mercoledì 17 aprile 2019

Che Dio ci perdoni (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 18/04/2018 Qui - Gli spagnoli ultimamente producono meno horror (o forse ne vedo pochi io), ma stanno sfornando discreti thriller come questo Che Dio ci perdoni (Que Dios nos perdone), film del 2016 diretto da Rodrigo Sorogoyen. Questo thriller infatti, che ricorda altresì alcuni ottimi prodotti di genere made in Usa, e che ricorda anche l'affascinante e riuscito La Isla Minima, è un noir di tutto rispetto, fedele a molti degli stilemi di genere, compresa la durezza senza sconti nella rappresentazione della violenza. Difatti a questa pellicola di genere non manca oggettivamente nulla rispetto a tanti altri, segue i canoni prediletti con zelo, riuscendo tuttavia nello stesso momento a variarne caratterizzazione e tono. Giacché questo noir dall'impostazione classica, è capace di istantanee brutali e di squarci visionari disturbanti, ma è anche attento alla definizione dei caratteri, andando a segno soprattutto per lo spessore dei personaggi. Rodrigo Sorogoyen infatti non comprova solamente la propria conoscenza del filone in questione, bensì arricchisce la già prelibata pietanza con particolari finezze. Non a caso i due protagonisti sono ben caratterizzati, perché non hanno solo la vita da detective ma anche loro hanno i propri segreti e peccati. Come segreti e tanti peccati ha il vero, ambiguo e feroce protagonista della vicenda, un serial killer dalla psiche disturbata e perversa dai tratti comuni quanto inquietanti che se la prende con le donne anziane con una brutalità fuori dal comune. E così, immerso in una realtà sociale incandescente, fra visite papali e crisi sociale con manifestazioni di protesta, si sviluppa una trama avvincente, vivida, sensoriale, a tratti disturbante, che lavora con ritmo incessante fin dalla scena d'apertura, in una corsa che tale rimane anche nei brani della colonna sonora dall'andatura più compassata.

Anche perché due diversi ispettori (due personalità non solo "divergenti" ma decisamente conflittuali), con cui nessun collega vuole avere a che fare, sono chiamati a collaborare con un ordine ben preciso e chiaro, risolvere il caso il prima possibile e in silenzio. Ma molte saranno le difficoltà in questo caso intricato e parecchio sconvolgente, che porteranno a una soluzione faticosa, difficile, controversa e...dopo molto tempo, dopo (più che altro) molte difficoltà tra i due incaricati delle indagini e con i colleghi. Tuttavia a parte il discreto ritmo, la più che buona tensione, aiutata da una messa in scena arida e spoglia, come lo squallore che avvolge i crimini, e nonostante una buona direzione degli attori, su tutti Antonio de la Torre e Roberto Álamo (quest'ultimo ha vinto il premio come miglior attore protagonista ai Premi Goya 2017), meno il crudele predatore, a volte un po' sopra le righe, non tutto è perfetto. Non solo perché un epilogo meno frettoloso ne avrebbe fatto un'opera ancora migliore, ma perché il messaggio di fondo dell'opera (Dio e la religione), portato purtroppo avanti senza troppa convinzione in alcune fasi (come se la pellicola in questione non ne necessitasse così tanto) non arriva e non convince (come non tanto convincente è il fatto di tralasciare alcuni dettagli sulla vita dei due detective e di molto altro), anche perché nella pratica la situazione sta effettivamente in questi termini, usando il filo conduttore solo da spunto, da cornice di un'opera non eccezionale seppur del tutto capace di sostenersi e sostentarsi da sola. Perché in ogni caso il film, avvincente e ben diretto merita di essere visto. Voto: 7-