domenica 3 marzo 2019

La Isla Minima (2014)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 15/03/2017 Qui - Le sorprese al cinema e in tv sono sempre ben accette e quando sono positive come in questo caso lo sono di più. Perché La Isla minima, film spagnolo del 2014 diretto da Alberto Rodríguez, è veramente un bel film, fatto bene e recitato altrettanto. Un gradevolissimo thriller di grande equilibrio complessivo girato in luoghi suggestivi e "complici" di una trama assolutamente coinvolgente. Due investigatori cercano chi ha ucciso delle giovani ragazze, una storia già vista ma che in questo film assume un carattere particolare, per l'ambientazione nel sud della Spagna e per un'atmosfera densa, vischiosa che rende tutto molto complesso. Siamo difatti abituati a vedere poliziotti in azione, ne conosciamo le dinamiche e il modus operandi quando sono a caccia di un assassino. Il regista invece gioca la carta del contesto sociale per raccontare un caso di cronaca nera, inserendo elementi politici anche nella vita dei due investigatori, uno democratico e l'altro compromesso con il franchismo. Ma ciò che colpisce veramente è il paesaggio, la palude presentata in riprese zenitali per mostrare le sue trame, le anse contorte, gli uccelli che si alzano in volo in tramonti surreali. Il film infatti è impreziosito da una ambientazione davvero molto suggestiva ed è proprio su quella che il regista gioca le sue carte migliori (ed anche più originali). I paesaggi acquatici e bucolici magnificamente fotografati (che dimostrano un notevole gusto estetico del regista) che fanno da cornice al racconto, rappresentano infatti il vero elemento catalizzate e vincente (insieme al contesto storico, qui fondamentale anche se poco utilizzato, dato che il regista non si sporca le mani ma tocca in maniera delicata gli avvenimenti politici senza metterci il carico, a mio avviso poteva osare di più, colpevole di farlo solo nel finale) che (più ancora del plot narrativo fine a se stesso abbastanza convenzionale per il genere) rende ambiguo e coinvolgente il risultato proprio perché capace di amplificare alla massima potenza l'atmosfera di tensione latente che il film trasmette allo spettatore e a far diventare più palese e disturbante il clima morboso, malsano e angosciante che si respira intorno a questa storia ambientata nel settembre del 1980, e quindi già in era post-franchista, ma quando la lunga, perniciosa dittatura era ancora ben fresca nella memoria dell'intero popolo spagnolo e ne condizionava ancora il pensiero, anche con inaspettate punte di nostalgia che il regista ben stigmatizza, come se i fantasmi del passato continuassero ancora a riecheggiare lugubremente con la loro pesante carica di sopraffazione.
Il luogo esatto in cui prende vita e forma il racconto, è quello di un villaggio costruito sulle rive del fiume, una specie di terra maledetta circoscritta fra zone assetate e riarse e altre rese invece paludose da quel susseguirsi di canali che proprio dal fiume prendono origine (un piccolo villaggio andaluso delle paludi del Guadalquivir). E' in questo paesaggio brullo e bruciato dal sole dimenticato dagli uomini e da Dio dove anche la vegetazione scarseggia e in cui non ci si può fidare di nessuno (e anche i muri delle case sembrano avere orecchie pronte ad ascoltare maldicenze e insinuazioni) che i corsi i d'acqua che lo attraversano e lo innervano finiscono per creare un contrasto davvero singolare che arricchisce la storia di interessanti innesti 'Lynchiani'. In questo contesto un po' stralunato, nei giorni in cui il villaggio vive l'euforia della fiera annuale, due giovani ragazze, giudicate piuttosto 'vivaci' (per usare un eufemismo) dai compaesani, spariscono misteriosamente dopo essere state viste salire su un'auto bianca. Per provare a risolvere il caso che crea comunque tensione e nervosismo, arrivano così dalla città due problematici poliziotti davvero 'male assortiti' (che richiamano alla mente quelli della prima stagione di True Detective, d'altronde qui il paragone con quella serie, fatta da molti, ci sta tutto, e non solo per i personaggi), il primo (Raúl Arévalo) è un ambizioso giovane in carriera lanciato verso il successo (la cui ascesa però ha avuto una pesante battuta d'arresto a causa di un articolo sui metodi repressivi della polizia), il secondo (Javier Gutiérrez Álvarez) è un cinico e provato uomo più maturo con qualche affare losco sulle spalle e forse un passato poco cristallino al servizio del regime, che eccede con l'alcol e le maniere forti (non proprio il massimo, insomma).
Considerata la disinvolta esuberanza delle due ragazze, all'inizio prevale l'ipotesi di una loro fuga volontaria, ma il dubbio rimane di brevissima durata perché dopo tre giorni, i loro corpi vengono invece ritrovati orrendamente seviziati. Le indagini portano così a scoprire altri casi di scomparse analoghe verificatesi negli anni precedenti e rimasti irrisolti, legati fra loro da un analogo fil rouge che le accomuna (la 'cattiva reputazione', la voglia di lasciare il paese alla ricerca di un futuro migliore e soprattutto il fatto di essere state amiche fra di loro e tutte legate sia pure in tempi diversi, a un belloccio locale considerato un poco il gallo del paese). E' chiara dunque che si tratta di azioni compiute da un serial killer, ed è in quella direzione che i due detective indirizzano le loro ricerche che porteranno a conclusione con successo pur nella diffidente ostilità dell'ambiente e nell'asprezza del paesaggio circostante, si potrebbe proprio dire nonostante tutto, poiché nello svolgimento dell'intricata indagine, dovranno fare i conti anche con la propria sotterranea conflittualità che non è certo d'aiuto. Per questo potremmo dunque indicare La Isla Minima come uno di quei thriller magistralmente costruiti che non lasciano un minuto di tregua allo spettatore, e che lo stringono in una mora ansiogena in crescente espansione e che proprio nel suo essere particolarmente inquietante, rimanda a Lynch nei confronti del quale Rodriguez accumula molti segnali di un 'riferimento certo', come la veggente che indirizza i poliziotti verso una fattoria abbandonata o i sospetti che non risparmiano nessuno oltre alle tante 'presenze' minacciose che accompagnano tutta la storia.
E poi, anche volendo sintetizzare a mezzo di alcuni aggettivi, e di definirlo perciò asciutto, essenziale nello svolgimento (nel senso di privo d'inutili divagazioni) e persistente nel coinvolgimento dello spettatore, riesce ad appagare lo spettatore. Ambientato in altrettanta geometrica e suggestiva scenografia naturale, il film, in qualche modo, trae sicura linfa emotiva anche dai luoghi che sembrano celare talvolta qualcosa di sinistro. Quel paio di scene cruente, che potrebbero scuotere gli animi più sensibili vengono trattate dal regista con maestria e, pur conservando la loro drammaticità, non sconfinano mai nella rappresentazione gratuita della violenza o dell'orrido ostentato. Altri elementi di straordinaria rilevanza sono la strisciante misoginia dell'assunto e i contrasti insanabili che contrappuntano tutta la vicenda, non solo quelli che dividono e contrappongono i due investigatori ai cittadini ai poliziotti locali, d'altronde la collocazione storica del narrato non è casuale e, dalle vicende sociali della Spagna post franchista, nascono le due personalità agli antipodi dei protagonisti. Le loro incompatibilità infatti contribuiscono a creare ulteriore interesse nello spettatore, accanto ai metodi d'indagine a volte poco ortodossi che paiono rispecchiare anche lo smarrimento di ogni 'rinascita' per il particolare momento storico spagnolo e la probabile assenza di regole etico-comportamentali nel passaggio alla democrazia dopo la dittatura, perché questa divergenza di pensiero riguarda soprattutto il clima generale, l'aria che si respira contaminata da un 'vecchio' ancestrale difficile da abbandonare (la devozione a Franco per  esempio) e quel 'nuovo' (la ritrovata libertà della democrazia) che stenta invece a decollare.
Certamente un noir dunque, ma in pratica molto di più perché il film è anche lo specchio (accorato e veritiero) di una situazione che il regista intelligentemente registra spesso e volentieri attraverso una cinepresa posizionata in alto, al fine di mantenere uno sguardo più lucido e distaccato necessario per essere maggiormente incisivo e veritiero. E anche se il regista inserisce un celato messaggio storico-politico che in verità non arriva, anche solo rimanendo in superficie, questo film è meritevole d'essere visto. Insomma, quello che poteva sembrare un piccolo film, si dimostra un gran film, teso, coinvolgente, senza un attimo di tregua. L'attenzione e la curiosità per la scena seguente non cessano come nei migliori thriller anche fra i più rinomati. Capisco il perché dei numerosi riconoscimenti internazionali, anche se 10 premi "Goya" (tra cui miglior film dell'anno e miglior regia) mi sembrano eccessivi. Un plauso infine per gli attori tutti ed un applauso a scena aperta per i due protagonisti, che interpretano la loro parte in modo fenomenale ed intensissimo, in una storia purtroppo credibile, e in una pellicola onestissima e ben fatta, bella e semplice. Un'opera insomma che raccomando vivamente di vedere, anche se ognuno ha i suoi gusti, ma se qualcuno l'ha perso in tv giorni fa (25 febbraio scorso su Rai4) corra a recuperarlo, perché La Isla minima è un film certamente per amanti del cinema e non, ma che sicuramente non deluderà chi lo vedrà. Voto: 7,5