martedì 23 aprile 2019

A testa alta (2015)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 25/06/2018 Qui - La storia di A testa alta (La tête haute), film del 2015 diretto da Emmanuelle Bercot, è un racconto universale e senza tempo che fin dai tempi del François Truffaut de I 400 colpi parla di adolescenti allo sbando, arrabbiati con il mondo ed incapaci di prendersi le proprie responsabilità. Niente di nuovo quindi, tuttavia la semplicità di questa storia è il suo maggior pregio, peraltro sorretto dalle buone interpretazioni del cast. Una storia dove la famiglia fallisce e dove la società si prende carico, fra mille difficoltà, della riabilitazione di un giovane, quando la famiglia non è più in grado di farlo. Al tempo stesso la sua semplicità è anche il limite stesso del film, incapace di andare oltre la convenzionalità della storia stessa. Non è un brutto film certamente, ma non è nemmeno un lavoro che rimane impresso nella memoria, perché non ha qualità tali da offrire quel qualcosa in più della convenzionalità stessa. Il film infatti, che richiama un po' troppo alla memoria l'ancor troppo recente Mommy, eccezionale lavoro del canadese Xavier Dolan, che in un'eventuale competizione gli sottrarrebbe senza difficoltà la coppa, giacché racconta una storia difficile, piena di ricadute e di sbagli, che ci insegna a non gettare la spugna e a non fidarci di chi ci propone soluzioni semplici a problemi complessi, non ci dice niente di nuovo. Anche se alla fine e in ogni caso, (pur senza spiccare) il film riesce nel suo intento di comunicare qualcosa allo spettatore. Il film difatti, che ha anche il merito di lanciare, oltre al giovane Rod Paradot, anche la bella Diane Rouxel, che interpreta Tess, la figlia di un'assistente sociale che grazie al suo amore contribuirà a salvare Malony dalla cattiva strada, grazie a un attento lavoro di ricerca sui casi affrontati quotidianamente dai giudici minorili dalla regista, che torna dietro la macchina da presa dopo la fruttuosa parentesi come attrice in Mon roi: Il mio re (con cui ha vinto il premio come Migliore interpretazione femminile a Cannes), dipinge un ritratto che vuole essere paradigmatico di un disagio sociale diffuso, evitando inutili eccessi melodrammatici.

In più la sostanziale verosimiglianza di vicende e dialoghi valorizza la bravura dell'intero cast attoriale: Catherine Deneuve nella parte della materna giudice Florence come sempre buca lo schermo, ma le tiene testa il protagonista Rod Paradot, con una faccia da schiaffi adatta al personaggio e una naturalezza interpretativa impressionante per un esordiente (tanto che seppur certe parti, a causa del tema trattato, sono notevolmente irritanti, li si sopportano grazie a lui). Azzeccate poi e in particolare alcune scelte registiche, come l'inizio (anche se non troppo chiaro è il passaggio di scena, in cui vediamo Malony cresciuto di nuovo con la madre, mentre dall'introduzione sembrava che lei l'avesse abbandonato) e il finale positivo, che porta un moto di speranza nella vita del protagonista (anche se il percorso attraverso il quale ci si arriva è troppo repentino e poco credibile). Ciò che però in conclusione del film lascia perplessi è la sensazione di aver assistito a una sorta di denuncia a metà: se le difficoltà vissute da Malony (e dalla sua famiglia, e dai ragazzi che incontra nei centri di recupero) rimandano a problemi reali e comuni, pare decisamente semplicistica la rappresentazione della controparte di Malony, ovvero le istituzioni, che adempiono sempre ai propri compiti in maniera impeccabile e virtuosa (e che invece non lo sono quasi mai). Si cade inoltre, a volte, in un buonismo semplificante che caratterizza un po' tutti i personaggi, oltremodo comprensivi e materni nei confronti del protagonista. Non c'è un antagonista se non la scissione interna a Malony stesso, il quale per altro è già ben indirizzato verso la via della redenzione. In conclusione, un film che sa mostrare con sensibilità dei giovani delinquenti che non si sentono capiti dalla mondo ma a cui bisogna offrire delle possibilità, perché in fondo ciò che vuole ognuno è trovare il proprio posto nel mondo, e purtroppo non tutti ci riescono. Seppur questo è comunque un film, sicuramente da vedere, ma piatto e dove quasi tutto è prevedibile. Voto: 6