giovedì 30 maggio 2019

Loving Vincent (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 24/07/2018 Qui - Mentirei se dicessi di aver già visto qualcosa di simile, perché certo, non è una novità assoluta fare un film di animazione nello stile del rotoscoping, ci pensò il maestro Akira Kurosawa in "Sogni" ispirato proprio alla vita di Van Gogh, parecchi anni fa, ma in Loving Vincent, film d'animazione britannico-polacco del 2017, diretto da Dorota Kobiela e Hugh Welchman, questa tecnica, questo insolito seppur non rivoluzionario stile, è applicata brillantemente (con esiti affascinanti, di certo non scontati) per narrare una storia dando realmente vita ai quadri di Van Gogh, più o meno famosi, offrendo così un grande piacere per gli occhi (e non solo, e anche a chi di arte si interessa poco come me, che tuttavia ha trovato bello ed interessante il documentario Raffaello: Il principe delle Arti), anche se dopo i primi minuti estasianti, poi, alla lunga, finito l'effetto "meraviglia", l'interesse (seppur rimanga per questo un buonissimo prodotto) scema un po', anche perché in verità l'effetto piacevole e particolare, dello schermo che si trasforma in un'immensa tela dove vigorose pennellate dalle ruggenti cromie compongono le varie scene, in cui colori e i continui tratti di pennello "vivacizzano" le immagini, essi possono a volte confondere la vista e risultare, alla lunga, stucchevoli. Tuttavia davvero incredibile e sorprendente è questo biopic anticonvenzionale, forse uno dei film più complessi della storia del cinema degli ultimi anni. Loving Vincent (l'espressione con cui Van Gogh terminava le numerose lettere all'amato Fratello Theo, lettere su cui regista e co-regista hanno preso ispirazione per il film, lettere che non a caso sono il motore della trama) è infatti stato girato con attori veri, quindi recitato, poi il montato delle riprese è stato dato ad una troupe di 125 artisti che ha dipinto a olio ognuna delle 65.000 inquadrature nello stile del pittore Vincent Van Gogh. E così ogni attore del cast, composto (tra gli altri) da Aidan TurnerHelen McCrorySaoirse RonanDouglas Booth e Jerome Flynn, è divenuto un vero e proprio modello per questi artisti, costituendo di fatto la base da cui partire per dipingere, in ogni singolo fotogramma, i protagonisti della pellicola tratti dalle tele più note. Un film che per questo, sembra ed è, un'infinita quanto splendida successione di capolavori, un susseguirsi di scene e personaggi che tutti, anche i meno appassionati di storia dell'arte, non possono fare a meno di riconoscere. Dando perciò vita ad un'esperienza visiva incredibile e sorprendente.
Quello che sorprende meno è però la storia, un racconto in cui si gioca a ricostruire, tramite lo scavezzacollo Armand Roulin il quale, dapprima scettico sul reale talento del defunto, si appassiona sempre più alla vicenda e, incaricato dal padre di consegnare l'ultima lettera spedita da Vincent al fratello Theo scopre, nel piccolo paese di Auvers sur Oise, una comunità non sempre ben disposta a sopportare il bizzarro carattere di quell'olandese dai capelli rossi, tipo eccentrico e umorale, il cui suicidio alimenta sospetti dettati da piccoli particolari non collimanti e da differenti testimonianze (emerge inoltre un provincialismo meschino, con ipocrisia e subdola gentilezza a garantire la debita distanza da un fattaccio così scomodo), le ultime settimane di vita dell'artista, fantasticando sulla possibilità di una morte ben diversa da quella appunto tramandataci. Peccato che la sua ricerca a mo' di investigazione su circa 90 minuti (giacché Armand scava negli ultimi giorni di Vincent, cercando di capire il perché della sua morte, e invece arrivando in questo modo a scoprirne, almeno in parte, la vita) appare troppo dilatata, con alcuni confronti che inevitabilmente risultano ripetitivi e un eccesso di dialoghi che in certi punti della pellicola stancano. Tanto che si ha la sensazione che l'idea della polacca Dorota Kobiela avrebbe funzionato molto di più su un formato breve nella durata, tuttavia onore al merito, perché anche se la trama (comunque immaginaria, seppur non tantissimo) è a mio avviso raccontata in modo un po' didascalico e poco incisivo, il film è riuscito, un film che si può guardare traendo altresì utili spunti sul pittore. Pittore che ebbe un'esistenza per nulla fortunata e semplice, come apprenderà il giovane, fatta di continui espedienti per poter continuare a dipingere quadri (circa 900 in soli 10 anni di attività) che quasi nessuno comprese all'epoca, ma che oggi costituiscono uno dei patrimoni artistici di maggior valore di sempre.
Tuttavia, e anche se immagini in bianco e nero svelano molti retroscena e momenti importanti della sua vita, molto resta in superficie. Giacché il primo vero limite di quest'opera è innanzitutto la trama: della vita affascinante e misteriosa e della personalità di Vincent Van Gogh i due registi decidono di guardare la morte, probabilmente l'aspetto meno interessante in un pittore sempre volto alla ricerca della vita. La storia segue in tal senso un narrazione da Quarto potere (di Orson Welles), con un personaggio esterno che indaga sulla morte/vita di un uomo cercando di coglierne il mistero. Ma dove nel capolavoro di Welles alla fine chi indaga non arriva a niente perché è impossibile cogliere il mistero di una persona, Loving Vincent ha il problema di svelare un po' troppo, alla fine il mistero di Vincent Van Gogh sembra dissolversi. La storia infatti, semplice e che si basa su fatti storici, e che sembra quasi assumere i toni di un documentario su Van Gogh sotto forma di storia romanzata, concentrandosi forse troppo e principalmente sugli ultimi giorni della sua esistenza tormentati dalla malattia mentale e sul mistero della sua morte (proprio perché non viene ripercorsa l'intera vita dell'artista, né viene analizzata in maniera dettagliata la sua arte), sembrerebbe essere "solo" una fotografia di parte della vita di Van Gogh che non analizza la complessità della figura del pittore in toto ma coglie solo gli aspetti più drammatici degli ultimi periodi. Gran parte delle scene del film inoltre sono ambientate "post mortem". Lo spettatore è quindi slegato sentimentalmente da Van Gogh, rimane distante, non si affeziona, non riesce a cogliere appieno il pathos della sua vita travagliata e della sua morte. E' innegabile infatti che il se il risultato dal punto di vista artistico è assolutamente eccezionale, meno, a mio avviso, da quello, non solo della espressività degli attori in quel modo ridisegnati, ma appunto dalla trama.
E' innegabile tuttavia e comunque sottolineare che l'opera è sicuramente singolare per il modo in cui è stata realizzata, dopotutto l'impatto visivo di un dipinto animato pieno di colore è forte ed insolito per il nostro occhio, inoltre il vedere personaggi e ambientazioni dei famosi quadri di Van Gogh prendere improvvisamente vita con tanto di doppiaggio sonoro genera una sensazione di stranezza e curiosità che può giustificare la visione del film. Un film, un esercizio, sebbene interessante e ben realizzato, puramente estetico che sazia solo la vista lasciando la mente digiuna di riflessioni ed emozioni sulla figura di Van Gogh. Il film è infatti esteticamente accattivante ma nel complesso è assolutamente freddo e non trasmette molto, racconta solo in maniera parziale un qualcosa di già noto. In ogni caso è doveroso nuovamente evidenziare la scelta stilistica davvero ammirevole (basti pensare al lavoro certosino di un team di più di 120 disegnatori), perché anche se a livello narrativo ogni tanto si nota qualche affanno, nel complesso l'opera anglo/polacca del duo Welchmann/Kobiela riesce a catturare l'attenzione e a non scadere mai nell'ovvietà, restituendo i tormenti di un genio i cui demoni personali resteranno (probabilmente per sempre) un mistero irrisolto. Difatti i difetti strutturali evidenziati (che potrebbero essere comunque soltanto personali) non tolgono che Loving Vincent sia un'opera unica nel suo genere e, pur semplificando al massimo l'intreccio, riesca a svelare l'uomo che si celava dietro la figura di uno dei più grandi pittori del XIX secolo. Un'opera, un film di animazione particolare che potrebbe non piacere a tutti proprio per come è concepito, tanto che è preferibile conoscere la vita di Van Gogh e le sue opere per apprezzare meglio le varie sfumature e "citazioni" pittoriche, tuttavia anche se siete anche solo minimamente curiosi (come me), questo incredibile, parzialmente innovativo, affascinante e artisticamente suggestivo film, merita almeno di essere visto una volta e tanto apprezzato. Che poi meritasse di vincere il premio Oscar questo non so dirlo, giacché ho solo (compreso questo e Baby Boss) visto solo due dei cinque candidati ai film d'animazione, ma senza dubbio è questa una pellicola davvero imperdibile e soprattutto meritevole d'attenzione. Voto: 7