giovedì 23 maggio 2019

The Autopsy of Jane Doe (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 18/05/2018 Qui - Per prima cosa va detto che, se non si è visto il film, è sconsigliabile leggere questa recensione (anche le parti senza spoiler) ed è sconsigliabile leggere qualsiasi cosa a riguardo. Sì, perché il regista e gli sceneggiatori hanno creato un film in cui, per una volta, è fondamentale l'effetto sorpresa. Se lo si vede senza avere informazioni lo si apprezza di più nel suo evolversi. Non è facile infatti inquadrare Autopsy (The Autopsy of Jane Doe), film del 2016 diretto da André Øvredal, senza rischiare un minimo di spoiler, ma si può dire che appartiene per certi versi al sottogenere dell'occulto, ma non solo. Infatti, quest'horror originale, atipico ed inquietante, in grado di garantire una buona dose di tensione e mistero che non può lasciare indifferenti, è un misto di generi diversi che vengono amalgamati abbastanza bene: di base si tratta di un horror, la trama aggiunge un carattere thriller e non manca il tono splatter, seppur pacato. Il film difatti si apre con la polizia locale che sta indagando sul massacro di tre persone in una casa nella quale le stanze presentano segni di lotta e caos: gli agenti trovano un quarto cadavere, quello di una giovane ragazza, semisepolto in cantina ed è l'elemento più enigmatico della scena in quanto, oltre a non essere identificabile, non presenta nessun tipo di ferita. Difficile stabilire le cause della morte e spetterà al coroner locale Tommy Tilden, coadiuvato dal figlio Austin, cercare di chiarire i motivi del decesso. Il tutto nel laboratorio situato nei locali sotterranei della loro casa, che è anche obitorio, durante la proverbiale notte buia e tempestosa. Inutile dire che i risultati saranno sconcertanti. Giacché il cadavere di Jane Doe (nome usato solitamente nel gergo giuridico statunitense per indicare un uomo, o in questo caso una donna, la cui reale identità è sconosciuta o va mantenuta tale) si offre ai medici, e al pubblico, come un puzzle inquietante, dove ogni particolare costruirà un quadro di solida tensione e di curiosità, in cui fra razionale e irrazionale, tutto sarà messo in discussione.
André Øvredal quindi, con l'indispensabile apporto di scenografia e fotografia, al suo primo film in lingua inglese dopo il fantasy Troll Hunter (che non ho visto), ci porta a spasso in un sotterraneo reso inquietante da specchi deformanti e un moltiplicarsi delle fonti luminose che, lungi dallo sconfiggere ombre e tenebre, le accresce. Il regista riesce infatti a costruire fin dall'inizio la giusta atmosfera, tesa e impenetrabile. Non a caso Autopsy, un intelligente e intrigante thriller/horror claustrofobico, in cui l'azione si concentra, mentre fuori divampa il classico temporale dal cliché del cinema dell'orrore, in un unico spazio: due persone, un cadavere e un obitorio, da vita ad una storia che inquieta, turba e allo stesso tempo rapisce. Il film difatti, dove appunto l'ambientazione claustrofobica convince e risulta efficace, cosi come l'atmosfera cupa e insana che pervade la storia, riesce a trasmettere disagio e a incutere timore grazie alla volontà del regista di non mostrare la minaccia, sfruttando al meglio i corridoi (in cui la bella Ophelia Lovibond nella parte della fidanzata del ragazzo avrà brutte sorprese) scarsamente illuminati dell'obitorio per celare il pericolo. Dopotutto l'obiettivo non è spaventare, quanto inquietare: non per caso ogni scena è studiata nei minimi dettagli, la presa della camera è ferma sui particolari, messi in risalto da una musica angosciante e ricca di pathos (seppur non sempre). Proprio perché il film (che fa del mistero la sua arma principale) viene gestito con sapienza dal regista che ha saputo scegliere nel modo giusto gli ingredienti giusti per rendere appetibile questo prodotto.
Un prodotto che come detto, è un misto di generi diversi che vengono amalgamati abbastanza bene, dato che la trama si sviluppa su più livelli: dall'incipit tranquillo all'autopsia di Jane Doe, passando per i fenomeni inspiegabili e terminando con l'orrore puro e la sconvolgente rivelazione finale. A tal proposito bisogna dire che la parte horror è quella che meno funziona nel complesso, fatta di Jump scare piuttosto prevedibili, visti e rivisti migliaia di volte e privi, dunque, dell'effetto sorpresa. Non si può però generalizzare, in quanto essi riescono comunque a fare presa su buona parte degli spettatori. La fortuna della pellicola risulta tuttavia essere proprio la storia che nasconde il corpo senza vita dell'anonima donna, ben costruita e imperscrutabile. Perché per quanto ci si possa sforzare durante la visione sul perché la giovane donna, attorno alla cui autopsia ruota l'intero film, sia morta o sulle cause scatenanti la terribile situazione in cui Tommy e Austin Tilden vengono a trovarsi a seguito del contatto con il cadavere, nulla aiuta a predire in qualche modo la verità dietro al mistero. Lo spettatore partecipa all'autopsia in corso e alle scoperte che mano a mano vengono fuori, le quali, con grande abilità del regista, non aiutano però ad avvicinarlo alla soluzione dell'enigma quanto, piuttosto, a porsi ancora più domande e, nel più apprezzabile dei casi, a non sapere cosa domandarsi. Lo svelamento del mistero, quindi, avviene per gradi ed è ben gestito per tutto il film e quello che si scoprirà risulterà tutt'altro che scontato. Proprio perché se per uno spettatore esperto la soluzione finale potrebbe risultare telefonata e quindi deludente, il corpo della storia, lo svolgimento narrativo che conduce i protagonisti nell'incubo e nell'oscurità più fitta è di grande livello, sia sotto il profilo horror che sotto l'aspetto investigativo della vicenda.
Non a caso i due protagonisti, interpretati da Brian Cox ed Emil Hirsch, così come il pubblico, sono soltanto delle incoscienti vittime di un gioco oscuro e maligno che li porta ad avere a che fare con un mondo ignoto, pervaso da un male che illude, inganna, che giostra a suo piacimento l'animo umano e che infine, stanco di giocare per netta superiorità, decide di colpire con estrema brutalità. In tal senso, nonostante la presenza dei due ottimi attori non credo che la qualità del prodotto sarebbe cambiata se al loro posto ci fossero stati altri due interpreti, magari meno quotati. Questa considerazione va, ancora una volta, a premiare il regista e la sua creazione. La regia risulta abbastanza fluida, mentre il ripetuto indugiare della cinepresa sugli occhi senz'anima della donna riesce a creare nella mente dello spettatore l'attesa di un minimo e impercettibile movimento da parte di quel corpo (meraviglioso corpo di Olwen Kelly) che però opera per vie diverse e ignote alla semplice percezione umana. A tal proposito, indubbiamente, la palma come personaggio più riuscito e sinistro la vince proprio il cadavere, un'enigmatica e misteriosa figura, vera forza motrice della trama come la struttura del film, in continua evoluzione. Una trama che tra scene violente (in cui il corpo viene letteralmente aperto) e scene da indagine di un film poliziesco, tiene lo spettatore col fiato sospeso per tutta la sua durata, mantenendo il ritmo sempre teso. E già questo, visti i recenti horror, non è poco.
Il regista infatti è molto abile nel disseminare, in tutta la prima parte, vari elementi perturbanti che più avanti verranno ripresi in modo efficacissimo, seppur in tal senso la seconda parte funzioni leggermente peggio, giacché si preoccupa di introdurre tutta una serie di elementi che fanno salire la tensione a tal punto che, quando l'orrore puro scoppia nella seconda parte, è meno spaventoso di quanto la prima parte facesse presumere. Questo però non vuol dire che il film crolli nella seconda metà, assolutamente. La tensione rimane (anche se diminuisce) e la scena finale è un'ottima chiusura di questo sorprendente film horror. Tuttavia non solo horror, Øvredal sottolinea difatti anche i rapporti umani, tracciando il legame che intercorre tra padre e figlio, gli unici due protagonisti (vivi) di Autopsy. Brian Cox e Emile Hirsh infatti (due personaggi che non vengono trattati come delle macchiette), mettono in scena un rapporto complesso, tra un padre stakanovista amante del proprio lavoro, al contrario del figlio, volenteroso di evadere da quell'impiego insoddisfacente ma obbligato a restare per aiutare il proprio genitore. Com'è ovvio tuttavia, nonostante tutti questi pregi, comprese appunto le ottime scenografie (anche perché i cupi corridoi della casa dei protagonisti e le carrellate che li percorrono fanno già metà del lavoro per quanto riguarda il creare la suspense) e la discreta regia, senza dimenticare le convincenti interpretazioni del cast (comprendente anche Michael McElhatton), ci sono alcune pecche, non siamo di fronte ad un titolo perfetto, ma fortunatamente le lacune non sono poi cosi gravi. Non solo in verità il prevedibile, in parte, finale (che comunque manca di mordente), ma anche i già detti jump scare, a mio parere malamente sfruttati.
Rilevanza maggiore poteva inoltre essere data alle musiche che, quando ci sono, sono inquietanti ma, purtroppo, appena abbozzate (seppur comunque una piccola nota di merito va alla canzone country che si sente più volte nel corso del film perché, in quella situazione, fa gelare il sangue). Tanto che sembra che il regista abbia avuto il freno a mano tirato per tutto il tempo, egli infatti avrebbe potuto osare di più, giacché la pellicola è povera di sangue e ha poche scene concitate, nonostante appunto un contesto che permetteva ampi margini di movimento. Ma, in definitiva, non si può che congratularsi con André Øvredal per averci regalato un piccolo diamante grezzo (tecnicamente curato e recitato degnamente, avvolgente e sottilmente raggelante, un'opera sorprendente per un regista da tenere d'occhio) su cui pochi avrebbero scommesso. The Autopsy of Jane Doe infatti, che si inserisce nell'Olimpo di piccoli capolavori come Sinister e It Follows, dove la paura dell'incognito e gli istinti primordiali (incertezza, incoscienza, sopravvivenza) diventano il motore principale su cui è costruito film, è la dimostrazione che, per fare un buon horror non serve chissà cosa ma possono andar bene anche solo pochi attori, un'unica ambientazione ed una notevole cura alla costruzione dell'atmosfera di fondo. Non aspettatevi quindi un horror di serie B costruito su un profluvio di sangue e di violenza ma un horror psicologico di ottima fattura, evocativo e terrorizzante. Un horror semplice, diretto ed efficace (un thriller/horror di qualità che mescola al meglio entrambi i generi), che aggiunge qualcosa al panorama contemporaneo, anche senza avere qualcosa di particolarmente importante da dire (ma questo non è assolutamente un problema), tuttavia assolutamente da vedere. Voto: 7