martedì 23 aprile 2019

In nome di mia figlia (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 25/06/2018 Qui - Una storia affilata come la lama di un rasoio, anzi di un bisturi per autopsia, sostenuta da un grande protagonista, Daniel Auteuil, questo è In nome di mia figlia (Au nom de ma fille), film inchiesta del 2016 diretto da Vincent Garenq che racconta un fatto di cronaca realmente accaduto in Francia negli anni '80. E' lui infatti a reggere, nello stile da docufilm scelto di proposito da sceneggiatori e regista, il suddetto racconto sconcertante, con eroismo da altissima professionalità, senza la minima sbavatura, senza autocompiacimento, nessun effetto, dentro un'interpretazione rigorosa dalla prima all'ultima inquadratura. Egli difatti (rimestando abilmente la sete di giustizia ma anche l'ossessione morale del suo personaggio), che impersona discretamente un padre che non conosce limiti, smuove le montagne, quando è necessario, perché sia fatta luce su una morte oscura (quella della figlia adolescente avvenuta in circostanze misteriose) porta sullo schermo una vicenda altamente drammatica sia per la violenza del fatto in sé (davvero sconvolgente) che per la sua lunga ed estenuante battaglia (durata ben 30 anni) combattuta contro l'ostilità degli addetti alle indagini e contro gli ostacoli veri e propri di una burocrazia diplomatica la quale tiene maggiormente più conto dell'insabbiamento della verità che del trionfo di essa. Pertanto lo spettatore assiste all'estenuante, imperterrita e dura lotta (che inchioda lo spettatore sulla poltrona, in un silenzio che è smarrimento e stupore, in cui si nasconde la rabbia di ciascuno nell'assistere inerme dinanzi all'evolversi dei fatti che finiranno nella mani di una giustizia, diabolicamente divenuta ingiustizia) di un individuo comune che è costretto a combattere da solo e che, in aggiunta, è sovraccaricato dal profondo e grandissimo dolore della scoperta dell'efferatezza (indicibile crudeltà) del crimine riguardante la propria adorata figlia adolescente. Sì perché tutto è diabolico, il crimine (sconvolgente l'autopsia rivelatrice), la menzogna, l'infedeltà, l'offesa perpetrata per anni ai danni di un genitore che si è visto portar via da un uomo (il medico tedesco Dieter Krombach, la cui odiosa parte è stata assegnata al bravo Sebastian Koch) prima la moglie (a tal proposito sconcertante è la sua reazione, perché plagiata dal suo compagno finirà addirittura per disconoscere l'evidenza dei referti medici sull'autopsia, finendo addirittura a chiudere entrambi gli occhi davanti alle molteplici prove) e poi la figlia nel peggiore dei modi.

La pellicola, pertanto, rappresenta molto efficacemente questa netta dicotomia tra la lucidità razionale e la perseverante tenacia che il genitore in questione da una parte deve avere e mantenere sempre vive nel corso delle sue indagini, e la presenza, dall'altra, costante e profondissima del dolore personale, a cui, purtroppo, il più delle volte la Giustizia sembra essere sorda. E per fare ciò, il regista fortunatamente, raccontando con eleganza e sensibilità un tema di per sé delicato, riesce a non incorrere nel fin troppo facile rischio di cadere nel sentimentalismo ostentato. Anche perché seppur la sofferenza che lo spettatore percepisce sembra essere reale e quasi tangibile (ci immedesima infatti con le storie vere simili, anche soltanto di ieri), essa non è mai eccessivamente ostentata. Giacché In nome di mia figlia dimostra ancora una volta l'elegante tatto con cui i francesi si avvicinano e raccontano temi così attuali e universali. Perché anche senza arrivare all'urlo disperato di Sean Penn in Mystic River, anche il dolore sommesso di Daniel Auteuil ci colpisce con la medesima onda d'urto, scuotendoci e commuovendoci. Tuttavia e oggettivamente però, nonostante una attenta regia, il film non riesce a spiccare mai il volo. Poiché in alcuni momenti sembra di assistere a un documentario vero e proprio ed in altri non c'è la dovuta verve, di fatto potreste perdervi alcuni minuti senza perdere minimamente il filo del racconto. Comunque questa storia meritava di essere portata sul grande schermo e non ne rimpiangerete l'eventuale visione, perché grazie all'essenziale musica, ad una buona scenografia (le splendide località della Baviera) e alla discreta sceneggiatura (per questa brutta sciagurata storia) la pellicola merita la sufficienza. Voto: 6+