sabato 20 aprile 2019

Frantz (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/05/2018 Qui - Ispirato alla pièce di Maurice Rostand, da cui Ernst Lubitsch trasse "Broken Lullaby", Frantz, film drammatico del 2016 (passato in concorso a Venezia 2016) di produzione franco-tedesca che conferma la passione di François Ozon (al suo sedicesimo film in 18 anni) per il melodramma sentimentale e per le storie piene di misteri, con più di un richiamo ad atmosfere alla Hitchcock, è ambientato nel 1919 in un piccolo villaggio tedesco, all'indomani della fine della Grande Guerra e mette sotto la lente d'ingrandimento l'eredità da essa lasciata, ossia il vuoto di una generazione morta in trincea e le ferite fisiche e psichiche di chi è invece riuscito a sopravvivere. Il film infatti, dalla forte componente melodrammatica, che non scade tuttavia nel romanzo d'appendice, poiché illude, depista e regala sorprese inaspettate, racconta di una giovane vedova di guerra di nome Anna che si reca quotidianamente alla tomba del fidanzato Frantz e che sulla stessa conosce un misterioso uomo di nome Adrien, anche lui intento a portargli fiori. Tra i due così si instaura un forte legame, una frequentazione emotivamente provante e non priva di qualche sfumatura ambigua, dato che la sua presenza susciterà delle reazioni imprevedibili in un ambiente segnato dalla sconfitta tedesca. Non a caso il regista mette bene in mostra come la diffidenza e l'odio reciproco tra Francia e Germania, che non si dileguò affatto con la cessazione delle ostilità, proseguì prima con le condizioni a cui fu costretto il popolo tedesco e, quasi di conseguenza, con la Seconda Guerra Mondiale. D'altronde in questo dramma fuorché banale (che vale la pena vedere per i temi affrontati, dato che riesce a trasportare letteralmente lo spettatore nell'immediato dopoguerra, pieno di disagi, di dolore per la perdita dei propri cari e denso di una vena patriottica che è evidente per tutta la durata della pellicola) a farla da padrone non è solo il senso di colpa, provocato qui da un "errore di valutazione" che ha causato molto dolore e tormento a entrambi i personaggi principali, non emerge solo la tematica del perdono, ma appunto il dolore causato dalla guerra (quindi dalla perdita di qualcuno che amiamo), ancora molto sentito nel film ed anche il conseguente patriottismo smisurato che ne deriva. Non dimenticando che il regista lavora anche su sentimenti contrastanti che sono dettati da due parti del corpo ben distinte: il cuore e la testa.

A tal proposito, è essenziale anche la scelta cromatica del bianco e nero, che diventa a colori solo quando vengono mostrati i ricordi dei diversi personaggi inerenti a Frantz o quando si tratta di un momento significativo ai fini della narrazione. Una tecnica interessante e utile nel film, in quanto rende chiara anche la divisione tra passato e presente. Un film che per questo suscita emozioni e avvince con false piste e ambiguità, tra verità parziali e menzogne più o meno pietose. Il film infatti, nella prima parte ruota sull'identità di Adrien e il suo rapporto con Frantz, ed entrambi riserveranno sorprese inaspettate, nella seconda rovescia la prospettiva, la ragazza tedesca diventa così la straniera in terra di Francia, ripercorrendo con esiti e tappe diverse lo stesso percorso di Adrien, mentre la chiusura al Louvre e di fronte al "Suicidio" di Manet, conclude l'arco narrativo e la parabola di Anna lasciando un'unica ineludibile verità: la morte o la sua esorcizzazione sono forme che possono liberare la vita. Il film per questo accumula forse troppe situazioni, ma complessivamente è un discreto film d'autore. Certo, la colonna sonora seppur ricca di piccole e sottili sfumature non convince fino in fondo, e le scene che si susseguono mantengono lo stesso ritmo, che non si può certo definire incalzante, ma nonostante ciò, il film si lascia seguire con facilità (di certo non mancano scene di puro riempimento o di lunga durata, che potevano essere tagliate o, comunque, ridotte). Perché in Frantz, un lavoro riuscito la cui ottima confezione non si traduce in freddezza, perché i sentimenti dei protagonista affiorano in maniera prepotente e muovono la narrazione della storia stessa, se lo stile e la fotografia sono di alto livello, non di meno le interpretazioni di tutto il cast. Non solo Pierre Niney (L'Odissea e Yves Saint Laurent), un intenso Adrien, ma soprattutto la straordinaria (bella e brava) Paula Beer (premiata a Venezia con il premio Mastroianni come miglior emergente) nei panni di un altrettanto intensa Anna. François Ozon quindi continua a raccontare vicende mai limpide, mai chiare, sempre con lo sguardo rivolto al mistero, e la fa benissimo, con un film non eccezionale ma coinvolgente, appassionante e consigliabile. Voto: 7