giovedì 30 maggio 2019

Manchester by the Sea (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/07/2018 Qui - Con la stagione cinematografica 2016 (non discosta tanto anche quella successiva) ebbi già l'intuizione che poteva essere una di quelle da non dimenticare, basti solo vedere i film candidati agli Oscar 2017 per accorgersene, perché a parte alcune piccole delusioni, tanti sono i film che mi sono piaciuti tanto, e tra questi, tra i candidati e poi vincitori di almeno un premio, fa la sua comparsa, e meritatamente dopo averlo visto, anche il bellissimo Manchester by the Sea, film del 2016 scritto e diretto da Kenneth Lonergan. Il film infatti, un film semplice ma unico nel suo genere, che riesce a scavarsi una via di emozioni e sentimenti nella pelle degli spettatori, catturandoli al suo interno, convincendoli ed emozionandoli del dramma umano che si consuma sullo schermo, è una perla di rara fattura e sensibilità. Difatti questo racconto pieno di tensione che evita abilmente il mero sentimentalismo per concentrarsi su una assai penetrante intuizione emotiva e per analizzare profondamente le relazioni umane, riesce elegantemente a farsi largo tra prodotti simili. Poiché il regista affronta una realtà drammatica in maniera assolutamente originale e in alcuni momenti riesce abilmente a venarla di umorismo. Tanto che risulta quanto mai evidente l'intenzione di spazzare via qualunque scontato e semplicistico patetismo in favore di un approccio autentico e a tratti persino crudo. Non a caso il film di Kenneth Lonegarn (conosciuto più come sceneggiatore che regista, qui alla terza regia dopo gli abbastanza anonimi Conta su di me e Margaret, infatti ha scritto ottimi film come Gangs of New York di Martin Scorsese e i divertentissimi Terapia e Pallottole e Un Boss Sotto Stress) ci mette di fronte al senso di solitudine di un uomo sconfitto dalla vita attraverso un linguaggio filmico scarno, fatto di pochi e brevi dialoghi, intensi primi piani ed una fotografia che privilegia i colori freddi. Questo perché Manchester by the Sea (in cui è bello rivedere, anche solo per 5 minuti, attori cult come Matthew Broderick) non è la classica storia hollywoodiana di un eroico riscatto: è una storia che parla della reale inadeguatezza umana di fronte alle sfide insormontabili che a volte, in modo crudelmente improvviso e incomprensibile, la vita presenta. Piccoli uomini con piccole ambizioni e piccole risorse rispondono a queste sfide come possono.
Tra questi c'è Lee Chandler (Casey Affleck), un uomo triste e solitario, un custode un po' tuttofare che vive e lavora a Boston, che conduce un'esistenza sicuramente poco appagante e sommessa (il suo comportamento brusco e aggressivo, così come il suo sguardo spesso vuoto ed assente tradiscono forse l'ombra di un passato tormentato e pieno di dolore?), la cui vita viene stravolta dall'improvvisa morte del fratello Joe (Kyle Chandler). Fatto che lo costringe a tornare nella sua città natale Manchester (che non è in Inghilterra, come tutti immaginano, qui si guida a destra e c'è il mare, un mare splendido battuto dai venti gelidi dell'inverno nordamericano), dove scopre di essere stato nominato tutore del nipote sedicenne Patrick (Lucas Hedges), che non vedeva da molti anni e che deve ora imparare a conoscere. Egli però in questo piccolo borgo a pochi chilometri da Boston (in cui tuttavia sembra proprio di essere sulla costa inglese, tra barche a vela, pescherecci, albatros, pinte di birra mandate giù fino a sfondarsi, e annessa una tristezza inguaribile) non vorrebbe restare, troppi ricordi, troppo dolore. Questo ritorno in città infatti riporterà alla mente ricordi drammatici e che trasferendosi a Boston aveva cercato di dimenticare ed eliminare dalla sua vita, dalla sua mente e dal cuore. Sarà perciò costretto a fare i conti con il proprio passato, e chissà trovare quella pace interiore ormai perduta. E chiaro quindi da questo incipit che il film parli di tematiche non propriamente leggere, che ci voglia in tal senso una mano sensibile e una abile moderazione dei contenuti, cosa che straordinariamente questo film ha, per far sì che tutto non sfoci in stucchevole malinconia, o che le suddette tematiche non lo facciano sfociare nel patetico, o che non rischino, al contrario, di finire disinnescate da un utilizzo non oculato dell'arma dell'ironia. E di senso della misura è evidentemente dotato il regista Kenneth Lonergan, che su due ore e passa di pellicola distende un'opera asciutta e stratificata che si rivela poco a poco, inserendo nel corpo del racconto del presente brevi flashback che progressivamente svelano l'entità e la profondità del dramma passato che ha indotto Lee a cambiare aria: una catastrofe familiare da gelare il sangue a cui Lonergan conduce con mano leggera, muovendosi con naturalezza e levità tra un mare di emozioni contrastanti.
Non solo, anche utilizzando un umorismo mai indiscreto, affidandosi alla brillantezza dei dialoghi e alla splendida interpretazione di un Casey Affleck caustico e malinconico, che lavora in sottrazione curando tutte le sfumature di un personaggio che pare sentirsi addosso, e il cui dolore sembra vivere in prima persona, nello sguardo avvilito e torvo, nella postura chiusa, nel rifiuto anche solo di provare a cercarsi qualcosa dentro. E così Manchester by the Sea si presenta come un prodotto solido e duraturo, che parla con pudore di perdita e di amore, riuscendo a lavorare sotto pelle e lasciare, anche dopo la visione, ampie tracce del suo amarissimo realismo. E non è un caso quindi che in una vicenda umana che vede alternarsi (a volte mescolarsi) in modo totalmente imprevisto lacrime e risate in egual misura, uno straordinario Casey Affleck tratteggi splendidamente il carattere complesso di un uomo mediocre della classe operaia, senza arte né parte, che si ritrova a seppellire sotto una corazza di ghiaccio un dolore più grande di lui. Già apprezzabile in diversi titoli (come il sottovalutato Gone baby gone e L'assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford) ma spesso ancora etichettato come "il fratello meno famoso di Ben Affleck", Casey ha un viso da ragazzino e lineamenti fin troppo regolari che al di fuori delle produzioni indipendenti lo hanno sempre reso più adatto a ruoli di contorno che non da protagonista. Ma Manchester by the Sea gli ha dato finalmente l'opportunità di sfruttare il suo talento a tutto tondo: con un'interpretazione mai sopra le righe, Affleck infatti incarna benissimo il dramma della provincia americana che qui gli fa da sfondo, idealmente sospinta verso il futuro come le barche che prendono il largo, ma di fatto ancorata a un passato da cui sembra impossibile fuggire. E il racconto del passato di Lee ci è tramandato attraverso un graduale (e delicatissimo, commovente) svelamento, fatto di occasionali flashback di vita quotidiana, che come in un puzzle ricostruiscono i ricordi di una vita andata in frantumi. Ma l'attore, nato proprio in Massachusetts, non è solo, a supportarlo degni comprimari quali il giovane Lucas Hedges nella parte del nipote Patrick (con due fidanzate, una band e tanta voglia di vivere), Michelle Williams in quella dell'ex moglie Randi (limitata nel minutaggio ma straziante nell'interpretazione) e Kyle Chandler in quella del fratello Joe (toccante l'abbraccio e il supporto che da allo sfortunato fratello), oltre che una toccante colonna sonora in cui i pezzi originali di Lesley Barber convivono con brani di musica classica, dando voce ai sentimenti inesprimibili del protagonista.
Manchester by the Sea è quindi, si un film molto drammatico, ma che si spinge oltre e va in profondità ad analizzare i vari personaggi e le loro emozioni. E quindi in generale è questo un ottimo film, i punti forti sono sicuramente le interpretazioni degli attori, tutti in parte e diretti alla perfezione, la regia e la sceneggiatura (che non a caso ha vinto l'Oscar per la Miglior sceneggiatura originale) perché il regista fa uno splendido lavoro e si comincia a far conoscere con questo suo terzo film realizzando una storia credibile, veramente intensa e trasposta sul grande schermo in maniera fantastica. Inoltre il regista utilizza una regia asciutta, pulita spesso utilizzando inquadrature fisse, rimanendo molto sul soggetto e trasformando la macchina da presa nell'occhio dello spettatore, il quale è letteralmente trasportato all'interno del film e ammira il lavoro degli attori, i quali hanno tutto il tempo di dare il massimo ed esprimersi al meglio, soprattutto l'interpretazione di Casey Affleck (vincitore per questo dell'Oscar come Miglior attore protagonista), che ci regala un personaggio di straordinaria profondità e complessità ed il paesaggio, fatto di porticcioli, barche e cantieri navali, e dove il mare è il freddo e turbolento interlocutore dell'uomo conferisce alla storia un'atmosfera quasi straniante. Tanto che poiché complesso e a tratti sfuggente, questo è un film sicuramente difficile da etichettare, si ha, infatti, spesso l'impressione di non sapere affatto che cosa stia per accadere e in quale direzione vogliano muoversi i personaggi. Tuttavia il potere di suggestione e fascinazione che l'intera pellicola esercita sullo spettatore è significativo e porta ad una completa compartecipazione alle vicende narrate e alle emozioni messe in scena. Non ci sono conclusioni facili o scontate nel film di Lonegarn, così come non ce ne sono nella vita reale, dopotutto la scena finale, senza essere eclatante o catartica è fortemente simbolica, perché adduce alla ciclicità della vita, ciclicità che lascia forse aperta la porta alla speranza, quella speranza di tornare a vivere come una famiglia, raccogliendo attimi di felicità. Poiché non tutto, come ci suggerisce anche il regista difatti, deve per forza procedere secondo un ordine ben preciso, ci sono avvenimenti improvvisi che arrivano a stravolgere bruscamente l'esistenza, a deviare inaspettatamente un percorso ed i suoi personaggi, così come le persone reali, si trovano a dover affrontare, ciascuno a suo modo, l'imprevedibilità della vita.
La vita (la quale deve essere assolutamente vissuta al massimo nonostante tutto, condividendo non solo i momenti migliori con le persona che abbiamo accanto, che amiamo e a cui teniamo veramente) che questo grandissimo film ci fa conoscere, grazie appunto a questo film che ci trascina emotivamente all'interno della storia insieme ai protagonisti e tutte le loro emozioni. E per questi motivi è stato giustamente esaltato dalla critica e si è aggiudicato un sacco di premi e nomination in tutto il mondo. Però il film ha anche dei difetti, che non lo rendono quel capolavoro tanto millantato, come ad esempio a tratti il ritmo lento del film, perché il soffermarsi con lunghe inquadrature fisse alla lunga appesantisce, poi in generale il film, colpa della sua particolarità mette forse troppo tempo ad ingranare all'inizio e se non si segue attentamente il film e i vari flashback del protagonista (i quali aumentano sempre di più mentre si trova nella sua città natale) ci si può perdere e non capire benissimo il senso del film, ma se non succede si può rimanere comunque più che soddisfatti. L'ultimo piccolo difetto del film (se ci aggiungiamo alcuni ralenti abbastanza superflui e qualche ridondanza della soundtrack) è che mi sarei aspettato qualche "approfondimento" di alcuni personaggi come ad esempio l'ex moglie Randi, interpretata da Michelle Williams, su cui si poteva andare ancor di più in profondità, e forse anche il personaggio della madre di Patrick, non dimenticando Patrick stesso, forse troppo ambiguo. Tanto che mi sono sembrate eccessive le due candidature a Williams ed Hedges per le migliori attori non protagonisti (premi che non a caso non hanno vinto). Ma questi difetti tuttavia non sminuiscono sicuramente il mio punto di vista ben più che positivo sul film, un film che mi ha letteralmente emozionato (una lacrima è infatti scesa), e in ogni caso resto comunque dell'idea che Manchester by the Sea è un film che si è meritato le 6 nomination, e poi le due statuette vinte, anche se poi in verità Casey Affleck non che risulti straordinario come anche la sceneggiatura "originale" (ma non nuova e originalissima al 100%) del regista. In tal senso era difficile vincere l'Oscar per il miglior film, non è proprio il migliore del lotto, e neanche il premio per la regia a Kenneth Lonegarn, anche perché sprazzi di genialità qui non ce ne sono, anzi, nonostante la bravura è anche troppo "semplice". In ogni caso questo è un film (bellissimo ed emozionante) veramente da recuperare e da vedere. Un film che forse sceglie un approccio spesso respingente e macchinoso per raggiungere un'elaborazione del dolore legata a sviluppi, sviluppi tuttavia ben ponderati e di conseguenza credibili (senza altresì rinunciare ad una sottile ironia, per nulla fuori luogo) che raggiungono il cuore e l'anima. Voto: 7,5