domenica 26 maggio 2019

Elle (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 04/06/2018 Qui - C'era un tempo in cui andavano forte i "Rape & Revenge" (e il tempo sembra non essere ancora finito per loro, anzi), un particolare filone realistico dell'horror in cui una donna vittima di violenza sessuale si vendica in maniera dieci volte più cruenta dei suoi stupratori. Ora, in maniera del tutto singolare, anche il mitico Paul Verhoeven tenta la strada del Rape & Revenge, ma lo fa in maniera del tutto slegata dalla tradizione con Elle, un oggetto filmico affascinante e allo stesso tempo fortemente imperfetto. In Elle, film del 2016 diretto dal regista olandese, facciamo la conoscenza di Michèle, una donna forte e indipendente che sta a capo di un'azienda che produce videogiochi. Un giorno Michèle viene aggredita e stuprata, dentro casa sua, da uno sconosciuto dal volto coperto da un passamontagna. La donna decide di non denunciare l'accaduto, ma si procura le armi e comincia a dargli la caccia. Questo è solo l'incipit però, quello che sulla carta lo identificherebbe appunto come Rape & Revenge. Solo che Elle non si accontenta di un'etichetta di genere e va oltre in maniera così spudorata da perdere completamente un'identità: da dramma si trasforma in commedia e quell'anima thriller che lo muoveva diventa ben presto grottesco. Grottesco che tuttavia non vuol dire perdere ogni senso o logica (rasentare la mediocrità), anche perché in questa pellicola (una sorta di commedia grottesca sulla vita e sulle pulsioni), che in ogni caso segna il grande ritorno di Paul Verhoeven, lo scandaloso regista olandese che ben venticinque anni fa lasciava un marchio indelebile nella storia del cinema con Basic Instinct, nel quale una Sharon Stone più bella, più erotica e più perversa che mai faceva perdere la testa al detective Nick Curran interpretato da Michael Douglas, qui tuttavia al contrario la Michèle di Isabelle Huppert è molto diversa dalla bionda Catherine Tramell, tanto quanto Elle lo è da Basic Instinct, proprio perché i toni oscuri, da thriller poliziesco, qui vengono abbandonati in favore di atmosfere non allegre, ma sicuramente più leggere, egli narra comunque senza forzare mai la mano sul pathos, Michèle è una donna forte, dal pugno di ferro sia nella vita privata che sul luogo di lavoro (è una produttrice di videogame, un aspetto molto interessante che ci fa capire molto di questa donna energica, giovanile, circondata dai poster di The Last of Us o The Order 1886), una donna dal passato turbolento e tragico, che dà poca importanza alla violenza subita perché ne ha già passate fin troppe.
Il suo atteggiamento indifferente sarà forse reazione al trauma vissuto da bambina, quando il padre compì una strage nel quartiere massacrando 27 persone? Si scoprirà che quello che si potrebbe attribuire ad una forma di rimozione del trauma può nascondere qualcosa di completamente diverso ed inquietante. Michèle intraprende infatti una personale indagine per scoprire l'identità del suo assalitore all'interno della grottesca umanità che popola la sua esistenza: l'ex marito scrittore fallito di cui è tuttora gelosa, l'imbranato programmatore di videogiochi innamorato di lei, l'anziana madre che se la spassa con prestanti gigolò, la vicina fervente cattolica col marito broker, la coppia formata dalla amica e collega inseparabile ed il marito cui va a letto, il figlio bonaccione e buono a nulla maltrattato da una fidanzata stronza. Ma quello che succederà andrà oltre, perché questo strano gioco (allestito intelligentemente dal regista) fra vittima e carnefice, fra preda e cacciatore (e in tal senso l'incedere del film non punta mai a rivelare l'identità del molestatore) rivelerà ambigue verità, comunque non proprio convincenti. Giacché il film di Verhoeven non è affatto l'ottimo o il thriller che mi aspettavo dalle anticipazioni sulla trama. Egli infatti sfugge ad ogni classificazione o a qualsiasi incasellamento nei generi prestabiliti delle forme narrative più comuni (lo stupro che apre il film è anch'esso un evento impossibile da incasellare nel consueto e "rassicurante" spazio dell'imprevedibilità, dello straordinario), non è un dramma psicologico, anche se ne sfrutta abilmente alcune consuetudini, non è un thriller, giacché la sinuosità dell'intreccio non conduce mai per mano lo spettatore verso una soluzione su temi e personaggi messi in campo, non è un film erotico, i corpi e il loro linguaggio, non trasmettono né sensualità né desiderio, ma nascondono invece un intento molto più sottile.
Tuttavia, grazie ad una sceneggiatura di abilissima fattura che si muove agilmente (ma non perfettamente) tra diversi registri, fondendo l'ironia tagliente della commedia nera con lo studio sulle relazioni tra personaggi all'interno dei legami familiari, amicali e di vicinato, e muovendosi in costante equilibrio tra il ridicolo e il grave, la tragedia e la farsa, il film riesce comunque a farsi apprezzare. Le gustose sotto-trame difatti (la relazione clandestina di Michèle con il marito dell'amica, gli imbrogli romantici della madre trafficona, la gelosia per la nuova ragazza dell'ex marito, la stupidità del figlio che non si accorge di essere gabbato dalla fidanzata che partorisce un bimbo nero, la relazione non risolta col padre ergastolano ed il lascito mostruoso della sua infanzia) rendono quello che poteva essere un "semplice" thriller qualcosa di più. Elle è, infatti, uno dei più duri attacchi alla classe elitaria che si siano visti di recente. Una critica che si avvicina a quella di altri registi europei e che fa chiaramente intendere quali siano le origini di Verhoeven. Un regista capace di spaziare tanto tra generi diversi, che non ha perso, dato che l'aspetto della durezza e la freddezza della critica spietata che rivolge al mondo borghese l'ha sempre contraddistinto, anche in progetti come Starship Troopers o RoboCop, troppo spesso non analizzati in profondità soltanto perché considerati prodotti di genere, il suo sguardo cinico e spietato per raccontare la contemporaneità. Si può affermare quindi che Elle, non lontano dalle opere di Michael Haneke per l'idea di una borghesia che, dietro a una facciata perbenista, nasconde un malessere di fondo e una perversione inimmaginabili, sia in continuità con le sue opere precedenti, non ponendosi insomma come una novità nella filosofia di Verhoeven, ma come un giusto e coerente proseguimento del suo cinema.
Cinema lontano eppur vicino, giacché i due cineasti sono vicini anche per il modo in cui raccontano le loro storie: lo sguardo è sempre freddo e distaccato, ed è forse questa l'aspetto che più rende Elle tuttavia solido e graffiante, dove neanche l'umorismo da commedia nera riesce ad alleggerire l'atmosfera e i momenti più tesi della vicenda. Una vicenda, una pellicola comunque (e come detto) imperfetta. Un film che ha dei difetti, perché la storia thriller è esile e prevedibile, il finale è troppo ambiguo, la risoluzione non eccezionale e alcuni punti rimangono oscuri, non dimenticando che la sua cifra del paradosso, di situazioni apertamente di genere sempre trattate con una serietà diegetica che quasi sempre è satira, si scontri spesso con il senso dell'umorismo tipicamente francese, ovvero quello che ti prende un po' alla sprovvista e non ti fa capire se devi ridere o meno, ma senza dubbio non gli si può imputare di non essere audace. Soprattutto nella società di oggi, fatta dai polveroni alzati da attiviste politiche e campagne per i diritti delle donne. Gli autori di un certo calibro (e Verhoeven appartiene a questa categoria) rispondono a loro modo, mostrando le loro donne forti. D'altronde la carica erotica del film non raggiunge mai i livelli di Basic Instinct, ma solo perché non vuole competere con quel tipo di film: il sensazionalismo viene lasciato quasi sempre da parte in favore di un'analisi psicologica estremamente approfondita, accompagnate da alcune trovate visive davvero evocative (come il fiore di sangue che macchia la schiuma nella vasca da bagno, una pungente metafora sul potere corruttivo della violenza).
Dopotutto questa è una storia sulle menti fragili che si nascondono dietro i volti fieri e sicuri di se, una storia di segreti e pulsioni vergognose, che gira intorno ad una straordinaria Isabelle Huppert, una involontaria (o forse no) femme fatale che è anche madre, figlia, datrice di lavoro, amica, vicina di casa. Una donna normale, come qualunque altra donna, come qualunque persona (all'apparenza, per lo meno). Giacché Michèle è un personaggio altamente sfaccettato (fragile e determinata, sensibile e pericolosamente vendicativa, sadica, cinica, compassionevole, ironica e passionale), uno di quelli che piacerebbe alle post-femministe senza scadere nell'eccesso, l'immagine nell'emancipazione sessuale e sociale, la classica donna "con le palle" che però non dimentica di essere donna, impugna una pistola, è stronza sul lavoro, una dominatrice che desidera essere "posseduta" e ha un particolare rapporto con una madre che non si augurerebbe a nessuno. Elle è perciò un'opera comunque magnetica e pungente che ricorda a tutti la grandezza e la maestria di Paul Verhoeven, lui che era da circa un decennio che latitava il mestiere, se si esclude il mediometraggio (che non ho visto) Steekspel (2012), ovvero dal riuscito bellico Black Book (2006), lui che annovera in carriera pezzi da 90 come Robocop (1987), Atto di forza (1990) e Starship Troopers (1997). Certo, in questo film il grottesco lascia troppo spesso il ciglio aggrottato e in verità l'unica cosa che davvero colpisce tanto da meritare l'applauso è l'interpretazione di una magnifica Isabelle Huppert, qui alla sua migliore prova da diversi anni a questa parte, ma al di là della trama e della risoluzione della vicenda che si rivelano interessanti ma non al punto da distinguersi in una notevole maniera, ciò che determina il valore di questa pellicola è proprio per l'appunto l'interpretazione di Isabelle Huppert.
Interpretazione intorno a cui si snoda un gioco psicologico molto sottile e perverso, coinvolgente per tutti i personaggi (tra cui il violentatore impersonato bene da Laurent Lafitte) e lo spettatore stesso. Un'attrice fantastica (che non a caso ha lavorato anche con Haneke) che qui interpreta una donna diversa dai modelli proposti di consueto al cinema. Un personaggio al limite, ambiguo e forte che si fatica a comprendere e che, nonostante tutto, sembra sempre mantenere il controllo della situazione. E' lei infatti il vero pilastro sul quale si regge il film, un'attrice (che mai delude e continua a stupire positivamente, anche se ne Il condominio dei cuori infranti sembrava fuori parte) capace di interpretare diversi stati emozionali, spesso in netto contrasto tra loro, in modo sublime, senza mai peccare di manierismo. Non per caso questa conferma del suo essere talentuosa, altresì tanto intrigante, gli sono valsi alcuni importanti riconoscimenti. La Huppert, giustamente ed infatti, ha fatto incetta di premi (un Golden Globe e un César) ed è stata candidata agli Oscar 2017 come miglior attrice protagonista, riconoscimento (vinto da Emma Stone) che avrebbe forse (a questo punto) anche meritato di vincere. Non dimenticando che anche il film stesso ha vinto un Golden Globe come miglior film straniero e un Premio César come miglior film. Un film più che discreto e di cui in verità mi aspettavo di più, dopotutto la pellicola la si apprezza più per la performance della protagonista che non per la scrittura indecisa (solo in parte in ogni caso), tuttavia non solo questa particolare mistura tra dramma e commedia si lascia comunque guardare con curiosità e piacere, ma il coinvolgimento e interesse è alto. Perché alla fine, un pugno nello stomaco arriva eccome, non fortissimo, ma l'indispensabile per consigliare una visione di questa "innovativa", ambigua e comunque convincente (in larga parte) pellicola. Voto: 7+