Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 16/07/2018 Qui - Dopo The Visit, con il quale aveva impressionato milioni di telespettatori, compreso me, lasciandogli però l'amaro in bocca sul finale (amaro che tornerà prepotentemente anche qui), M. Night Shyamalan, torna a raccontare una storia dai tratti inquietanti, soffermandosi questa volta sul lato psicologico dei personaggi più che sulla vicenda in sé. Spesso, infatti, alcune scelte sono dettate da fatti precedenti, accaduti nel proprio passato, che difficilmente si dimenticano. Ed è anche su questo tema che il regista gioca in Split, film del 2016 diretto dal regista di origini indiane, la vita ci pone davanti a delle situazione che segnano nel profondo l'animo di chi le vive, portando a volte a cambiamenti radicali o a malattie psicologiche che prendono il sopravvento. Non a caso il film, affronta il tema della personalità multipla, un evergreen del genere horror-thriller, matrice di spunti e idee per racconti suggestivi. Così Shyamalan dà vita a un maniaco che rapisce e imprigiona in uno scantinato tre ragazzine: Claire, Marcia e Casey. Le giovani si accorgeranno presto di combattere non uno, bensì 23 rapitori differenti, racchiusi in un unico individuo. Il suo nome è Kevin "Wendell" Crumb ma in lui si dimena un intero condominio di categorie umane: dallo stilista omosessuale Barry, al timido ma educato Dennis, al bambino capriccioso Hedwig, fino alla signora Patricia. Tutti interpretati virtuosamente da James McAvoy, che riesce in scioltezza a coordinare una molteplicità di posture e atteggiamenti. Nel mucchio però, serpeggia una pericolosa 24esima personalità, che gode di un appellativo poco rassicurante: "La Bestia". Riusciranno le ragazze a uscire vive dalla cattività? Mentre la polizia brancola nel buio, la loro unica speranza è riposta in un'anziana psicanalista dalla quale Kevin è in cura e che comincia a temere per gli atteggiamenti del paziente. Ma quando se ne accorge che qualcosa non va, è troppo tardi, e la lotta per non finire nelle sue grinfie diverrà sempre più pericolosa e complicata.
E' chiaro quindi dall'incipit di trovarsi di fronte ad un gran bel film, dopotutto il suddetto parte bene, è ben girato, le premesse ci sono (la storia intriga, è interessante e abbastanza originale), gli attori pure, una Anya Taylor-Joy strepitosa ed anche James McAvoy è molto bravo e convincente, la tensione c'è. Il film però non mantiene tutte le premesse. E non solo perché alla fine di tutte quelle svariate personalità se ne mostrano tre o quattro in conflitto tra loro, ma per troppi momenti fragili o mal scritti. Proprio perché M. Night Shyamalan dopo aver scovato un ottimo producer (tale Jason Blum, che dal 2015 ha rilanciato la carriera, e il brand, dell'ex-enfant prodige di Hollywood, grazie appunto al sorprendente The Visit e questo attesissimo Split), non rinuncia al suo classico stile, che non sempre appunto ha prodotto grandi risultati (anche se ha sempre, e personalmente, sufficientemente convinto), ma che qui avrebbe potuto nuovamente sorprendere, dopotutto per buona parte il dispositivo funziona a meraviglia. La tensione (come detto) si taglia con un coltello, inoltre la regia è magistrale: calibrata, impercettibile eppure incisiva. Il regista sfoggia tutta la sua classe negli insistiti primi piani alla piccola Casey (la più sveglia delle tre), nelle ansiogene carrellate e in una scena d'apertura (efficace e notevole) che rimarrà negli annali. Addirittura la caratterizzazione dei personaggi (sebbene abbozzata velocemente) risulta nitida e profonda, e dunque tutto fila liscio, se non fosse che a un tratto accade il prevedibile, il classico twist ending a là Shyamalan che si palesa puntuale. Qui però una "brutta bestia" si impossessa dello script, ne stravolge il senso generale e fa crollare tutto in un finale ridicolo. Peccato, perché si stava per guardare per davvero un gran bel film: che bisogno c'era di buttare tutto a mare? Peraltro polverizzando ogni traccia di credibilità, anche scientifica, pazientemente intarsiata fino a quel momento.
Colpa forse della sceneggiatura? Probabilmente sì (nonostante riesca comunque a mantenere un tono piuttosto alto di suspense per tutto il film), anche perché essa è confusa e tante sono le scene fini a se stesse che non vengono approfondite. Ella infatti, intorno ad un protagonista comunque convincente (anche se le troppe personalità sembrano non avere connessioni valide), soprattutto nell'interpretazione (perché innegabilmente il suo carisma buca lo schermo), non ci ricama per niente tanto bene, attorno a lui infatti c'è poco o nulla. La sceneggiatura difatti inserisce il personaggio di una dottoressa (la brava Betty Buckley, protagonista tra l'altro di un bell'omaggio a Hitchcock nella sequenza della mostra) ma la sua figura, penalizzata da un montaggio assai ripetitivo, sembra avere come unico scopo quello di spiegare la sindrome da cui è afflitto il protagonista agli spettatori giustamente spiazzati di fronte alle tante versioni del giovane, ora psicopatico, ora ragazzo fragile, ora addirittura ambigua figura femminile. Non è però quello della coesione tra i tanti volti di James McAvoy l'unico problema del film: le tre ragazze (tra cui si segnala la bravissima e meravigliosamente carina Anya Taylor-Joy di Morgan, mi manca ancora The Witch, che spero però presto di vedere) sono protagoniste di tutta una vicenda thriller che convince poco sia in termini di suspense pura sia per quanto riguarda la definizione dei loro personaggi, piuttosto scialbi. E non aiuta certo una regia senza troppi guizzi e che non crea moltissimo nemmeno nelle lunghe sequenze claustrofobiche, il finale poi è appunto terribilmente sopra le righe e inverosimile, che stona rispetto al realismo che aveva caratterizzato la quasi totalità della narrazione. Eppure il tentativo qui è comunque apprezzabile, perché, seppur fino ad un certo punto credibile, ci troviamo dinanzi ad un saggio sulla follia piuttosto anomalo e allo stesso tempo intrigante.
E in tal senso sarebbe potuto essere infatti un Filmone con la F maiuscola, perché i presupposti c'erano tutti ma, come detto, vi sono stati troppi lati negativi che hanno rovinato (anche se non del tutto) la faccenda. Dico "non del tutto" proprio perché effettivamente ci sono molti pregi all'interno di questo film, a partire appunto dal bell'inizio in macchina con la prima scena, o dai titoli di testa, per non parlare poi del gioco delle 23 personalità che, in un primo momento, desta sicuramente curiosità nello spettatore. Il vero punto di forza poi è chiaramente la presenza e la prestazione sfoderata da James McAvoy, veramente eccezionale e capace di risultare coerente in tutte le sfumature caratteriali che prendono possesso del corpo del povero Kevin. L'attore, pur recitando ruoli diversi, è riuscito a dare ad ogni personaggio la giusta caratterizzazione nelle movenze, nel linguaggio e nell'atteggiamento, mostrando così emozioni differenti e contrastanti e mantenendo il pubblico incollato allo schermo per tutto il tempo. Già perché d'accordo che si parla di disturbo dissociativo dell'identità, ma a contorno delle vicende riguardanti la psiche del protagonista (o dei protagonisti..), c'è pure la storia di queste ragazze rapite e tenute segregate in un luogo all'inizio sconosciuto. E qui si potrebbe pensare ad una svolta "violenta" o rimandante a sfumature di torture porn, che in realtà non ci saranno, perché il regista gioca tutto sull'aspetto psicologico e, in questo senso fa assolutamente centro, perché i vari Dennis, Patricia, Barry ed Hedwig tengono botta in maniera convincente. Ma è a questo punto però che sorge il primo dubbio. Ma perché 23 personalità e poi il film si gioca tutto su 5 o 6? Lasciando poi tutte le altre incompiute o appena accennate da quel filmato che Casey, una delle 3 ragazze, vede sul PC? È chiaro che a quel punto ci sei dentro e pretendi un maggiore approfondimento della situazione, ma questo è un dettaglio che, in virtù di un epilogo solido e vincente, sarebbe potuto essere dimenticato in fretta.
E invece quando entra in gioco la 24esima personalità si cambia registro e purtroppo lo si fa in peggio. Inizialmente pensavo fosse uno scherzo, perché è impossibile aver montato su un teatrino quasi perfetto fondato su basi solide e poi far crollare tutto con questo passaggio quasi sovrannaturale che, pur avendo un senso (nel senso generale della storia), onestamente ci sta come il salame col cappuccino. In pratica con questa svolta totalmente sgradita, perlomeno a me, il regista ha vanificato un lavoro dal potenziale eccellente e che fino a lì era resistito più che dignitosamente. Non mancasse poi anche la citazione finale (con il sempre redivivo Bruce Willis) che, benché io sia uno che apprezzi queste cose qui, l'ho trovata fuori luogo, messa lì come a dire che se non avete visto Unbreakable andate subito a vederlo perché poi si collegherà tutto (e io sinceramente seppur l'avrò visto non ricordavo niente ed ho dovuto trovare in rete una spiegazione, e ho pure letto che il sequel di questo e quell'altro uscirà l'anno prossimo). Non male invece la scelta di puntare, tra tutte e 3, sulla ragazza con la storia più interessante, che permette una facile previsione sul come andrà a finire il confronto tra lei e La Bestia, ma che regala quantomeno alcuni momenti interessanti, come per esempio quell'espressione verso la fine, quando le viene comunicato che lo zio era venuta a prenderla (in tal senso molto brava ed espressiva la giovane Anya Taylor Joy, che riesce perfettamente a trasmettere l'angoscia, l'ansia, la paura e crea un forte legame empatico col pubblico anche attraverso i consueti flashback che ci rivelano il doloroso passato della protagonista, che tuttavia rimane "aperto"). Ed è appunto qui che aumenta il rammarico, perché senza dubbio i personaggi e le personalità reali e "umane" sarebbero bastate a creare un film molto più intrigante. Occasione sprecata, dunque? Più o meno. Perché anche se non basta la (comunque ma fastidiosa) divertente sorpresa nell'inquadratura finale, a farci dimenticare il pasticcio precedente, comunque Split qualche spunto di riflessione lo offre.
Ma niente di eccezionale, dopotutto l'unica nota veramente positiva è James McAvoy che riesce alla perfezione a calarsi all'interno di tutte e 23 le personalità dando prova del suo grande talento e della sua rapida ascesa come attore (rendendo il personaggio davvero verosimile e inquietante come dovrebbe essere, alternando le personalità in modo sublime e paurosamente reale). Al contrario il resto del cast funziona tranne per la ragazza di colore (Jessica Sula) davvero piatta e per nulla emozionale (non dimenticando la Haley Lu Richardson di 17 anni e come uscirne vivi non propriamente migliore). Certo, in verità la regia è comunque affidabile (egli infatti sfoggia il tuo talento visivo, costruendo momenti di elevato thrilling) e il ritmo della narrazione è abbastanza fluido da permettere una visione godibile, e il film per questo raggiunge la sufficienza, ma che tuttavia non riesce a spiccare e rientrare fra i migliori di Shyamalan (che se fosse riuscito a dare più profondità allo stato psicologico dei personaggi in modo più incisivo sarebbe riuscito a giocare le carte a disposizione in modo migliore) per via di pecche evidenti. Perché globalmente è un film interessante questo Split, anche se tocca argomenti non nuovi nel genere thriller, e anche se poi si perde con dettagli inverosimili e poco credibili (in un finale, l'ennesimo colpo a effetto che si trasforma però in una pallottola a salve), esclusivamente al fine di dare un finale movimentato e renderlo godibile ad un pubblico più ampio possibile, ma che in ogni caso non raggiunge il risultato sperato. Il film infatti non è il capolavoro che ci si aspettava, anzi, paga i difetti e le debolezze che da sempre colpiscono il regista, perché mai come questa volta il suo proverbiale twist ending appare gratuito e persino fastidioso, e quindi alla fine, vedibile (specie se si è fan del regista, o più in generale se si apprezzano i thriller) ma non convincente e leggermente deludente. Eppure bastava poco per replicare il miracolo del precedente suo lavoro, e invece così così. Voto: 6
E in tal senso sarebbe potuto essere infatti un Filmone con la F maiuscola, perché i presupposti c'erano tutti ma, come detto, vi sono stati troppi lati negativi che hanno rovinato (anche se non del tutto) la faccenda. Dico "non del tutto" proprio perché effettivamente ci sono molti pregi all'interno di questo film, a partire appunto dal bell'inizio in macchina con la prima scena, o dai titoli di testa, per non parlare poi del gioco delle 23 personalità che, in un primo momento, desta sicuramente curiosità nello spettatore. Il vero punto di forza poi è chiaramente la presenza e la prestazione sfoderata da James McAvoy, veramente eccezionale e capace di risultare coerente in tutte le sfumature caratteriali che prendono possesso del corpo del povero Kevin. L'attore, pur recitando ruoli diversi, è riuscito a dare ad ogni personaggio la giusta caratterizzazione nelle movenze, nel linguaggio e nell'atteggiamento, mostrando così emozioni differenti e contrastanti e mantenendo il pubblico incollato allo schermo per tutto il tempo. Già perché d'accordo che si parla di disturbo dissociativo dell'identità, ma a contorno delle vicende riguardanti la psiche del protagonista (o dei protagonisti..), c'è pure la storia di queste ragazze rapite e tenute segregate in un luogo all'inizio sconosciuto. E qui si potrebbe pensare ad una svolta "violenta" o rimandante a sfumature di torture porn, che in realtà non ci saranno, perché il regista gioca tutto sull'aspetto psicologico e, in questo senso fa assolutamente centro, perché i vari Dennis, Patricia, Barry ed Hedwig tengono botta in maniera convincente. Ma è a questo punto però che sorge il primo dubbio. Ma perché 23 personalità e poi il film si gioca tutto su 5 o 6? Lasciando poi tutte le altre incompiute o appena accennate da quel filmato che Casey, una delle 3 ragazze, vede sul PC? È chiaro che a quel punto ci sei dentro e pretendi un maggiore approfondimento della situazione, ma questo è un dettaglio che, in virtù di un epilogo solido e vincente, sarebbe potuto essere dimenticato in fretta.
E invece quando entra in gioco la 24esima personalità si cambia registro e purtroppo lo si fa in peggio. Inizialmente pensavo fosse uno scherzo, perché è impossibile aver montato su un teatrino quasi perfetto fondato su basi solide e poi far crollare tutto con questo passaggio quasi sovrannaturale che, pur avendo un senso (nel senso generale della storia), onestamente ci sta come il salame col cappuccino. In pratica con questa svolta totalmente sgradita, perlomeno a me, il regista ha vanificato un lavoro dal potenziale eccellente e che fino a lì era resistito più che dignitosamente. Non mancasse poi anche la citazione finale (con il sempre redivivo Bruce Willis) che, benché io sia uno che apprezzi queste cose qui, l'ho trovata fuori luogo, messa lì come a dire che se non avete visto Unbreakable andate subito a vederlo perché poi si collegherà tutto (e io sinceramente seppur l'avrò visto non ricordavo niente ed ho dovuto trovare in rete una spiegazione, e ho pure letto che il sequel di questo e quell'altro uscirà l'anno prossimo). Non male invece la scelta di puntare, tra tutte e 3, sulla ragazza con la storia più interessante, che permette una facile previsione sul come andrà a finire il confronto tra lei e La Bestia, ma che regala quantomeno alcuni momenti interessanti, come per esempio quell'espressione verso la fine, quando le viene comunicato che lo zio era venuta a prenderla (in tal senso molto brava ed espressiva la giovane Anya Taylor Joy, che riesce perfettamente a trasmettere l'angoscia, l'ansia, la paura e crea un forte legame empatico col pubblico anche attraverso i consueti flashback che ci rivelano il doloroso passato della protagonista, che tuttavia rimane "aperto"). Ed è appunto qui che aumenta il rammarico, perché senza dubbio i personaggi e le personalità reali e "umane" sarebbero bastate a creare un film molto più intrigante. Occasione sprecata, dunque? Più o meno. Perché anche se non basta la (comunque ma fastidiosa) divertente sorpresa nell'inquadratura finale, a farci dimenticare il pasticcio precedente, comunque Split qualche spunto di riflessione lo offre.
Ma niente di eccezionale, dopotutto l'unica nota veramente positiva è James McAvoy che riesce alla perfezione a calarsi all'interno di tutte e 23 le personalità dando prova del suo grande talento e della sua rapida ascesa come attore (rendendo il personaggio davvero verosimile e inquietante come dovrebbe essere, alternando le personalità in modo sublime e paurosamente reale). Al contrario il resto del cast funziona tranne per la ragazza di colore (Jessica Sula) davvero piatta e per nulla emozionale (non dimenticando la Haley Lu Richardson di 17 anni e come uscirne vivi non propriamente migliore). Certo, in verità la regia è comunque affidabile (egli infatti sfoggia il tuo talento visivo, costruendo momenti di elevato thrilling) e il ritmo della narrazione è abbastanza fluido da permettere una visione godibile, e il film per questo raggiunge la sufficienza, ma che tuttavia non riesce a spiccare e rientrare fra i migliori di Shyamalan (che se fosse riuscito a dare più profondità allo stato psicologico dei personaggi in modo più incisivo sarebbe riuscito a giocare le carte a disposizione in modo migliore) per via di pecche evidenti. Perché globalmente è un film interessante questo Split, anche se tocca argomenti non nuovi nel genere thriller, e anche se poi si perde con dettagli inverosimili e poco credibili (in un finale, l'ennesimo colpo a effetto che si trasforma però in una pallottola a salve), esclusivamente al fine di dare un finale movimentato e renderlo godibile ad un pubblico più ampio possibile, ma che in ogni caso non raggiunge il risultato sperato. Il film infatti non è il capolavoro che ci si aspettava, anzi, paga i difetti e le debolezze che da sempre colpiscono il regista, perché mai come questa volta il suo proverbiale twist ending appare gratuito e persino fastidioso, e quindi alla fine, vedibile (specie se si è fan del regista, o più in generale se si apprezzano i thriller) ma non convincente e leggermente deludente. Eppure bastava poco per replicare il miracolo del precedente suo lavoro, e invece così così. Voto: 6