Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/07/2018 Qui - È plausibile che una stimata storica, professoressa universitaria, sia costretta a dimostrare in tribunale che le accuse mosse a un negazionista di aver distorto volutamente i fatti storici, non rappresentino diffamazione? È possibile che, per farlo, debba addirittura portare davanti a un giudice le prove che dimostrino l'effettiva esistenza dell'Olocausto? In Inghilterra, dove non esiste la presunzione d'innocenza, sì. È quello che è successo realmente (negli anni novanta) a Deborah Lipstadt (Rachel Weisz), professoressa di studi ebraici moderni e dell'Olocausto all'Emory University di Atlanta, quando il sedicente storico David Irving (Timothy Spall) l'ha citata in giudizio al tribunale di Londra, dando così vita a uno dei processi più paradossali e significativi degli ultimi decenni. Per quanto assurdo che sembri, La verità negata (Denial), film del 2016 diretto da Mick Jackson, tratto dal libro History on Trial: My Day in Court with a Holocaust Denier di Deborah Lipstadt, racconta quindi come non sia così semplice provare l'ovvio, soprattutto quando a rimetterci potrebbe essere la storia stessa e milioni di morti senza colpa. Ma qui si tratta della storia, e perdere potrebbe distruggere una delle verità sui fatti più atroci che l'essere umano abbia mai commesso. Nel duello tra Irving (che ha deciso di difendersi da solo) e la Lipstadt, a prendere il sopravvento è invece l'avvocato Richard Rampton (un come sempre grandissimo Tom Wilkinson), perché con la sua strategia deve difendere le sorti dell'umanità intera e la sua verità storica. Perché cosa si può rispondere a chi sostiene che ad Auschwitz non ci siano state camere a gas? Le parole potrebbero non bastare, proprio perché in questo caso servono le prove, scientifiche e provate, anche se i fatti sono oggettivi, testimoniati dai sopravvissuti e comprovati dalla storia stessa. Eppure il processo va avanti, ed è incredibile come le persone coinvolte, e non solo, si trovino davanti l'evidenza negata. Processo che prende buona parte della pellicola, dopotutto La verità negata, è un vero thriller giudiziario (cosiddetto legal drama), che racconta meticolosamente la battaglia legale intrapresa dall'autrice (ma anche le parti più intime delle persone coinvolte), un genere che si fonda sull'attesa delle udienze con tutto ciò che comporta (causa del contenzioso, turbamento dell'imputato, mestiere investigativo, confronti preliminari) e su un'esatta sintesi tra intrattenimento e coinvolgimento, che qui riesce ad essere ben inserito nell'architettura del processo inglese, del quale vengono spiegati alla protagonista americana (e a noi spettatori) i meccanismi, le regole, i ruoli, i pericoli.
Alla regia, il veterano Mick Jackson (di cui si ricorda soprattutto Guardia del corpo e Vulcano: Los Angeles 1997) dirige con mano sicura (perché grazie soprattutto alla sceneggiatura di David Hare, il ritmo è spedito e non ci si annoia mai, egli riesce a non cadere nella trappola di un pedante sentimentalismo) un film che al di là del tema sa incidere allacciandosi ad una variegata tradizione (non solo il legal ma anche la solida, elegante, nobile medietà britannica) e servendosi di abile mestiere. Il meglio sta nella direzione degli attori, specie nei grandiosi non-duetti tra il viscido negazionista del mefistofelico Timothy Spall e il blasonato avvocato del magistrale Tom Wilkinson (che non guarda mai negli occhi l'avversario), non dimenticando comunque una funzionale Rachel Weisz. Pertanto il film risulta senza alcun dubbio molto ben diretto e complessivamente aderente ai fatti reali, che pone altresì diversi interrogativi e riflessioni sul tema. Proprio perché questa è un'ottima occasione (dopotutto la pellicola apre alla discussione e a quanto peso possano avere le parole, la storia e la memoria) non solo per riaffrontare un tema delicato ma che necessita di essere sempre ricordato, quello appunto dell'olocausto, ma per indagare anche il tema della manipolazione della realtà, che può essere attuata da studiosi, media, sedicenti "esperti" di varie materie, per sostenere tesi a loro più convenienti. Un film per questo utile e necessario, di quelli "da far vedere nelle scuole", che mostra quanto una verità, seppur assoluta, possa essere messa in discussione e quanto sia necessario prodigarsi per difenderla. Certo, non è questo un capolavoro, anche perché questo documento legale verte forse su un rigore eccessivo e classico, risultando più interessante per le parole che per la storia stessa, tanto che, essendo anche troppo specifico e minuziosamente rappresentato e dialogato, potrebbe interessare solo pochi spettatori, tuttavia, e nonostante uno stile alquanto forzato, e pur essendo un film costruito sulla parola e non sull'azione, si resta coinvolti e con il fiato sospeso fino alla sentenza, non senza soffrire dell'assurdità della situazione. Un film quindi non eccezionale ma importante ed interessante, da consigliare a tutti (e soprattutto ai giovani) affinché si resti sempre vigili di fronte a ciò che si ascolta, si vede, si legge, per non dimenticare di ricordare. Voto: 6,5
Alla regia, il veterano Mick Jackson (di cui si ricorda soprattutto Guardia del corpo e Vulcano: Los Angeles 1997) dirige con mano sicura (perché grazie soprattutto alla sceneggiatura di David Hare, il ritmo è spedito e non ci si annoia mai, egli riesce a non cadere nella trappola di un pedante sentimentalismo) un film che al di là del tema sa incidere allacciandosi ad una variegata tradizione (non solo il legal ma anche la solida, elegante, nobile medietà britannica) e servendosi di abile mestiere. Il meglio sta nella direzione degli attori, specie nei grandiosi non-duetti tra il viscido negazionista del mefistofelico Timothy Spall e il blasonato avvocato del magistrale Tom Wilkinson (che non guarda mai negli occhi l'avversario), non dimenticando comunque una funzionale Rachel Weisz. Pertanto il film risulta senza alcun dubbio molto ben diretto e complessivamente aderente ai fatti reali, che pone altresì diversi interrogativi e riflessioni sul tema. Proprio perché questa è un'ottima occasione (dopotutto la pellicola apre alla discussione e a quanto peso possano avere le parole, la storia e la memoria) non solo per riaffrontare un tema delicato ma che necessita di essere sempre ricordato, quello appunto dell'olocausto, ma per indagare anche il tema della manipolazione della realtà, che può essere attuata da studiosi, media, sedicenti "esperti" di varie materie, per sostenere tesi a loro più convenienti. Un film per questo utile e necessario, di quelli "da far vedere nelle scuole", che mostra quanto una verità, seppur assoluta, possa essere messa in discussione e quanto sia necessario prodigarsi per difenderla. Certo, non è questo un capolavoro, anche perché questo documento legale verte forse su un rigore eccessivo e classico, risultando più interessante per le parole che per la storia stessa, tanto che, essendo anche troppo specifico e minuziosamente rappresentato e dialogato, potrebbe interessare solo pochi spettatori, tuttavia, e nonostante uno stile alquanto forzato, e pur essendo un film costruito sulla parola e non sull'azione, si resta coinvolti e con il fiato sospeso fino alla sentenza, non senza soffrire dell'assurdità della situazione. Un film quindi non eccezionale ma importante ed interessante, da consigliare a tutti (e soprattutto ai giovani) affinché si resti sempre vigili di fronte a ciò che si ascolta, si vede, si legge, per non dimenticare di ricordare. Voto: 6,5