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mercoledì 31 gennaio 2024

The Gray Man (2022)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/01/2024 Qui - I fratelli Anthony e Joe Russo sono specialisti del genere, capaci di valorizzare ogni centesimo del budget confezionando scene adrenaliniche che raggiungono vette di inusitata bellezza (vedi le sequenze girate a Praga), peccato che il tessuto narrativo non sia sempre all'altezza dipingendo una storia che non ha nell'originalità un suo punto di forza. Nonostante ciò l'intrattenimento (di classe) è garantito sia per quanto riguarda la cura dell'immagine (d'impatto la fotografia, nonostante un uso, forse eccesivo, di CGI), sia per la caratterizzazione del villain (bene Chris Evans in un ruolo inedito), ma non male anche il resto del cast (Ana de Armas e soprattutto Ryan Gosling). Molto bene la parte conclusiva, per un film non memorabile ma godibile. Voto: 6 [Netflix]

venerdì 22 dicembre 2023

Barbie (2023)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 22/12/2023 Qui - Progetto ambizioso quello della coppia Noah Baumbach/Greta Gerwig e in larga parte riuscito (molto più di quell'accozzaglia di Rumore bianco) perché, almeno nella prima parte, ci si diverte, la satira graffia e le parti musicali sono deliziose (geniale e giustificato l'incipit citazione di 2001: Odissea nello spazio delle bambole). Nel secondo tempo l'atmosfera è un po' rallentata da qualche inutile spiegone sugli effetti (indiscutibilmente veri) del patriarcato, ma il Ken smarrito che non sa più quale sia il suo ruolo è ancora efficace nel descrivere una società in cui i ruoli sono diventati fluidi. Ryan Gosling davvero molto bravo e in forma fisica invidiabile, ruba spesso la scena a Margot Robbie, la Barbie perfetta in tutto e per tutto. Insomma non male, si tratta di una enorme campagna pubblicitaria, e si sapeva, mi aspettavo il peggio, e invece, a parte che la trama è più seria del previsto, ma anche un po' raffazzonata, mi sono divertito a vedere questo film. Un film unico, bizzarro, che nonostante tutto (alcune trovate funzionano, altre molto meno) visione vale. Voto: 6,5

sabato 14 settembre 2019

First Man - Il primo uomo (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 13/09/2019 Qui
Tema e genere: First Man (adattamento cinematografico della biografia ufficiale First Man: The Life of Neil A. Armstrong scritta da James R. Hansen) è il racconto del percorso che ha portato Neil Armstrong a essere il primo uomo a mettere piede sulla Luna, il 20 luglio 1969.
Trama: Uno sguardo sulla vita privata e la dura carriera professionale di Neil Armstrong (Ryan Gosling), che, con profonda dedizione e non trascurabile ostinazione, è stato il primo uomo a mettere piede sulla Luna nella missione spaziale Apollo 11.
Recensione: Dopo averci guidato con Whiplash nei meandri più competitivi e spietati della musica e dopo averci accompagnato, sempre a tempo di jazz, nella Los Angeles di La La Land, fra sogni, illusioni e amori spezzati, Damien Chazelle cambia totalmente genere e registro, raccontandoci un viaggio fisico e mentale verso il superamento dei propri orizzonti e dei propri limiti. Un cammino fatto di passione per la scoperta e l'esplorazione, ma al tempo stesso intriso di solitudine, incomunicabilità e morte, tessere di un puzzle umano ed emotivo lontano dall'immacolato eroismo adottato di frequente dal cinema americano. First Man - Il primo uomo infatti, racconta sì il decennio che ha segnato una svolta nella storia dell'umanità e ottenuto la più simbolica delle conquiste concentrandosi sulla figura di Neil Armstrong, l'uomo che appunto mise per primo il piede sul suolo lunare il 20 luglio 1969 (precedendo di pochi istanti il compagno Buzz Aldrin), ma a differenza di altri film, qui il tono è per nulla retorico, anzi sobrio e quasi dimesso, e si dà parecchio spazio all'uomo e alle sue sofferenze interiori. E insomma non ci troviamo di fronte ad un altro Gravity, ma a un biopic epico e intimo al tempo stesso. Un biopic, seppur non proprio originale, molto interessante. Un biopic che riesce a raccontare una storia conosciuta da tutti (chi può dubitare come vada a finire?) ma con uno sguardo comunque originale e soprattutto toccante, quasi spiazzante nel suo "sottotono" (ne fanno le spese gesti e frasi celebri, banalizzate dal vederle e sentirle di continuo in questi cinquant'anni). Una scelta in sintonia con il personaggio che racconta: scopriamo così che Armstrong, interpretato da un misuratissimo, soddisfacente Ryan Gosling (per la seconda volta con Chazelle dopo il fortunatissimo e già citato musical), era tanto affidabile e preparato nel suo mestiere (tanto da meritarsi posti di responsabili nelle missioni Gemini e Apollo) quanto in grandi difficoltà nell'esprimersi con gli altri, persone amate comprese. In un film che alterna spettacolarità, precisione nei dettagli, claustrofobia soffocante (delle navicelle e delle gabbie personali) e ampi (ed emozionanti) spazi sconfinati, ma anche momenti privati e pause di riflessione, emerge un ritratto di grande sensibilità (ricco di silenzi, piccoli gesti, rari sfoghi), in cui rifulge il rapporto con la moglie (molto brava anche Claire Foy, ormai non più solo la regina Elisabetta della serie The Crown), che condivide con lui il dolore di un lutto impensabile ma lo sostiene anche nei suoi blackout emotivi. Con una significativa eccezione, in cui occorre più fermezza che dolcezza. Come ha una parte importante (in un film molto bello, che ha solo qualche lungaggine di troppo qua e là) l'acume dell'ingegnere e dell'astronauta e lo strazio dell'uomo per i compagni persi negli anni di avvicinamento alla Luna, o i tanti piccoli dettagli che hanno a che fare con la vita. Tutti aspetti che compongono il ritratto di una persona più a suo agio con i gesti che con le parole. Chiamato a una straordinaria avventura entrata nella Storia (e che a un certo punto poteva anche saltare: siamo ormai nel '68, c'è la guerra in Vietnam, negli Usa le contestazioni anche per "l'inutile" corsa allo spazio erano fortissime) che lo avrebbe fatto diventare eroe suo malgrado. Attraverso lui, Chazelle celebra la grandezza dell'uomo quando concepisce imprese oltre le proprie possibilità, che sopravvivono anche al disinteresse delle stesse dopo l'esaltazione del momento. Chazelle che quindi costruisce un buon film, un film che scorre abbastanza bene dall'inizio alla fine e riesce a mantenere (nonostante troppi "silenzi") lo spettatore incollato allo schermo catapultandolo letteralmente nello spazio insieme ai protagonisti. Dal punto di vista tecnico First Man si fa apprezzare per essere estremamente ben fatto e curato.

mercoledì 12 giugno 2019

Song to Song (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 24/10/2018 Qui - Speravo in un cambiamento, un'evoluzione, o quantomeno un lieve discostamento. Niente da fare. Siamo sempre fermi nello stesso identico punto. Perché esattamente come il suo predecessore, questo film dice poco. Perché già con il vacuo e noioso Knight of CupsTerrence Malick aveva iniziato a mostrare primi segni di cedimento, e con Song to Song, film del 2017 scritto e diretto dal leggendario regista statunitense, le cose non sembrano essere migliorate. Certo, rispetto ai film precedenti (soprattutto l'ultimo) la trama è più lineare ed è chiaro fin da principio dove si voglia andare a parare, ma mai come in questo film tutti gli attori sono ridotti a bellissimi archetipi spersonalizzati, simboli in movimento che in un flusso di coscienza forzatamente poetico si fanno portatori di una morale sintetica e ingannevole, che cerca di sublimare la banalità del messaggio attraverso l'utilizzo della forma. Una forma pretenziosa e ricercata (attraverso immagini sublimemente e lentamente riprese della natura, attraverso location in generale e personaggi, esteticamente sempre molto attraenti) e con numerosi e continui flash back troppo elevata ed affatto necessaria al significato del film (assimilabile nel concetto dell'amore nel suo evolversi e nelle sue diverse sfaccettature ed incongruenze) e pertanto l'opera si appesantisce notevolmente, divenendo "costruita" e poco diretta (d'altronde il regista costruisce questa storia con le stesse ed identiche modalità con cui ha creato le sue pellicole precedenti, ovvero solo tramite immagini e suoni). Insomma un trionfo, quasi eccessivo, dell'estetica che (nuovamente), sì, appaga l'occhio dello spettatore (dopotutto anche qui sempre eccezionale è la fotografia di Emmanuel Lubezki), ma poiché esso viene (nuovamente) ripetuto in continuazione senza aggiungere nulla di nuovo, lo tedia anziché affascinarlo. Perché non possono le immagini sostituire una storia affascinante ma inconcludente come questa, quella di BV (Ryan Gosling), un musicista che cerca il successo con l'aiuto della compagna (Rooney Mara) e del suo produttore Cook (Michael Fassbender, che nel frattempo irretisce la cameriera Rhonda ovvero Natalie Portman) le cui esistenze si intrecciano in un mondo di seduzioni e tradimenti.

domenica 26 maggio 2019

Blade Runner 2049 (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 15/06/2018 Qui - Sarò sincero, avevo il fucile puntato quando ho saputo del sequel di Blade Runner (d'altronde i sequel di certi capolavori come lo fu quello di Ridley Scott, non vengono visti di buon occhio). In seguito, alla notizia che Denis Villeneuve (soprattutto dopo aver, l'anno scorso, l'anno precedente e in questo, visto alcuni dei suoi straordinari lavori) avrebbe diretto il film, il dito sul grilletto si è allentato. Villeneuve è un regista con i fiocchi e la recente escursione fantascientifica di Arrival me lo ha confermato. Certamente mi sono detto, chi glielo fa fare ad impelagarsi in un film del genere, entrato nell'immaginario mitico della settima arte. Ha molto da perdere e poco da guadagnare. Una sfida coraggiosa piena di insidie e rischi, tuttavia ben ripagata (anche se sotto certi aspetti si poteva addirittura fare di meglio, e questo è veramente un peccato, vista la qualità generale e l'impegno profuso alla regia). Blade Runner 2049, film del 2017 diretto dal regista canadese classe '67, è infatti un valido e degno sequel dell'originale. Soprattutto perché la scelta di affidare appunto all'ottimo Denis Villeneuve la regia, che è stata sicuramente accorta da parte di Ridley Scott (che in questa operazione per fortuna si è ritagliato un ruolo da produttore, che da qualche tempo a questa parte sembra adattarsi meglio alle sue ambizioni, specialmente quando riesce a tenersi lontano dalla cinepresa, come visto nel deludente Alien: Covenant) si è rivelata azzeccata. Dopotutto lui è tra i registi migliori della sua generazione, è solo lui poteva garantire fedeltà (per quanto possibile) alla materia originale, e solo lui poteva al tempo stesso, con il suo sguardo originale e personale, non farsi schiacciare dal peso del confronto. Perché sì, con Blade Runner 2049, un bellissimo film, teso e pieno di spunti, egli regge, nonostante in verità non riesca a toccare quelle vette di visionarietà e di profondità esistenziale dell'originale (e dopotutto era impossibile per chiunque riuscirci), il confronto, non sfigurando quindi quasi per niente.

giovedì 23 maggio 2019

La grande scommessa (2015)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 07/05/2018 Qui - Non è un film facile e ammetto che mi aspettavo qualcosa di diverso, più simile a Wall Street, tuttavia questo film "sui generis" sorprende per l'originalità e la freschezza nel trattare una materia complessa come quella dell'alta finanza, alla quale il regista riesce a conferire quel "quid" di cinematografico. La pretesa è infatti quella di rendere cinematografica, nonché comprensibile al grande pubblico, una materia complessa come quella dell'alta finanza, e Adam McKay centra (sorprendentemente) il bersaglio. Perché una volta tanto un film, questo, La grande scommessa (The Big Short), film del 2015 diretto dal regista statunitense, basato su una storia drammaticamente reale, come l'esplosione della bolla immobiliare del 2008 (e tratto dal libro di Michael Lewis The Big Short: Il grande scopertoThe Big Short: Inside the Doomsday Machine), permette di capire perché e che fine hanno fatto i soldi dei risparmiatori americani, di chi erano le responsabilità e chi ha preferito far finta di niente, nonostante in parecchi avessero capito su quale china il mercato avesse iniziato a correre. Ma se tutti conoscono l'impatto che ha avuto nel mondo la crisi economica del 2008, altresì forse non tutti sanno che tre gruppi di persone l'avevano ipotizzata e ci avevano pure scommesso. Nel 2005, infatti, l'eccentrico manager di hedge Michael Berry (Christian Bale) scopre che il mercato immobiliare statunitense è estremamente instabile, essendo formato da mutui "subprime" ad alto rischio e fornendo sempre meno ritorni. Secondo lui era possibile ipotizzare il crollo nel secondo trimestre del 2007 e trarne addirittura profitti scommettendo contro il mercato immobiliare stesso con la creazione di "credit default swap". Di questa sua ipotesi ne viene a conoscenza anche l'investitore Jared Vennett (Ryan Gosling), il trader Mark Baum (Steve Carrell) e due giovani avidi investitori, Charlie Geller (John Magaro) e Jamie Shipley (Finn Wittrock), che chiedono aiuto al banchiere Ben Ricket (Brad Pitt), i quali non si lasciano scappare la possibilità di far soldi, tanti soldi.

mercoledì 15 maggio 2019

La La Land (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 23/03/2018 Qui - Premetto che il musical è il genere cinematografico che meno apprezzo, per il quale, solitamente, non ho il minimo interesse, tanto che non ne ho mai fatto mistero di questa mia avversione. Tuttavia nel corso degli anni alcuni li ho visti e li ho anche un po', anzi, abbastanza amati, non ultimo il discreto Les Misérables, senza dimenticare tra i pochi davvero apprezzati, ChicagoMoulin Rouge!Mary PoppinsSweeney ToddThe Blues Brothers e Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato (ed alcuni altri di cui non ricordo il titolo), altri invece come Into the woods e soprattutto High School Musical tremendamente odiati. Poi ci sono quelli visti, che per alcuni sono oggettivamente (non solo soggettivamente) capolavori ma per me solo "interessanti". Perciò non che mi aspettassi granché da La La Land, film del 2016 scritto e diretto da Damien Chazelle, ma devo però ammettere che il suddetto, grazie a molti elementi, può tranquillamente far parte della prima categoria. Perché sinceramente, che cos'è un genere se non una semplice etichetta quando ci si trova dinnanzi ad una regia di certi livelli? Una regia che oltre a strizzare l'occhio ai grandi classici del genere e non solo, ha la capacità di integrare al musical puro (anche se fortunatamente a farla da padrone non sono le canzoni, che qui non sono assolutamente superflue e messe un po' a caso ma davvero, più che altresì meglio di altre occasioni, asservite alla narrazione) una storia solida e discretamente sfaccettata. Non a caso le due ore di musica che fa da contorno, non protagonista assoluta, alla bella, magica e credibile storia d'amore tra i protagonisti (che ha un finale non troppo prevedibile), passano piacevoli tra sogno e realtà. Proprio perché questo film è composto da elementi che messi insieme danno vita ad una storia semplice, reale ma che circondata da un'aura di magia grazie soprattutto alla chimica tra i protagonisti, alla fotografia (più tantissimi altri aspetti tecnici) e ad una regia fatta di piani sequenza che sono uno dei punti forti del film, si fa amabilmente apprezzare.

sabato 4 maggio 2019

The Nice Guys (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/01/2018 Qui - L'action comedy ha sempre attirato l'attenzione da parte del pubblico e della critica, per poter divertirsi con un humor esilarante per sdrammatizzare la pellicola ma allo stesso tempo intriga molto per come i protagonisti riescono a risolvere alcuni misteriosi casi. The Nice Guys, film del 2016 diretto e co-scritto da Shane Black, si addentra in questo genere, facendolo ambientare negli anni '70. I protagonisti di questa pellicola infatti, che sono Russell Crowe e Ryan Gosling, da investigatori privati maldestri, devono risolvere il caso (che poi finirà per smascherare un complotto) di una giovane attrice porno in fuga dai sicari. Peccato che, seppur l'idea di una Los Angeles nebbiosa e quindi un po' plumbea come immagine di una città dove tutto è un po' sbilenco e sopra le righe non è male, e anche se gli anni settanta sono ricostruiti in modo molto preciso ed anche sofisticato (ottima scusa per ricordare un tempo che si è vissuto in età più giovanile), della trama, frenetica e ingarbugliata, si capisce poco, e comunque, anche supponendo di averci capito, tutto risulta piuttosto inconsistente. Questo buddy movie infatti, stile che Shane Black (lo sceneggiatore di Arma Letale 1 e 2) in ogni caso dovrebbe conoscere bene, non lascia segni né nella mente né nel cuore e risulta complessivamente insulso. Inoltre è intriso fino al midollo di moralismo buonista. Giacché non bastano alcune gag originali e divertenti, se la storia in sé è minuscola.

martedì 5 marzo 2019

Lost River (2014)

Mini Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/03/2017 Qui - LOST RIVER (Thriller Usa 2014): Ho visto questo film per i nomi, ma il film che vorrebbe omaggiare altri registi, finisce per essere una drammatica vicenda senza nessun coinvolgimento, nessun pathos ma soprattutto senza senso e il regista Ryan Gosling al suo esordio fa un buco nell'acqua. Ambiguo e strano come la trama, quella confusa di una madre (una generosa Christina Hendricks) che per provvedere al mantenimento dei figli accetta di lavorare in un locale di una città fatiscente dove Eva Mendes intrattiene col sangue il pubblico. Nel frattempo il figlio grande Iain De Caestecker (il Fritz di Agents of SHIELD), finito nelle mire di un pseudo-bullo, che non fa per niente paura, scopre insieme alla vicina (che abita con la nonna pazza), con cui ha una specie di relazione, interpretata da Saoirse Ronan (ultimante tanto apprezzata), una città sottomarina dove sembrerebbe esserci un mistero, ma invece è solo il pretesto per una storia senza capo né coda, con un finale bislacco, eccentrico ma soprattutto sciocco seppur scontato. E non basta della buona musica o discreti attori a dare ritmo ad un film lento, insopportabile e per niente estremo, fantasioso o consigliabile. Tutto fumo niente arrosto. Voto: 4

domenica 10 febbraio 2019

Blue Valentine (2010)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 29/11/2016 Qui - Blue Valentine, film del 2010 scritto e diretto da Derek Cianfrance (regista di anni dopo del bellissimo Come un tuono), è la storia di un amore, né più né meno. Un amore tutto sommato "normale", di due ragazzi "normali" alle prese con normali problemi di cuore. Ma attenzione questo non è il classico dramma-sentimentale, questo è sì un dramma ma sull'analisi delle dinamiche dell'amore, come questo sentimento possa cambiare nel tempo ma possa soprattutto cambiarci, fino a renderci irriconoscibili agli occhi di chi prima ci amava. Tutto questo il regista, attraverso i due protagonisti, lo spiega quasi fosse una poesia triste, una sorta d'incantesimo meraviglioso che di punto in bianco si spezza e lascia solo un vuoto di malinconia. Assistiamo così al semplice svolgersi della loro storia (ordinaria, quasi banale, e proprio per questo assolutamente 'vera') , a quanto si sono amati, a quanto in effetti si vogliano ancora bene ma anche a quanto non riescano più a stare insieme, senza un vero e proprio perché. Il film infatti, racconta procedendo a flashback, la passione, la rabbia, l'affettività più intime di una coppia di giovani americani alle prese con gli sconvolgimenti dell'esistenza. il percorso della storia d'amore fra i protagonisti Dean (Ryan Gosling) e Cindy (Michelle Williams) e di come l'amore che all'inizio li aveva infiammati piano piano si spenga. Il tutto raccontato in modo semplice, essenziale, immediato, tramite flashback che alternano con insistente frequenza episodi tratti dagli anni dell'incontro della coppia a quelle di ordinaria deriva matrimoniale dieci anni dopo, nel momento in cui i due protagonisti decidono di prendersi un week end di riflessione da trascorrere in un eccentrico hotel con camere tematiche (sceglieranno quella futurista alla "2001 Odissea nello spazio" in quanto la "stanza cupido" risulterà già occupata).