martedì 23 aprile 2019

La vendetta di un uomo tranquillo (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 29/06/2018 Qui - Noto soprattutto per il ruolo del detective Pedro nel bel thriller noir La isla mínima di Alberto RodríguezRaúl Arévalo esordisce alla regia con La vendetta di un uomo tranquillo (in originale Tarde para la ira), vincendo quattro premi Goya nel 2017, tra cui miglior film, miglior regista esordiente e miglior sceneggiatura originale. Ed è proprio da quell'incredibile film, in cui si fece discretamente notare, vincitore di altrettanti e più premi Goya che il regista assorbe una certa maestria nella composizione delle atmosfere, nella capacità di inserire gli attori in un quadro/contesto in cui sembrano annaspare, e da cui ne segue le coordinate del genere thriller. Anche se il film non è certo un dramma sentimentale né un heist movie né un thriller poliziesco, bensì ennesima versione sul tema della vendetta, indirizzata sui binari convenzionali del genere quindi non esattamente originale, ma non priva di una propria personalità, piacevole in quanto strutturata narrativamente in maniera interessante e votata, più che alle esplosioni di violenza (che comunque non mancano), ad un'attenta definizione dei personaggi e all'analisi di quel bisogno catartico che diventa urgenza spietata. Il film infatti, è un noir (con improvvisi scatti nervosi, atti a concretizzare la rabbia primordiale covata per anni da uno dei personaggi) in continua tensione, senza pause narrative o segni di cedimento strutturale. Solido come una costruzione in calcestruzzo e tagliente come una lama. La storia certo, anche se all'inizio sembra altro, è per l'appunto la più classica delle vendette (non aiuta in tal senso la traduzione del titolo in italiano, che tende al didascalico, perdendo le sfumature di fatalismo disilluso dell'originale "Tardi per la rabbia"), che racconta la storia di un uomo, di un prima e di un dopo e un determinato avvenimento, ma questo gioco a carte coperte, una specie di partita condotta sul bluff, sull'abilità nel nascondersi e nell'ingannare l'avversario del regista, è davvero sorprendente, spiazzante e coinvolgente.

Non a caso la narrazione è diretta, senza perder tempo e senza perdersi in "pippe" stilistiche o peggio ancora moralistiche. Certo, inizia lento e riflessivo, mostrando la stanca quotidianità di un quartiere mai troppo definito della penisola iberica, ma minuto dopo minuto il film (ben girato, con una recitazione sobria e asciutta, mai sbracato o sguaiato e anche le scene di violenza sono essenziali, senza indulgere troppo in compiacimenti gratuiti) inizia a denotare qualcosa di diverso, inizia a crescere nel ritmo e nel racconto dei fatti. La fotografia cresce con noi, se questo si può dire, diventando via via più nitida nei colori e nelle forme, man mano che il protagonista guadagna lucidità e decisione. In tal senso molto buona la prima parte, ingarbugliata il giusto e preparatoria verso un secondo atto più scontato ma solido, in cui i twist (e un bel colpo di scena, poco prima della conclusione) fanno il loro dovere e la noia resta in disparte alla faccia dell'abbondanza di cliché. Raúl Arévalo infatti, è stato capace (nonostante ciò) di raccontare una bella storia senza scopiazzare gli stilemi d'oltreoceano, creando così un thriller/noir di periferia e di quartiere dove a vincere sono la cattiveria insospettabile e la cattiveria degli insospettabili. Una buona pellicola d'esordio insomma, molto tesa e abilmente affidata alla ottima coppia d'attori Luis Callejo/Antonio de la Torre (che mi aveva già sorpreso nel thriller Che Dio ci perdoni), più la Ruth Díaz a cui è stato dato il premio per la migliore interpretazione in Orizzonti (la 73ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia nel 2016), il cui personaggio vede vacillare i propri sogni di un cambiamento radicale della propria vita. Una pellicola comunque non perfetta, anche se veniali sono un paio di incongruenze di sceneggiatura, non eccezionale, ma nel complesso bella, intensa, discreta e ovviamente da vedere, che conferma come il cinema spagnolo (ultimamente sempre più attivo e qualitativamente ottimo) è più vitale del nostro nel trattare i generi. Voto: 7