Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 11/05/2018 Qui - A metà tra favola e poesia, La canzone del mare (Song of the Sea), film d'animazione del 2014 diretto da Tomm Moore, che già si era cimentato in qualcosa di simile nel suo precedente The Secret of Kells, anch'esso candidato agli Oscar come quest'ultimo come miglior film d'animazione (nel 2010 e nel 2015), ma che tuttavia è ancora inedito in Italia, è un affascinante favola a cartoni animati dalle suggestive atmosfere nordiche, dal disegno stilizzato e un po' rigido che per questo appassiona e cattura grandi e piccini attorno ad una natura selvaggia ed incontaminata di un paradiso naturale da sogno. La canzone del mare infatti, che comunque non è un film come gli altri, non solo per lo stile visivo, ben lontano dall'omogenea grafica 3D a cui ci ha abituato l'animazione degli ultimi anni, coerentemente con la passione del regista per la tradizione, ed intingendo i pennelli nella tradizione folkloristica irlandese, riesce ad animare ambientazioni e creature del folklore celtico come le selkies e i folletti per tratteggiare con ombre di poesia una storia che parla a tutta la famiglia. Questo film poetico e fiabesco difatti, usa la leggenda delle selkie, metà foche e metà donne, per parlare di famiglia, di morte, di lutto e di sentimenti da affrontare con la semplicità tipica dei bambini, ma anche per raccontare il viaggio, anche e soprattutto interiore, che porta i due bambini protagonisti alla ricerca di se stessi e all'ela-borazione catartica appunto del loro terribile lutto. Proprio perché seppur i protagonisti sono bambini, a confronto con l'aridità e l'incapacità degli adulti di comprendere il meraviglioso, i temi del film sono tutt'altro che infantili. Temi importanti, come il valore del sacrificio, veicolati appunto con parole e immagini adatte alla comprensione dei bambini, ma con una chiave di lettura anche per gli adulti. Non per niente Il mito delle selkie è sempre stato usato da generazioni come allegoria del dolore della perdita in mare di una persona cara.
Non a caso la storia inizia e ci parla di Saoirse, una bambina di sei anni cresciuta senza la mamma in un isolato faro su una piccola isoletta irlandese, altresì circondata da un lato dall'affetto di un padre incapace di elaborare la perdita della moglie e dall'altro dal risentimento del fratello più grande che imputa a lei la scomparsa della madre. Con loro anche il cane Cru, che si prende cura dei bambini come fosse una tata, e la nonna, giunta dalla grande città (Dublino) per cercare di restituire ai piccoli un po' di stabilità affettiva. Perché, a sei anni, Saoirse ancora non parla. Un improvviso cambiamento, la nonna che decide di portare con sé in città i due bambini, ritenendo il faro in cui vivono inadatto alla loro crescita, sarà però l'inizio di un'avventura dai toni fiabeschi e straordinari. Giacché Ben, scoprirà un mondo di creature leggendarie, in cui i miti sono veri e tangibili, intraprendendo un viaggio per la salvezza di Saoirse (che sembra essere particolarmente attratta dal mare, che tuttavia la lontananza da essa sembra essere per lei fortemente pericoloso) ma anche, e soprattutto, di se stesso e del suo mondo. Egli infatti, nel giorno di Halloween, in cui gli spiriti secondo la tradizione girano tra i comuni mortali, fugge dalla casa della nonna, inseguito dalla sorellina. Da qui il viaggio dei due bambini perciò prenderà dei risvolti inaspettati, trasformandosi in un percorso che porterà Ben e la sua sorellina a crescere insieme, a riscoprire il potere dell'amore fraterno con cui cercheranno soprattutto di salvare un mondo di creature celtiche facenti parte di una tradizione che sta scomparendo.
Una tradizione millenaria (d'altronde accanto alla loro storia Tomm Moore ne racconta un'altra, quella del gigante Mac Liar, trasformato in pietra dalla madre Macha, un gufo-strega che gli ha rubato i sentimenti perché incapace di vederlo soffrire) e un mondo alla quale è misteriosamente collegata appunto la vita di Saoirse, che sembra via via spegnersi. La canzone del mare infatti non è semplicemente un film di animazione, è una storia che rispolvera le antiche funzioni catartiche del racconto, in un modo narrativo raro e ancestrale, che attualmente ritroviamo solo nelle produzioni dello Studio Ghibli da cui lo stesso autore dichiara di essersi lasciato ispirare. Vediamo difatti l'utilizzo di protagonisti ambivalenti e archetipi (come quello della Grande Madre e il Viaggio dell'eroe, anche se qui non siamo davanti a un'avventura eroica, a una quest da vincere, bensì a un viaggio che è anche interiore) con cui Moore ci insegna che aiutare qualcuno che ami non vuol dire sostituirsi ad esso o eliminare il dolore: amare vuol dire aiutare l'altro a tirare fuori la sua forza per affrontare sia gioia che dolore, poiché le emozioni sono il nutrimento della vita e solo affrontandole si può vivere intensamente. Altrimenti c'è il rischio di rimanere bloccati in una vita fredda e grigia come pietre, come Mac Liar, come il padre dei due protagonisti e come le creature magiche che Ben e Saoirse cercheranno di salvare. Non a caso l'incomunicabilità dei sentimenti o delle emozioni è un altro tema evidente in questo film.
Non si è più capaci di esprimere le proprie emozioni, perché convinti che il rischio sia quello di soffrire ancora di più. Un messaggio, quello della cultura moderna che ci ha spinti a credere che la tristezza, la rabbia, il dolore, la paura siano solo ed esclusivamente emozioni negative, quando sono in realtà parte integrante fondamentale dello spettro emotivo umano, quello che ci rende persone, e quindi dotate di sensibilità, che Inside Out, ben più noto, ha sviscerato poi in modo perfetto ma che qui comunque (e in modo sorprendente) arriva in ogni caso. Ma non è tutto, perché a contribuire in modo determinante al senso di stupita meraviglia del film, che immerge letteralmente in un mondo di creature e visioni straordinarie, c'è la tecnica d'animazione basata su disegni tradizionali in 2D. Ben lungi, in epoca digitale, da essere un esercizio di stile, esso ha infatti una funzione narrativa decisiva nel proporsi come media privilegiato di una favola dal sapore antico ma sempre moderna, perché veicola concetti universali, validi ora e sempre. La canzone del mare presenta infatti una meravigliosa, penetrante, immersiva animazione tradizionale, con disegni interamente fatti a mano e caratterizzati da dettagli quasi stilizzati ma controbilanciati da un insieme ricco di colori che rendono ogni fotogramma della storia un quadro. E' difatti, grazie anche ad un meraviglioso tratto sfocato che utilizza lo stile dell'acquerello, un esplosione di colori quella che si ha davanti, è un Irlanda viva, verde, umida, vasta.
Non a caso i paesaggi hanno una capacità unica di catturare la fantasia dello spettatore, e così i personaggi e la loro espressività (estremamente umana), che seppur delineata con un disegno apparentemente semplice, è in realtà studiatissimo per trasmettere tutte le emozioni, anche quelle represse, punto focale del film. Un film, una fiaba che in questo modo riesce nell'intento di raccontare una storia (grazie ad un ritmo molto poetico) piena di pathos con un'intensa magia e attraverso una fattura raffinata che non fa rimpiangere le grandi produzioni americane. Dopotutto anche qui grande importanza ha la musica. Infatti in un film in cui lo stesso titolo riporta l'importanza della musicalità, non si può certamente ignorare la bella colonna sonora, presa in parte da vere canzoni tradizionali irlandesi, ma anche interamente creata dal genio artistico del compositore francese Bruno Coulais, già candidato all'Oscar nel 2009 per Coraline e la porta magica, qui in collaborazione con la folk-band irlandese Kíla. Senza dimenticare che Saoirse, muta per tutto il film, deve ritrovare la voce per riportare la pace nel cuore di tutti. Ed è cantando una melodia sacra (Song of the sea appunto) che riuscirà finalmente a ricongiungersi con tutta la famiglia. Una canzone bellissima (della cantante e musicista irlandese Lisa Hannigan) cantata dalla piccola e dolce Saoirse (a tal proposito utile è vedere il film anche per capire finalmente come pronunciare questo "strano" nome, conosciuto in tutto il mondo soprattutto per la bella e brava attrice appunto irlandese Saoirse Ronan) che è una sintesi perfetta di tutto l'accompagnamento musicale del film.
In un matrimonio di suoni che rafforzano la poesia della storia e fortificano la suggestione e l'empatia. Tanto che si rimane incantati e stupefatti, anche se in verità non a livello di certi capolavori dell'animazione, dopotutto questa pellicola proprio perfetta non è. Perché anche se la storia si dipana come un orologio svizzero, senza mai inciampare od avere dubbi, ciò che rimane misterioso è perché il popolo fatato è e deve rimanere misterioso, giacché spesso questi miti sono poco conosciuti al grande pubblico internazionale e il tessuto narrativo del testo non sempre li riassume con chiarezza. Tuttavia al contempo è presentato in modo comunque abbastanza chiaro da far capire il modo di agire all'interno della storia. Una storia in cui capire proprio tutto non è comunque importante, perché le belle storie di La canzone del mare ci trasportano in una natura irlandese cupa e allo stesso tempo reale e vitale che non annoia ma emoziona (e un po' diverte). D'altronde, unite ad un doppiaggio efficace (non dimenticando il contributo di Brendan Gleeson nella versione inglese) vi sono diverse scene comiche che smorzano un po' la malinconia di sottofondo. In tal senso il finale, ma anche le scene durante la sigla (che mostrano la vita quando tutto è tornato al proprio posto, spazzando via la malinconia e ridando la felicità), risulta perfetto per la fiaba. Una fiaba bella, piacevole e affascinante seppur non eccezionale (e non c'entra la prevedibilità) che tuttavia è meglio non lasciarsi fuggire, perché parla all'infanzia senza essere retoricamente infantile. Voto: 7+
Non si è più capaci di esprimere le proprie emozioni, perché convinti che il rischio sia quello di soffrire ancora di più. Un messaggio, quello della cultura moderna che ci ha spinti a credere che la tristezza, la rabbia, il dolore, la paura siano solo ed esclusivamente emozioni negative, quando sono in realtà parte integrante fondamentale dello spettro emotivo umano, quello che ci rende persone, e quindi dotate di sensibilità, che Inside Out, ben più noto, ha sviscerato poi in modo perfetto ma che qui comunque (e in modo sorprendente) arriva in ogni caso. Ma non è tutto, perché a contribuire in modo determinante al senso di stupita meraviglia del film, che immerge letteralmente in un mondo di creature e visioni straordinarie, c'è la tecnica d'animazione basata su disegni tradizionali in 2D. Ben lungi, in epoca digitale, da essere un esercizio di stile, esso ha infatti una funzione narrativa decisiva nel proporsi come media privilegiato di una favola dal sapore antico ma sempre moderna, perché veicola concetti universali, validi ora e sempre. La canzone del mare presenta infatti una meravigliosa, penetrante, immersiva animazione tradizionale, con disegni interamente fatti a mano e caratterizzati da dettagli quasi stilizzati ma controbilanciati da un insieme ricco di colori che rendono ogni fotogramma della storia un quadro. E' difatti, grazie anche ad un meraviglioso tratto sfocato che utilizza lo stile dell'acquerello, un esplosione di colori quella che si ha davanti, è un Irlanda viva, verde, umida, vasta.
Non a caso i paesaggi hanno una capacità unica di catturare la fantasia dello spettatore, e così i personaggi e la loro espressività (estremamente umana), che seppur delineata con un disegno apparentemente semplice, è in realtà studiatissimo per trasmettere tutte le emozioni, anche quelle represse, punto focale del film. Un film, una fiaba che in questo modo riesce nell'intento di raccontare una storia (grazie ad un ritmo molto poetico) piena di pathos con un'intensa magia e attraverso una fattura raffinata che non fa rimpiangere le grandi produzioni americane. Dopotutto anche qui grande importanza ha la musica. Infatti in un film in cui lo stesso titolo riporta l'importanza della musicalità, non si può certamente ignorare la bella colonna sonora, presa in parte da vere canzoni tradizionali irlandesi, ma anche interamente creata dal genio artistico del compositore francese Bruno Coulais, già candidato all'Oscar nel 2009 per Coraline e la porta magica, qui in collaborazione con la folk-band irlandese Kíla. Senza dimenticare che Saoirse, muta per tutto il film, deve ritrovare la voce per riportare la pace nel cuore di tutti. Ed è cantando una melodia sacra (Song of the sea appunto) che riuscirà finalmente a ricongiungersi con tutta la famiglia. Una canzone bellissima (della cantante e musicista irlandese Lisa Hannigan) cantata dalla piccola e dolce Saoirse (a tal proposito utile è vedere il film anche per capire finalmente come pronunciare questo "strano" nome, conosciuto in tutto il mondo soprattutto per la bella e brava attrice appunto irlandese Saoirse Ronan) che è una sintesi perfetta di tutto l'accompagnamento musicale del film.
In un matrimonio di suoni che rafforzano la poesia della storia e fortificano la suggestione e l'empatia. Tanto che si rimane incantati e stupefatti, anche se in verità non a livello di certi capolavori dell'animazione, dopotutto questa pellicola proprio perfetta non è. Perché anche se la storia si dipana come un orologio svizzero, senza mai inciampare od avere dubbi, ciò che rimane misterioso è perché il popolo fatato è e deve rimanere misterioso, giacché spesso questi miti sono poco conosciuti al grande pubblico internazionale e il tessuto narrativo del testo non sempre li riassume con chiarezza. Tuttavia al contempo è presentato in modo comunque abbastanza chiaro da far capire il modo di agire all'interno della storia. Una storia in cui capire proprio tutto non è comunque importante, perché le belle storie di La canzone del mare ci trasportano in una natura irlandese cupa e allo stesso tempo reale e vitale che non annoia ma emoziona (e un po' diverte). D'altronde, unite ad un doppiaggio efficace (non dimenticando il contributo di Brendan Gleeson nella versione inglese) vi sono diverse scene comiche che smorzano un po' la malinconia di sottofondo. In tal senso il finale, ma anche le scene durante la sigla (che mostrano la vita quando tutto è tornato al proprio posto, spazzando via la malinconia e ridando la felicità), risulta perfetto per la fiaba. Una fiaba bella, piacevole e affascinante seppur non eccezionale (e non c'entra la prevedibilità) che tuttavia è meglio non lasciarsi fuggire, perché parla all'infanzia senza essere retoricamente infantile. Voto: 7+