mercoledì 24 aprile 2019

The Devil's Candy (2015)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 11/07/2018 Qui - Ho letto in giro commenti e giudizi entusiasti, ma dopo aver visto The Devil's Candy, film del 2015 scritto e diretto da Sean Byrne, la mia impressione è che si tratti di un film, un horror, sicuramente sufficiente, minimamente innovativo ma parecchio deludente per come era stato presentato. Ovvero una grandissima pellicola, una piccola rivoluzione, una delle più belle sorprese dello scorso anno, invece, seppur questo The devil's candy è sicuramente un opera godibilissima e parecchio interessante, un ibrido assai preciso tra suggestioni culturali "alte" e "basse", un ibrido di due sottogeneri dell'horror, lo slasher con il pazzo assassino che uccide e squarta vittime e che perseguita una famiglia e il film di possessioni demoniache, dove a perseguitare una famiglia è il demonio, esso è però un'opera confusa e per niente spaventosa, con un finale anche troppo benevole. Perché certo, è realizzato con una certa cura (con uno stile pulito, rigoroso ed essenziale, fotografia e montaggio di livello) e Sean Byrne (alla sua seconda prova da regista dopo The Loved Ones, film che tuttavia non ho visto) non manca di estro visivo alla regia, una marcia in più è sicuramente data dalla colonna sonora metal (sempre che piaccia, e a me sinceramente non tanto) che unita all'arte dark presente nel film lo rende un prodotto che vive di luce propria nonostante soggetto e sceneggiatura siano derivativi da molti thriller-horror, perché certo, c'è tensione, c'è atmosfera e ci sono delle buone prove attoriali, il panico della famiglia, specie della figlia, traspira sino allo spettatore e Pruitt Taylor Vince come villain fa la sua figura, vi è una certa crudeltà, anche se alla fine visivamente non si mostra chissà quanta violenza, ma purtroppo la sceneggiatura è un poco superficiale o forse criptica per quanto riguarda certi argomenti (e penso alla società d'arte per cui lavora il protagonista) ed il finale banale oltre che "caciarone" per quanto concerne la sequenza dell'incendio.
Dopotutto la storia è quella classica di una casa maledetta in cui una famiglia dolce ed alternativa fa ingresso (niente di innovativo anche se "diverso"), storia che se anche in verità si lascia guardare fino alla fine (ottima scelta farlo durare un'oretta e un quarto..) regge in modo appena sufficiente e con alcune debolezze in certi punti, storia in cui anche se dialoghi interessanti ci sono, un paio di personaggi sono azzeccati e qualche situazione è ben diretta e girata, ella (un minestrone di diversi ingredienti triti e ritriti, che ai metallari piacerà sicuramente, visti i riferimenti e la colonna sonora, agli altri non tanto..) non convince fino in fondo. Poiché trovare un paio di bravi interpreti in un horror non è cosa comune, e pertanto un punto a favore è già segnato in questa pellicola che una briciola di originalità la dimostra pure, ma il resto della storia è quella che è, prevedibile e banale, dove la musica assordante disturba pure. Intendiamoci, The Devil's Candy non è un brutto film, onestamente si lascia seguire senza annoiare dall'inizio alla fine ma è un horror innocuo. Un film del terrore di nuova concezione, molto teen, costantemente alla ricerca di metafore legate alla realtà, questa volta alla famiglia, ancorato però ad una sceneggiatura piatta, logorroica e ricca di elementi che non trovano un vero epilogo, il curatore della galleria d'arte, e scelte etiche, il dilemma di Goethe e sul cosa si è disposti a sacrificare in cambio di fama e successo, che non convincono completamente. E quindi l'idea dell'autore di elevare il suo progetto su più livelli narrativi si infrange nella poca disponibilità dello stesso di chiudere il cerchio, tutto si rivela non amalgamato come ci si aspetterebbe. La credibilità della storia perciò, scritta dallo stesso regista, non può che naufragare in un mare di perché. Per questo ritengo questo film certamente vedibile ma non imperdibile.
Un film, un horror, che procede a ritmi molto metal e hard rock, che ci ricordano le atmosfere malate e psichedeliche del cinema di Rob Zombie, per raccontarci una vicenda comunque accattivante e ben girata incentrata con al centro una contesa su una casa che ha visto troppo e che sta troppo a cuore al figlio matto, ma proprio matto, dei precedenti proprietari. E siccome il figlio è interpretato da quel gigantesco (in diverse accezioni) Pruitt Taylor Vince, attore dagli occhi mobili e tremolanti, psicopatico per eccellenza che sa inquietare anche solo a fissarne le pupille instabili, il risultato di creare tensione è garantito. Nel cast funzionale, il protagonista fascinoso e muscolare, tatuato ed esibizionista, risponde al nome di Ethan Embry, ed in questo film, così selvaggiamente acconciato, pare un nuovo Viggo Mortensen. Peccato per quel finalissimo troppo consolatorio che sopraggiunge a tradimento come inutile ciliegina su una torta che non può grondare glassa, e che si perde in un dejà vu un po' imbarazzante e buonista, decisamente fuori luogo dopo la cattiveria sprigionata e condita in opportuna originale salsa metallara in questa storia che ci racconta appunto di un pittore tormentato (di nome Jesse) da conflitti interiori che si trasferisce nella casa dei suoi sogni con la moglie Astrid (Shiri Appleby, famosa per il ruolo di Liz Parker nella serie televisiva Roswell) e la figlia Zooey  (Kiara Glasco, giovanissima attrice tv, anche se a ha comunque lavorato anche in Maps to the Stars di David Cronenberg), con la quale condivide una passione viscerale per la musica Metal. Ma la casa ha un passato oscuro e maledetto, motivo per cui viene venduta ad un prezzo molto basso. Ben presto si fa vivo Ray, uomo disturbato, figlio dei vecchi proprietari della casa, che rivendica l'abitazione e che inizia a nutrire una strana ossessione per la piccola Zooey. Come se non bastasse, Jesse, inizia a dipingere quadri dall'aspetto demoniaco e sembra spesso fuori dalla realtà che lo circonda. Cosa si nasconde nello strano comportamento di Jesse e Ray?
Sarà stato mica posseduto? Certo che sì, anche se il tema centrale, quello della possessione demoniaca appunto, non viene tuttavia chiarito, non si capisce infatti se la casa sia effettivamente un veicolo della possessione o meno, visto che esercita influenze molto diverse a seconda dei personaggi. E per me questa confusione non è "ambiguità", è proprio un difetto del film. In aggiunta, lo stesso protagonista "Kurt Cobain", un attimo sembra pienamente posseduto (quando è in trance artistica), poi esce dallo studio e appena torna a casa è invece completamente in sé e si batte come Chuck Norris contro il Cattivone (mah, boh). Questo grave problema insomma condiziona la fruizione del film, e la buona fotografia e colonna sonora, nonché le buone prove di tutti gli attori non bastano a redimere il tutto. Perché anche se con i mezzi tecnici (e stilistici) a disposizione il regista fa un buon lavoro, esso non lo supporta adeguatamente (non ci sono jumpscares o scene forti, tutto è gestito in maniera molto soft), soprattutto in paragone ad altri film dello stesso genere. Poiché il film (montato su una confezione da cinema indie), seppur rintracciabile in una composizione visiva che restituisce gli eccessi del genere con una messinscena sobria e ammiccante (il montaggio accelerato in cui la famiglia di Jesse prende confidenza con la nuova abitazione è un'assoluta novità per il genere in questione) e nella scelta di proporre una violenza più teorizzata che mostrata, quasi sempre giocata sullo scompenso psicologico invece che sul bagno di sangue, alla pari di altri prodotti di genere, non sempre riesce a tenere testa al proprio background filosofico, perché la capacità che ha un film di spaventare il pubblico fa il paio con la possibilità di innestare gli elementi fantastici contenuti nella trama in un paesaggio quanto meno verosimile. Cosa che The Devil's Candy non riesce a fare, poiché ogni volta che Rey entra in campo ci si chiede per quale motivo possa andare ancora in giro a piede libero, e come sia possibile per lui avere la meglio degli aitanti poliziotti che gli stanno alle calcagna nonostante il suo corpo malfermo. Interrogativi che lo spettatore è destinato a portarsi dietro, a visione ultimata. Comunque in definitiva, nonostante tutto (e nonostante il finale, dove un po' il meccanismo si inceppa e diventa più grottesco e divertente che spaventoso, un'impennata rock-demenziale che un po' stona con la serietà del resto), questo è un buon (sufficiente) prodotto che può far contenti gli appassionati del genere thriller horror, ma soprattutto gli amanti del Metal (gli altri come me, a cui non piace, non tanto). Voto: 6