martedì 23 aprile 2019

47 metri (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 18/06/2018 Qui - Gli quali continuano ad essere tra i soggetti prediletti dell'industria cinematografica e anche questo claustrofobico thriller di ambientazione subacquea ricorre al loro immarcescibile fascino, costruendovi intorno una trama essenziale. Così tanto che prima di guardarlo ammetto che non mi aspettavo molto da 47 Metri (47 Meters Down), film del 2017 co-scritto e diretto da Johannes Roberts, mi sembrava infatti un film senza troppe pretese e invece, come accaduto lo scorso anno con Paradise Beach (da cui il film sembra quasi prendere ispirazione, soprattutto per la capacità di suscitare tensione ed angoscia) ho dovuto ricredermi, anche se questo film, che non cerca strade complicate o di elevarsi a masterpiece della cinematografia ma che punta invece al cuore dello spettatore, centrando comunque l'obiettivo, è una spanna sotto quella piccola sorpresa con la bellissima Blake Lively protagonista. Il film difatti, paga certamente la poca originalità della sceneggiatura e del soggetto (anche se è innegabile che la cinematografia di genere, che negli ultimi anni ha virato pesantemente sul trash, riesce ancora oggi a proporre spunti sempre interessanti), e la banalità di certe situazioni e decisioni (e quindi contraddizioni). Tuttavia, poiché questo è un film che non si proietta in primo luogo nel genere degli Shark Movie, visto che l'animale, reso famoso da Steven Spielberg come una perfetta macchina di morte, non è l'unico elemento a tenere in scacco le due protagoniste, una scorta di aria limitata e le comunicazioni con la superficie interrotte sono gli elementi scelti infatti per rendere la tensione ancora più palpabile (non mancasse l'ambientazione soffocante), e poiché è questo un film molto meno scontato di quanto si possa pensare, il suddetto riesce a rendersi assai soddisfacente. Proprio perché seppur di film sugli squali ne abbiamo visti a gran quantità, la buona regia e scrittura del regista (del comunque in ogni caso poco apprezzato horror sovrannaturale The Other Side of The Door e che ultimamente è al cinema con lo slasher horror The Strangers: Prey at Night, sequel del film con Liv Tyler) rendono 47 Metri un buon film che riesce a tenere alta la tensione fino all'ultimo. Giacché creare atmosfere claustrofobiche nell'immensità dell'oceano non è certo semplice, ma questa pellicola, anche grazie ad una efficiente fotografia (che ci fa comprendere l'incapacità umana di fronte la profondità oceanica), ci riesce alla perfezione.
Certo, l'inizio non è sicuramente incoraggiante, visto che come in molte pellicole thriller/horror, 47 Metri non inizia dal primo minuto a stimolare i sensi dello spettatore puntando sulla tensione emotiva, ma preferisce partire da una quiete pressoché totale per poi trasformarla piano piano in terrore. Non a caso i primi venti minuti circa del film, che ci racconta di due sorelle (Lisa e Kate, interpretate rispettivamente da Mandy Moore e Claire Holt) che in vacanza in Messico decidono di provare un'esperienza da brividi, ovvero scendere sott'acqua all'interno di una gabbia per poter osservare da vicino gli squali bianchi che popolano quelle zone, e che invece si ritroveranno (a causa di un incidente tecnico alla barca capitanata da Matthew Modine) a 47 metri di profondità sul fondale marino a lottare contro il tempo, scorrono piuttosto lenti, e non stupisce che proprio questa parte sia la più debole e meno convincente, ovvero quella dove vengono presentate le nostre eroine (caratterizzate in modo banale e superficiale) e le motivazioni (piuttosto risibili), anche se questo non è uno di quei film in cui serve l'analisi psicologica dei personaggi oppure una certa cura dei dialoghi, che le porteranno a volersi infilare dentro una gabbia (assai scalcagnata) per farsi immergere negli abissi marini. Fortunatamente, dopo questo, comunque non lungo ma rapido avvio, entriamo subito nel vivo dell'azione: ci immergiamo e sprofondiamo insieme a Kate, Lisa e il loro terrore. Da questo momento in poi il film infatti (conosciuto anche con il titolo In the Deep) inizia a funzionare più che bene e le protagoniste si comportano in modo sensato e realistico (abbastanza attinente alla realtà), fino all'imprevedibile (doppio) finale.
Come si può ben capire quindi, il rischio per un plot narrativo incentrato su un'unica location, per altro buia e praticamente priva di dettagli, era quello di annoiare lo spettatore. Johannes Roberts, anche sceneggiatore insieme a Ernest Riera, riesce tuttavia a gestire bene gli 87 minuti del film, che regalano momenti in cui la suspense non manca di certo. Grazie ad inquadrature strette sulle protagoniste e sulla piccola gabbia che le tiene al sicuro, alternate con altre più ampie in cui è il buio a farla da padrone, l'ambiente marino non annoia e anzi, genera una tensione costante nello spettatore. Infatti si resta senza fiato, guardando 47 Metri e si rimane schiacciati dal costante senso di minaccia dato dalla presenza, silenziosa e letale, dei giganteschi squali in agguato intorno alla gabbia. Perché complice una fotografia giocata sui toni del blu e del rosso, la tensione non cala mai e ci accompagna durante tutto il procedere della pellicola. Una pellicola in cui Lisa e Kate sembrano quasi sospese nel tempo nel profondo blu dell'oceano, tempo che purtroppo non hanno a causa della scorta limitata di aria. Da notare in questo caso come lo script, pur prendendosi qualche libertà che chi mastica un po' di subacquea noterà di certo, fa suoi concetti come l'ebrezza da azoto e la malattia da decompressione, per un realismo volutamente cercato ma non riuscito in pieno. Ma fortunatamente ciò, insieme a qualche libertà di troppo sulla durata dell'aria nelle bombole in profondità, le fughe delle protagoniste dagli squali non certo realistiche e una piccola incongruenza nel finale, che non vi svelo per non rovinarvi la sorpresa, non riescono a rovinare una storia che nella sua semplicità crea disagio nello spettatore.
Proprio perché il respiro affannato delle protagoniste e la loro lotta per la sopravvivenza riescono bene a rappresentare sullo schermo il loro terrore, per una situazione che fin da subito appare critica. Già trovarsi sul fondo del mare, a 47 metri di profondità, senza le necessarie competenze, rappresenta un ostacolo che appare insormontabile (esperienza che io mai riuscirei a fare), ma se a questo aggiungiamo la presenza degli squali, allora la situazione diventa davvero insostenibile. Interessante, da questo punto di vista, è l'inserimento degli squali stessi nel film. Dimenticate difatti tutto quello che avete visto ne "Lo Squalo" di Spielberg o anche in Paradise Beach, perché qui, come detto, gli animali non sono dipinti come assassini in cerca di carne umana da divorare, ma sembrano quasi creature maestose, enormi masse di muscoli che solcano l'oceano, attirati dall'incuranza dell'uomo per la natura (un tema che viene affrontato, seppur brevemente, in modo diretto nel film) e che sembrano quasi difendere il loro habitat dall'invasione dei sub. Da sottolineare anche la realizzazione degli squali sullo schermo, con una CGI davvero ottima (sopratutto considerando il budget tutt'altro che elevato), anche se facilitata dalla scarsa visuale delle profondità marine. Sono molti quindi gli elementi messi in scena per terrorizzare lo spettatore, e va dato merito al regista Johannes Roberts di non aver cercato la strada più semplice per spaventare il pubblico, evitando effetti sonori invasivi, puntando invece su un sound molto più equilibrato e quasi privo di quei picchi di volume che scuotono più le orecchie che le emozioni, e su una fotografia che, nelle sequenze subacquee, riesce bene a mostrare sullo schermo un mondo oscuro e misterioso, in cui l'uomo non è certo al vertice della catena alimentare.
Non molto convincente invece la recitazione delle due protagoniste, la bella Mandy Moore soprattutto conosciuta per la serie tv in corso This Is Us e la bella Claire Holt conosciuta personalmente nella serie Aquarius, senza dimenticare il bravo, comunque qui poco utilizzato, Matthew Modine ultimamente tornato in auge grazie a Stranger Things. Ma il merito principale di questo film (che riesce bene ad intrattenere lo spettatore, creando una tensione che dura dalla discesa agli inferi marini delle protagoniste fino al termine della pellicola) è che appunto non annoia, raccontando una storia capace di instillare discrete dosi di tensione, nonostante qualche Jumpscare non ben assestato, e nonostante le tante contraddizioni che si possono notare nei dialoghi e in parecchie situazioni che propone. Senza dimenticare alcuni particolari irritanti, quasi quanto le due protagoniste nei loro atteggiamenti, e la troppa enfasi di alcuni momenti, anche se discretamente orchestrati. 47 Metri insomma proprio solido non è, tuttavia una buona messa in scena, il non abusare della presenza degli squali, la minaccia sempre presente anche se non si vede e la fascinazione degli ambienti sottomarini (e tanti altri particolari positivi), bastano a rendere un film banale in qualcosa di più. Perché anche se 47 Metri non ha grandi meriti in fatto di originalità, quanto meno propone una storia che mantiene in costante attenzione lo spettatore, meritando un voto positivo nonostante le imperfezioni che denota. Giacché non solo seppur non privo di mancanze e imprecisioni, regala una sana ora di tensione al pubblico, riuscendo quindi a raggiungere in pieno il suo risultato, meritando così una visione, ma perché seppur meno riuscito rispetto a Paradise Beach, è però a livello qualitativo più che sufficiente. E quindi se siete appassionati del genere non potete lasciarvi scappare la visione di 47 Metri, però anche se volete passare una serata ad alta frequenza (cardiaca), questo è il film che fa per voi. Un film sicuramente claustrofobico ed angosciante, di certo non indimenticabile, ma certamente apprezzabile, godibile e da vedere. Voto: 6+