sabato 20 aprile 2019

Lettere da Berlino (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 16/05/2018 Qui - Basato sul romanzo Ognuno muore solo di Hans Fallada, a sua volta tratto dalla vera storia di Otto ed Elise HampelLettere da Berlino (Alone in Berlin), film del 2016 scritto e diretto da Vincent Pérez, è un interessante seppur atipico thriller-storico. Il film infatti, racconta di una vicenda insolita (un episodio che costituisce un antefatto degli eccidi di cui è tristemente nota la storia tedesca di quei terribili anni) che per una volta ci parla di lotta al nazismo da parte del popolo "ariano" (dalla parte dei tanti tedeschi che non hanno avuto voce né spazio), e non da parte della vessata minoranza ebrea. Lettere da Berlino difatti, ambientato agli inizi degli anni '40, quando una coppia di ceto operaio riceve la tragica notizia dal fronte che il loro figlio è rimasto ucciso durante una missione facente parte del piano di espansione territoriale imposto dal regime nazista, e che quindi in segno di "protesta" decidono di "combattere" il regime nazista iniziando una campagna di resistenza basata su delle cartoline contro Hitler (su cui ovviamente la Gestapo inizia per questo a dar loro la caccia), ci dà prova che non tutti, non proprio tutti, fossero in accordo con il regime che avrebbe cambiato il volto all'Europa intera. Tutto abbastanza "nuovo" perciò, anche se tutto forse inutile alla fine (anche perché come nella vicenda della "Rosa Bianca" di Monaco e che come quei giovani studenti finirà nello stesso modo e soprattutto solo una parte delle cartoline riuscì nel suo intento) ma principalmente (e storicamente) interessante. Proprio perché il film (al contrario delle tante pellicole che di questo periodo storico sembrano ormai inflazionate), restringe il campo su un capitolo particolare, quello della resistenza interna al regime, posta in essere dagli stessi tedeschi, che di sicuro ha fatto meno rumore di tutto il resto ma evidentemente è riuscita comunque a farsi sentire. Resistere però non vuol dire soltanto opporsi, disobbedire, significa anche rischiare, ed è per questo che durante la visione del film ci si chiede spesso se i protagonisti di questa storia siano stati degli eroi o soltanto dei folli, e ad un certo punto la risposta appare scontata.
Nonostante ciò, il film costituisce un'importante testimonianza della paura che regnava nella Germania nazista, che non era soltanto la paura di un'intera popolazione nei confronti di un regime dotato di un corpo militare e di polizia, mezzi di tortura e pene mortali, era anche la paura inversa, quella di un regime così imponente che temeva la gente comune, gente dotata soltanto di una penna e della forza delle parole. Proprio per questo il film mi è piaciuto, anche se nonostante le migliori intenzioni e l'intensità interpretativa delle tre star di prim'ordine (Gleeson, Thompson e Bruhl), esso rimane un po' ingessato in se stesso, come un compito corretto eseguito diligentemente, ma assolutamente privo di vitalità e di uno stile che non si discosti da una neutra impeccabilità. Dopotutto è ottima (grazie anche ad una buona fotografia) la ricostruzione scenografica della Berlino anni '40, ma anche un po' troppo rigida e non proprio in grado di trasmettere l'emozione che da una vicenda del genere si presupporrebbe di riuscire a percepire. Perché anche se la regia di Vincént Pérez (attore svizzero ma già con qualche esperienza di regia) è elegante e priva di virtuosismi, essa è troppo asciutta. Lettere da Berlino infatti (un film comunque notevole a parte qualche piccolo dubbio sullo sviluppo della vicenda), seppur realizzato con cura, racconta semplicemente il succedersi degli eventi in maniera fredda e distaccata (nonostante la buona colonna sonora di Alexander Desplat). Tuttavia i due attori protagonisti, Brendan Gleeson ed Emma Thompson, sono veramente straordinari. Poiché pur senza enfatizzare né urlare il proprio dolore trasmettono con i soli sguardi l'intima sofferenza e la solitudine a cui sono costretti, arrivando dritti al cuore degli spettatori. Bravo anche Daniel Bruhl nel ruolo del poliziotto diviso tra il senso del dovere e i sensi di colpa. Tutto per un film, il cui finale lascia parecchi spunti di riflessione e che forse avrebbe meritato più cura, ma che nonostante ciò riesce a farsi sufficientemente apprezzare. Voto: 6