venerdì 24 maggio 2019

The Legend of Tarzan (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/05/2018 Qui - Il personaggio Tarzan ha sempre catturato l'attenzione del pubblico, sia nella serie di romanzi di Edgar Rice Burroughs sia nei vari adattamenti cinematografici. E così, dopo l'esperienza con gli ultimi 5 capitoli di Harry PotterDavid Yates (che ha all'attivo già due spin-off della saga del maghetto, uno già uscito l'altro prossimamente) si mette di nuovo dietro la macchina da ripresa per raccontare la storia di Tarzan. E lo fa ribaltando quasi completamente i ruoli, rivoltando gli eventi in favore di un Tarzan in fuga dalla vita borghese e inserendo la storia in un contesto storico credibile. Una scelta che poteva sembrare azzardata (e in parte lo è), ma che soddisfa pienamente, giacché ottima è l'idea di sorvolare sulla tanto conosciuta origin story, che si vede comunque brevemente in una serie di flashback sparsi in tutto il film. The legend of Tarzan, film del 2016 diretto dal regista britannico, sin da subito infatti, si presenta come un sequel rispetto al canone tradizionale, con Tarzan (che ora si fa chiamare John Clayton III) e sua moglie Jane costretti ad abbandonare gli agi della loro tenuta inglese per tornare in Congo. La missione è salvare la loro terra dalle avide mani del re belga Leopoldo e del suo uomo di fiducia, Leo Rom, pronto a creare, grazie all'aiuto di un vecchio nemico di Tarzan (che non sa di essere al pari del suo rivale pedina di scambio per un complotto), un impero basato sulla schiavitù degli indigeni e sull'estrazione intensiva di diamanti. Tuttavia la pellicola in verità, seppur è senza dubbio ammirevole il desiderio del regista di salvare Tarzan dalla piatta omologazione del blockbuster moderno, raggiunge risultati altalenanti. Non solo perché questo riadattamento (comunque solido) è privo di guizzi narrativi o intuizioni registiche, ma perché il senso di già visto è ricorrente, anche se la storia, per quanto semplice e prevedibile, non risulta mai banale, facendosi seguire dall'inizio alla fine. Il film difatti, sorretto da una fotografia efficiente, da una colonna sonora intrigante e da location mozzafiato (la foresta affascinante e variopinta del Congo), seppur parta con tutti i pregi ma anche i difetti del caso (cominciando da uno script che poco scava nei personaggi ma che comunque si 'salva' durante il percorso narrativo lineare ed asciutto), riesce a farsi apprezzare. Proprio perché la e nella pellicola (un inno ai diritti umani ed una denuncia al razzismo e alla schiavitù), seppur non raggiungendo la perfezione di altre pellicole odierne, il contesto, i costumi, gli animali 3D e animazioni fanno il loro dovere (fatta eccezione per alcune alquanto inverosimili sequenze).
Infatti nel corso di due ore che procedono al galoppo, il film (inizialmente lento ma che mantiene un ritmo incalzante per gran parte del tempo, non stancando e lasciandosi seguire senza problemi), fa il suo dovere assicurando allo spettatore momenti in cui si ride, ci si emoziona e si rimane a bocca aperta per alcune sequenze spettacolari, in primis quella del combattimento di Tarzan contro uno scimmione. In tal senso, grazie all'uso di effetti speciali accattivanti e ben orchestrati (ma non perfetti) il film prende forma e permette allo spettatore di immergersi in un mondo nuovo e intrigante, pieno di sfumature e di momenti caratterizzati da una dolcezza, forse inutile ma giustificata (a tal proposito non ho trovato troppo sdolcinata la storia d'amore tra i due protagonisti, che uniti e separati di continuo, riescono ad intraprendere ognuno la propria strada affrontando ogni sfida in modo completamente autonomo ma allo stesso tempo complementare). Perché a questi si contrappongono inseguimenti, scene di lotta e di peripezie, ma anche molta suspense e adrenalina allo stato puro. Questo grazie, non solo ai molti temi che affronta il film, ma anche a tutti gli attori perfettamente in parte. Da Alexander Skarsgård, un perfetto Tarzan non solo fisicamente, ma soprattutto espressivamente, a Margot Robbie (che fa sempre la sua porca figura), e da Djimon Hounsou (perfetto gladiatore africano) e Samuel L. Jackson (ironicamente interessante), fino ad un riuscitissimo villain interpretato da Christoph Waltz, che sembra aver appena dismesso la divisa nazista di Bastardi senza gloria. Insomma nulla viene lasciato in sospeso, anche se il finale è un po' scontato e prevedibile, ma (come è giusto che sia) non poteva mancare il lieto fine. In definitiva difatti, seppur questo è un film senza infamia e senza lode, né perfetto ne memorabile, ma neanche brutto, siamo di fronte ad un film niente male, che tenta di rinverdire una saga da tempo "morta" e rivista molte (troppe) volte, ben confezionato e senza particolari pretese. Voto: 6