare tutto il tempo dedicato alla visione di questa tediosa, esasperante pellicola, di cui storia quasi sicuramente, poteva essere raccontata in un'ora. Certamente esso riesce nell'intento di non risultare "didascalico" (almeno questo), di certo restano ben descritti i meccanismi e i rapporti che regolano corporation, lobby di potere e di denaro nei quali la componente umana è considerata a livello zero se non produce performance e guadagni (Ines ne fa parte e ha una posizione rilevante, per quanto possa trovare un terreno di confronto con il padre eterno ribelle fuori tempo massimo saprà trarne qualche insegnamento?), ma nell'eccessiva ricerca di non strafare, si perde in mille rivoli di pseudo-autorialità.
Se da una parte infatti troviamo qualche buona idea in termini di battute, dall'altra notiamo che per la maggior parte del tempo il compito di suscitare risate viene lasciato solo ai travestimenti di un uomo (interpretato dal Peter Simonischek della mediocre saga Ruby Red) il cui passato e il presente sono piuttosto ambigui e di lui sappiamo ben poco, se non che ama scherzare su tutto. Questo è un elemento che a lungo andare però stanca e non aggiunge nulla al film. Il personaggio principale, o almeno quello che dovrebbe esserlo, non è caratterizzato bene e infatti sin dal principio non si comprende il suo effettivo ruolo nella vicenda, almeno fino a quando essa non prende forma piena. Un aspetto che lascia un po' perplesso lo spettatore è proprio il fatto che risulta difficile capire chi sia il reale protagonista della storia. Se dal titolo è facile dedurre che possa essere lo stesso Toni Erdmann, nel corso degli eventi vedremo che spesso il suo personaggio scompare per dare spazio a quello della donna in carriera, la figlia. Da questo insomma si evince che Maren Ade abbia voluto concentrarsi sulla vita lavorativa di lei per evidenziare quanto la donna avesse bisogno di un cambiamento radicale nella propria vita e motivare così le assidue e assurde trasformazioni del padre. Da una parte vediamo un uomo che pare essere "affetto" dalla sindrome di Peter Pan, dall'altra una giovane che non riesce a lasciarsi andare. Una contrapposizione che alla fine aiuterà comunque il pubblico a capire quanto possa essere forte l'amore di un padre per la propria figlia, che non solo è disposto a rendersi ridicolo agli occhi di tutti, ma riesce anche a farle comprendere l'unicità della vita e l'importanza di viverla appieno senza farsi mancare nulla. Tuttavia il tema dell'incapacità di comunicare tra padre e figlia poteva essere trattato e svolto in modo ben diverso, con una profondità che qui manca. Altro tema fondamentale è la rilevanza che ha la possibilità di avere un lavoro fisso e cosa si è disposti a fare per mantenerlo. Il film mostra anche qualche scena di forte impatto emotivo (poche) sul finale, ma anche una scena gratuita e disgustosa (completamente inutile a parer mio) di (non) sesso fra Ines e un suo amico, non dimenticando il grottesco scherzo del compleanno "nudista".
Certamente non si può dire che il lungometraggio sia prevedibile, anche perché, appunto, è difficile comprendere del tutto dove voglia andare a parare inizialmente. Ma Vi presento Toni Erdmann, un film che gioca molto sui silenzi (la colonna sonora è assente), sull'espressività e sui non detti dei protagonisti, in tal senso essi si salvano, giacché sull'interpretazione si può dire che Peter Simonischek e la bella Sandra Hüller (che con la sua interpretazione e la sua bellezza tiene insieme un film sgangherato) sono molto credibili e recitano con la giusta profondità i loro ruoli, è un film, non solo non del tutto riuscito, ma mediocre. Perché a mio modesto modo di vedere l'idea del film era buona ma nonostante questo è stata sviluppata in maniera superficiale e mediocre. Eppure il tema del rapporto padre-figlia (qui comunque espresso con una carrellata di cliché tutti puntati sul "logorio della vita moderna"), che il film si prefiggeva, era suscettibile di ben altri sviluppi (ma la Maren Ade evidentemente non aveva nulla da dire, dopotutto a mancare è la cifra stilistica), eppure qualche scena molto riuscita espressivamente c'è (la protagonista che canta una struggente canzone di Amy Winehouse, l'enigmatico ma significativo scena dell'abbraccio), e certamente intenso è l'aspetto umano (molto meno quello "politico", che non va oltre gli stereotipi e smarrisce quella capacità introspettiva che è il pregio maggiore di un'opera sicuramente interessante tuttavia non riuscita), ma pause infinite vuote di senso, temi accennati e poi lasciati cadere (anche il tema della denuncia sociale rimane a galleggiare in superficie) non aiutano alla riuscita di un film che forse evitando certe soluzioni di cattivo gusto e approfondendo meglio certi aspetti, sarebbe risultato quantomeno migliore. È certamente anche un film che poteva durare meno (le 2 ore e 40 si sentono), perché in fin dei conti la confusione mentale di regia e sceneggiatura affondano il pretenzioso film (anche perché le scene sessuali, di nudità, totalmente fuori luogo hanno solo se non il puro intento scandalistico e di shock, per svegliare il pubblico dal torpore). Un film, che non lo definirei commedia, né tantomeno divertente, casomai triste e deprimente, per questo sicuramente interessante ma che in confronto a Io, Daniel Blake, è decisamente una spanna sotto. Voto: 5