Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 07/05/2018 Qui - Non è un film facile e ammetto che mi aspettavo qualcosa di diverso, più simile a Wall Street, tuttavia questo film "sui generis" sorprende per l'originalità e la freschezza nel trattare una materia complessa come quella dell'alta finanza, alla quale il regista riesce a conferire quel "quid" di cinematografico. La pretesa è infatti quella di rendere cinematografica, nonché comprensibile al grande pubblico, una materia complessa come quella dell'alta finanza, e Adam McKay centra (sorprendentemente) il bersaglio. Perché una volta tanto un film, questo, La grande scommessa (The Big Short), film del 2015 diretto dal regista statunitense, basato su una storia drammaticamente reale, come l'esplosione della bolla immobiliare del 2008 (e tratto dal libro di Michael Lewis The Big Short: Il grande scoperto, The Big Short: Inside the Doomsday Machine), permette di capire perché e che fine hanno fatto i soldi dei risparmiatori americani, di chi erano le responsabilità e chi ha preferito far finta di niente, nonostante in parecchi avessero capito su quale china il mercato avesse iniziato a correre. Ma se tutti conoscono l'impatto che ha avuto nel mondo la crisi economica del 2008, altresì forse non tutti sanno che tre gruppi di persone l'avevano ipotizzata e ci avevano pure scommesso. Nel 2005, infatti, l'eccentrico manager di hedge Michael Berry (Christian Bale) scopre che il mercato immobiliare statunitense è estremamente instabile, essendo formato da mutui "subprime" ad alto rischio e fornendo sempre meno ritorni. Secondo lui era possibile ipotizzare il crollo nel secondo trimestre del 2007 e trarne addirittura profitti scommettendo contro il mercato immobiliare stesso con la creazione di "credit default swap". Di questa sua ipotesi ne viene a conoscenza anche l'investitore Jared Vennett (Ryan Gosling), il trader Mark Baum (Steve Carrell) e due giovani avidi investitori, Charlie Geller (John Magaro) e Jamie Shipley (Finn Wittrock), che chiedono aiuto al banchiere Ben Ricket (Brad Pitt), i quali non si lasciano scappare la possibilità di far soldi, tanti soldi.
La grande scommessa, quindi, racconta un capitolo della storia economica contemporanea sotto un altro punto di vista, forse ancora più entusiasmante. Non seguiamo gli eventi infatti dal punto di vista delle vittime, né da quello dei carnefici, ma da quello dei "furbetti" esperti di borsa che, fiutato l'imminente disastro, decisero di puntare contro la stabilità dei mutui e contro il mercato americano, finendo per arricchirsi a spese del mondo intero. Non a caso questo viaggio nel lato oscuro dell'alta finanza americana avviene attraverso lo sguardo di quattro personaggi (forse stereotipati ma veri) delineati da mastodontiche interpretazioni. A tal proposito se si pensa che il regista Adam McKay ha diretto e si è messo in luce con commedie demenziali come Anchorman o Fratellastri a quarant'anni (anche se è stato co-sceneggiatore tra l'altro di Ant-Man e del prossimo sequel ed ha collaborato alla trasmissione televisiva The Awful Truth: La Terribile Verità, una serie di documentari diretti e prodotti da Michael Moore, e non per caso la pellicola richiama per stile, scelte di montaggio e per il graffiante tono sardonico i controversi film inchiesta di Moore), il cast è quantomeno originale. C'è l'eccentrico manager di un hedge fund, Michael Burry, un uomo con la sindrome di Asperger che sembra impegnato solo ad ascoltare musica dei Metallica e oziare alla scrivania, e che fino all'ultimo sembra non godere della fiducia dei suoi stessi clienti (che ha un occhio di vetro ma vede più lontano di tutti fiutando per primo il disastro economico che sta per arrivare), interpretato benissimo da Christian Bale. C'è Jared Vennett (un a tratti esilarante Ryan Gosling), narratore del film e "lupo di Wall Street" che subodora il tracollo con largo anticipo, così come i due giovani investitori Charlie Geller (John Magaro) e Jamie Shipley (Finn Wittrock), aiutati da un ex mago della finanza (un ex-banchiere e ambientalista new age interpretato bene da Brad Pitt) che tuttavia gli mostra l'immoralità delle loro azioni con riscontri non proprio felici.
E infine c'è Mark Baum (un bravissimo Steve Carell perfetto in un ruolo tutt'altro che comico), capo di un hedge fund con un passato traumatico (non è riuscito a fermare il suicidio del fratello) che lo ha spinto a una totale sfiducia nei confronti del sistema in cui prima credeva. Quest'ultimo è il personaggio più interessante (la sua componente emotiva non a caso è quella più empatica ed approfondita, sostenuta dal breve ma importante apporto di Marisa Tomei), perché parte da uno stereotipo, ma diventa presto l'ancora morale del film. Anche se "morale" è un termine relativo: certamente, Baum è mosso da desiderio di rivalsa nei confronti dei colossi bancari, che vede come il male, eppure alla fine si arricchisce come tutti gli altri a scapito di milioni di posti di lavoro (e molti altri suicidi). Ma è proprio l'ambiguità morale a salvare molti dei personaggi, facendo funzionare le loro singole storie e gli intrecci tra esse. Dopotutto La grande scommessa lancia un messaggio forte e chiaro, anche a chi di Borsa non capisce pressoché niente: per troppo tempo un lassismo tollerato dagli organi di controllo ha fatto sì che i risparmi delle classi sociali inferiori evaporassero, lasciando la gente letteralmente in mezzo a una strada (e si parla di milioni di americani). In tal senso il gergo incomprensibile degli operatori viene, in maniera molto originale, illustrato efficacemente dal regista. Regista che svolge bene un compito difficile, come si diceva, perché per quanto ci siano scene in cui lo slang finanziario impedisce di capire un buon 90% di quello che viene detto, ce ne sono altre in cui, con semplici stratagemmi e "spiegoni" ben piazzati, egli riesce a far capire agli spettatori le grandi linee. Ha fatto ricorso infatti ad ogni espediente per cercare di somministrare passaggi nozionistici senza appesantire il film, ricorrendo, ad esempio, a celebrità quali Margot Robbie (in una vasca da bagno piena di schiuma) e Selena Gomez (affiancata a un tavolo da gioco di Las Vegas insieme al padre della finanza comportamentale Richard Thaler) che sfondano la quarta parete (come fa Ryan Gosling che paragona la stratificazione dei mutui a una partita di Jenga) spiegando al pubblico meccanismi complessi (tramite appunto similitudini e allegorie facilmente comprensibili da tutti) in maniera molto semplice.
Scelte a volte spiazzanti che però ci si aspetta da un regista di commedie. Eppure, uno dei difetti del film è che molti tentativi di ironia cadono un po' a vuoto o sanno di già visto. Tuttavia niente di esagerato, d'altronde qui non ci sono protagonismi da personaggi esagerati alla Wolf of Wall Street, quanto piuttosto una pletora di figuri che si considerano grandi professionisti, ma che sono i primi ad essere confusi dagli stessi prodotti che stanno vendendo, gente che non sa leggere i prospetti, gente che dagli organi di controllo passa a lavorare per le banche senza che nessuno non solo lo impedisca, ma che nemmeno si faccia domande. Un montaggio veloce e serrato e una scelta ispirata di musiche (messe al posto giusto e al momento giusto, che riescono a farti capire lo stato d'animo dei protagonisti) completano l'effetto generale di assistere a una incredibile, per quanto reale, rappresentazione (non per niente la scena più drammatica e rivelatrice del film è girata in un casinò a Las Vegas), a voler esasperare una situazione tragica ma al tempo stesso farsesca (perché la metafora, per quanto un po' troppo gridata, è efficace: stiamo parlando di un'élite che per decenni ha giocato d'azzardo con i risparmi, le vite e le certezze di una nazione, anzi del mondo intero, e vederli muoversi tra tavoli da gioco e slot machine aggiunge un'aura sinistra al tutto). La grande scommessa per questo è un film che in molte scene induce al sorriso, tuttavia è anche uno dei film più amari degli ultimi tempi. McKay scommette sul film e vince meritatamente, facendo di questa pellicola un'opera che con intelligenza si distingue dal resto per il coraggio di raccontare una pagina della storia che ha cambiato negativamente la vita a milioni di persone e puntare il dito contro un sistema che non ha avuto problemi a fare il cattivo gioco e rimanere quasi impunito.
Ma soprattutto viene raccontato il coraggio e, forse, la pazzia, di alcune persone che hanno continuato a credere in qualcosa che li ha sì arricchiti, ma a discapito della gente comune che voleva solamente vivere in una casa (la contraddizione è palese, ma in tal senso, la retorica finale del film è del tutto accettabile). Certo, alcuni passaggi sono un po' lenti e macchinosi, nelle parti più "tecniche" il film arranca un po' e boccheggia, ma riesce comunque a lasciare il suo messaggio ed a farlo restare impresso nella mente. Perché anche se ci saranno punti de La grande scommessa che non capirete, anche se ci saranno punti in cui vi ritroverete a grattarvi la testa, lo sguardo vitreo, la mente piena di domande a cui solo qualche lettura post-proiezione potrà dare una risposta, per tutti questi momenti, ce ne saranno altrettanti in cui potrete dire con soddisfazione: "Ho capito...quasi". E questo è senz'altro il maggiore successo del film di Adam McKay. Perciò se temete un film difficile o pesante state pur tranquilli, questi non sono i difetti de La grande scommessa. Quelli si possono riscontrare nell'irrilevante fotografia, che seppur si presta benissimo al genere e all'ambientazione reale della pellicola, non ha né punti di forza né punti deboli. A mio avviso però la pecca principale di questo film è la trama, perché è poco intrigante (forse perché sappiamo tutti come andrà a finire) e si cerca più di capire cosa è accaduto al sistema finanziario americano che alla storia dei protagonisti. Risultando quasi un documentario (nonostante non abbia per nulla i toni di un documentario) che un film in se per se. Ma poiché il regista statunitense, ulteriormente supportato a dovere da un'ottima sceneggiatura (non a caso il film candidato a cinque Premi Oscar tra cui miglior film, si è aggiudicato quello per la miglior sceneggiatura non originale) e da un cast stellare decisamente in forma, non si limita ad un "semplice" lavoro di mestiere ma anzi, è anche abile nello sfruttare le proprie esperienze nell'ambito del cinema demenziale, egli riesce a fare centro.
Ma soprattutto viene raccontato il coraggio e, forse, la pazzia, di alcune persone che hanno continuato a credere in qualcosa che li ha sì arricchiti, ma a discapito della gente comune che voleva solamente vivere in una casa (la contraddizione è palese, ma in tal senso, la retorica finale del film è del tutto accettabile). Certo, alcuni passaggi sono un po' lenti e macchinosi, nelle parti più "tecniche" il film arranca un po' e boccheggia, ma riesce comunque a lasciare il suo messaggio ed a farlo restare impresso nella mente. Perché anche se ci saranno punti de La grande scommessa che non capirete, anche se ci saranno punti in cui vi ritroverete a grattarvi la testa, lo sguardo vitreo, la mente piena di domande a cui solo qualche lettura post-proiezione potrà dare una risposta, per tutti questi momenti, ce ne saranno altrettanti in cui potrete dire con soddisfazione: "Ho capito...quasi". E questo è senz'altro il maggiore successo del film di Adam McKay. Perciò se temete un film difficile o pesante state pur tranquilli, questi non sono i difetti de La grande scommessa. Quelli si possono riscontrare nell'irrilevante fotografia, che seppur si presta benissimo al genere e all'ambientazione reale della pellicola, non ha né punti di forza né punti deboli. A mio avviso però la pecca principale di questo film è la trama, perché è poco intrigante (forse perché sappiamo tutti come andrà a finire) e si cerca più di capire cosa è accaduto al sistema finanziario americano che alla storia dei protagonisti. Risultando quasi un documentario (nonostante non abbia per nulla i toni di un documentario) che un film in se per se. Ma poiché il regista statunitense, ulteriormente supportato a dovere da un'ottima sceneggiatura (non a caso il film candidato a cinque Premi Oscar tra cui miglior film, si è aggiudicato quello per la miglior sceneggiatura non originale) e da un cast stellare decisamente in forma, non si limita ad un "semplice" lavoro di mestiere ma anzi, è anche abile nello sfruttare le proprie esperienze nell'ambito del cinema demenziale, egli riesce a fare centro.
La grande scommessa è infatti un film (dove interessante è la visione della finanza che esce forte, una visione super pessimista, dove finanzia e schifezza sono praticamente viste alla stessa maniera) da vedere (soprattutto se ve lo siete persi il primo maggio in prima visione su Paramount Channel), un film necessario. Ma anche un film "originale". Proprio perché personaggi sopra le righe, sguardi in macchina, rotture della quarta parete e "spiegoni" affidati a celebrità del tutto estranee al contesto, oltre ad una regia caratterizzata da un piglio quasi documentaristico, fanno de La grande scommessa una pellicola peculiare ed affascinante, degna di lode anche solo per il fatto di aver osato nel volersi distinguere dalla banalità e dalla sciatteria di alcuni lungometraggi "tratti da una storia vera" che sempre più spesso fanno capolino. In conclusione un film super godibile, che ahimè poteva avere una storia più avvincente e più coinvolgente (mi ripeto col dire che non è che il film non sia coinvolgente, ma che la storia dei protagonisti non prende molto), e che colpisce tanto per il talento (fino ad oggi sottovalutato) del suo regista. E quindi questo film, ben recitato (nel cast c'è anche una sempre efficace e funzionale Melissa Leo) e dal montaggio frenetico, un film benemerito e importante da vedere e da far vedere, anche e soprattutto nelle scuole, per capire come va il mondo, è un film che vi piacerà e vi farà anche incazzare se lo capirete in pieno, ma in ogni caso si tratta di un film straordinario, da non perdere. Soprattutto quando arriva il "silenzio" finale che circonda Wall Street, più assordante ed esplicativo di mille parole. Essi infatti, il finale, in cui il crollo delle borse mondiali è ripreso in un silenzio spettrale, è forse la cosa più potente e riuscita del film: quando arriva, l'apocalisse non fa rumore, è silenziosa e non lascia scampo. Perché anche se non sarà un film memorabile o eccezionale, l'impatto è forte, lasciando l'amaro in bocca ma anche la qualità di un film bello, potente e interessante. Voto: 7+