sabato 13 luglio 2019

Papillon (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 14/05/2019 Qui - Il remake di un importante classico della storia del cinema è sempre un argomento spigoloso. Spesso i rifacimenti riescono ad entusiasmare al pari degli "originali", contribuiscono ad arricchire un universo discorsivo già noto conferendogli sfumature e chiavi di lettura inedite, ripropongono grandi storie e grandi personaggi ancorandoli all'attualità. Ebbene, nulla di tutto ciò accade nel Papillon (del 2017) del danese Michael Noer, nuova versione dell'omonimo film cult (ma non solo, personalmente un piccolo capolavoro) di Franklin J. Schaffner del 1973, tuttavia il film, che ci racconta le avventure di Henri Charrière, della sua ingiusta prigionia nella colonia penale dell'Isola del Diavolo e di come sia riuscito ad architettare una delle fughe più emozionanti mai raccontate, è girato bene con un buon ritmo, avvincente, un buon prison movie che intrattiene e introduce lo spettatore in un contesto sporco, pericoloso, solitario e ansiogeno. E' insomma un remake sufficientemente valido che non fa esageratamente rimpiangere l'originale. Un remake forse non necessario ma che riesce sotto ogni fronte a livello immersivo, facendo "entrare" lo spettatore e facendolo identificare dentro il carcere dell'Isola del Diavolo. Carcere dove negli anni '30 finisce per un'ingiusta accusa e condannato all'ergastolo, il giovane ladro Henri Charrière soprannominato "Papillon". Spedito nella colonia penale sull'isola nella Guyana francese dovrà trascorre la sua intera pena ai lavori forzati. Qui conosce il milionario Louis Dega, un falsario che accetta di finanziare il piano di evasione progettato da Papillon a patto che lo protegga per tutta l'avventura, cosa non facile dato che gli altri internato sono disposti ad uccidere per qualche spicciolo. Tra i due nasce un sentimento di amicizia e complicità duraturo che li accompagnerà in tutto questo viaggio caratterizzato da rocambolesche fughe e pericoli di ogni genere.
Ecco, dalla trama forse non si capisce, si fa quasi fatica ad immaginarlo (soprattutto per chi non ha letto il libro o visto il film precedente), ma questo è un viaggio ispirato sì ad un romanzo, ma autobiografico. La storia riguardante lo stesso Papillon è infatti vera, ed è successa veramente. In tal senso, Papillon (nuovo o vecchio che sia) è sicuramente un film degno di nota per l'aspetto biografico e storico, in quanto racconta molto bene la realtà delle condizioni di vita dei reclusi dei bagni penali nelle colonie francesi del tempo. In questo caso, soprattutto grazie alla sceneggiatura del film, che riesce a far immergere lo spettatore e a coinvolgerlo in quella che è la situazione dei giovani incarcerarti, donandogli le stesse sensazioni di rischio e paura che provano i protagonisti. La stessa cosa non si può dire però sul rapporto tra Papillon e Dega, a causa di una scrittura troppo veloce della prima parte della pellicola non si riesce a decifrare fin da subito la relazione che intercorre nei due protagonisti. La situazione migliora nella seconda parte del film, più lenta ma incisiva e chiara, che stabilisce ogni singolo rapporto tra i personaggi della vicenda. A tal proposito, i due protagonisti fanno del loro meglio, bisogna riconoscere che reggere il confronto con i due mostri sacri Dustin Hoffman e Steve McQueen (interpreti dell'originale) non era impresa semplice (e per chiunque), ma mostrano una buona capacità di assimilazione dei personaggi principali, e forniscono una prova molto valida e soddisfacente. Charlie Hunnam e Rami Malek infatti, anche se il primo porta (benissimo) in scena un Papillon determinato e senza scrupoli, forte nel corpo e nello spirito, pronto a tutto pur di raggiungere il suo scopo, il secondo invece in modo non proprio eccellente un Louis Dega spaventato ma eccessivo, sopra le righe, con delle espressività facciali troppo esasperate che vengono ripetute all'unisono per due ore e un quarto e che stonano con l'intero contesto narrativo malgrado il suo personaggio debba risultare debole e impaurito, interpretano bene una coppia perfetta, la mente e il braccio, collaborando fra alti e bassi per la buona riuscita dell'impresa.
Tra gli attori da segnalare anche un funzionale Roland Moller, mentre in cabina di regia troviamo il semi sconosciuto Michael Noer (regista di film poco conosciuti), che svolge il suo compito, donandoci inquadrature degne di nota che colpiscono per la loro violenza psicologica (e non) e che contribuiscono ancora di più all'immersione dentro il carcere francese. Un difetto registico è presente nelle sporadiche scene di combattimento che sono sempre poco chiare e mal gestite. Il montaggio colpisce per la sua adattabilità a seconda dei momenti: lento quando devono esserci situazioni di solitudine e follia, veloce nei momenti più frenetici con inseguimenti o situazioni pericolose per i protagonisti. La scenografia del film, elemento portante della pellicola, è indubbiamente impeccabile. Il carcere è stato ricostruito in modo minuzioso e gran parte del lavoro d'immersione all'interno del film è proprio dovuta all'egregia ricostruzione scenografia. La fotografia del film sempre sporca aiuta ancora di più lo spettatore a capire la situazione di vita dei prigionieri. La colonna sonora è dimenticabile ed anonima fin dal primo istante, non dona profondità alle vicende che vengono portate a schermo e servono solo come riempimento uditivo nelle fasi più fagocitate della vicenda. Dalla scenografia alla sceneggiatura, dalle prove attoriali alla fotografia, dal montaggio alla regia, ogni elemento sembra essere stato creato per donare un contesto narrativo realistico e impattante. La stessa cosa però non si può dire per quella che è la narrazione: la sceneggiatura del film all'inizio è troppo veloce e grossolana, lo spettatore non riesce a empatizzare fin da subito con i due protagonisti e con il loro rapporto, elemento che doveva essere cardine nella pellicola. Una pellicola che tuttavia, che nonostante questa mancanza/e, riesce a reggersi decentemente.
Perché certo, la sceneggiatura poteva essere migliorata in qualche passaggio, ma nell'insieme il film è risultato abbastanza "vero" e anche abbastanza snello, senza quegli appesantimenti che resero il primo piuttosto pesante. A tal proposito, qualcosa di diverso c'è (non ho visto la parte dei lebbrosi ad esempio, all'inizio vengono aggiunte le scene dei motivi del perché finirà in carcere e il finale è abbastanza buttato li) ma nel complesso può piacere (dopotutto la storia incredibile era ed incredibile è, vera era e vera è, intensa era ed intensa è) sia a chi non ha visto il film del '73 che a chi l'ha visto (e tuttavia vedere l'originale è sempre preferibile). Certo, ad essere puntigliosi, il film non regala le emozioni del primo (però era difficile immaginarlo possibile), in certi frangenti sembra non avere "profumo", ma il film, che non annoia (che non dura fortunatamente troppo), è capace tuttavia di appassionare e coinvolgere. Anche perché a storia è di per sé avvincente, il tema della crudeltà della vita carceraria è sempre attuale e le sequenze di fuga sono ben costruite. In tal senso, consiglio assolutamente la visione, soprattutto per coloro che hanno molto apprezzato il primo, anche se, e questo per gli appassionati del genere, in tema di evasioni, altri film (pochi comunque) risultano più emozionanti. Ma questo non ha niente da invidiare a moltissimi altri invece, perché certo, convincono poco l'atmosfera patinata in cui a volte il film è immerso, perché certo, era lecito aspettarsi di più, però l'intrattenimento, per quanto effimero, è comunque assicurato e non mancano momenti di alto coinvolgimento. E poi comunque il film è godibile, scorre bene dall'inizio alla fine e permette una visione piacevole e interessante. Questo film infatti, pur essendo un remake forse inutile e non necessario, ma comunque migliore di tanti altri dell'ultimo periodo, riesce a farsi apprezzare. Voto: 6