venerdì 21 giugno 2019

The Greatest Showman (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 07/05/2019 Qui - Sapete bene della mia non predilezione per i film musical, eppure dopo il successo di La La Land (film che ho apprezzato tanto), successo che sembra aver giustamente avviato, dato che di questi tempi il pubblico forse ha di nuovo voglia di leggerezza e di perdersi in un mondo più o meno lontano dalla realtà di tutti i giorni, un nuovo interesse a Hollywood verso un genere che un tempo aveva innegabilmente reso gloriosa la mecca del cinema, sono piacevolmente e nuovamente rimasto sorpreso da un film musical, un film musical del 2017 davvero "energizzante". E questo film è The Greatest Showman, uno di quei musical che fanno venire voglia di alzarsi ed applaudire: performance straordinarie e una colonna sonora magnetica. The Greatest Showman infatti, che ci porta via dai giorni nostri con una narrazione a metà strada tra favola e romanzo dickensiano, dove protagonisti sono il rutilante mondo del circo, i freaks, i fenomeni da baraccone, ma soprattutto la voglia di riscatto e le sfide che valgono il sogno di una vita, anche se perfetto non è certamente, anzi, è un film davvero bello che attira lo spettatore e lo coinvolge specie grazie alla musica. Le musiche in un musical sono spesso punto di forza del film, qui, sorprendentemente, pur essendo apprezzabili e di buona fattura (anche di più), vengono superate per coinvolgimento dal contesto in cui la storia si svolge. E questo è il vero punto di forza di quest'opera, eccessiva e vorticosa che ti fa superare le due ore di spettacolo in un lampo. Siamo nell'America nell'Ottocento e il giovane Phineas Taylor Barnum, figlio di un umile sarto, stringe una forte amicizia con Charity, appartenente alla ricca famiglia per cui il padre lavora. Tuttavia il loro legame viene ostacolato per ragioni di carattere sociale e le cose non si mettono meglio per il ragazzo quando rimane orfano di padre. Senza perdersi di coraggio, convinto che la fortuna risieda tutta nella buona volontà e intraprendenza dell'uomo, dopo vari espedienti per tirare avanti, l'ormai adulto Phineas (Hugh Jackman) fugge a New York con Charity (Michelle Williams), si sposa e trova un lavoro. Le cose non vanno sempre bene e infatti, perso il lavoro per la solita imprevedibilità della sorte, Phineas deve fronteggiare ancora una volta le avversità, senza darsi per vinto e con un'incrollabile fiducia nelle possibilità dell'uomo.
Da qui parte l'idea di andare alla ricerca di persone con anomalie fisiche o caratteristiche straordinarie, prima per dare vita a un bizzarro museo di freaks, in seguito per allestire un vero e proprio circo dove ognuno possa esibire con naturalezza e orgoglio la propria "diversità". Il riscatto sociale dei freaks non tarda ad arrivare e il turbinante spettacolo di canzoni, balli, piroette e colori ottiene un grandissimo successo non solo in America, ma anche in Europa. Non mancano, come nella tradizione delle migliori storie, incomprensioni e disastri, tradimenti e riconciliazioni, ma tutto si sistema con un ovvio ma non scontato lieto fine, che vede trionfare l'amore, l'amicizia e il superamento dei pregiudizi sociali. Sia chiaro, The Greatest Showman non è la fedele trasposizione su schermo della vicenda storica (e vera) di P.T. Barnum, colui nel corso dell'Ottocento creò dal nulla uno dei fenomeni di intrattenimento più celebri (e più discussi) della storia, la storia è infatti estremamente romanzata e certo non può considerarsi un biopic, ma un musical che vuole lasciare nello spettatore un messaggio positivo, anche a discapito di un'ipocrisia di fondo evidente, perché per Barnum quelle persone non erano di certo straordinarie in quanto persone con una dignità, ma straordinarie perché gli facevano guadagnare un bel po' di dollari. Si perché verosimilmente egli era solo una persona che voleva fare soldi, ed era disposto anche a sfruttare le menomazioni e le sfortune altrui per raggiungere il suo obiettivo. Conosciuto come "Il più grande spettacolo del mondo" o più semplicemente Circo Barnum (definizione diventata ormai proverbiale), la creatura del circense americano difatti, che è stata il prototipo del circo del XIX e XX secolo, ma anche uno dei primi esempi dell'intrattenimento di massa moderno (e della sua relativa pubblicizzazione), capace di sfruttare l'attrazione delle persone per l'esotico, il grottesco e il macabro o per qualcosa di irrimediabilmente falso, ma presentato in modo da apparire veritiero (un po' di tutto quello che è alla base del successo dei reality show odierni), deve molta della sua fama all'aver sfruttato sistematicamente sulla scena i cosiddetti "fenomeni da baraccone" (freak show), persone o animali dall'aspetto insolito, malforme, spesso veri e propri disabili, aspetto che gli ha attirato un gran numero di critiche (qualcosa si vede e si nota anche durante la pellicola), presentandoli come individui da "Guinness dei primati", che in realtà non erano nonostante le evidenti anomalie e particolarità (piccola curiosità: dopo 146 anni, il Circo Barnum, o ciò che ne rimaneva, ha chiuso i battenti proprio nel 2017, a maggio).
Nonostante ciò, se si prende la pellicola come semplicemente ispirata alla figura di Barnum, si ha sicuramente davanti un ottimo lavoro. Perché seppur questo film, un film musicale diretto da Michael Gracey, che esordisce alla regia con questo brillante lavoro, mentre la sceneggiatura è firmata da Bill Condon, uno che di musical se ne intende (sue, infatti, sono regia e sceneggiatura di Dreamgirls e sceneggiatura di Chicago, due dei film musicali più interessanti e riusciti degli ultimi anni), è moderno e abbastanza canonico nell'impostazione, ha con sé musiche e coreografie di pregevole fattura. Basti pensare che le musiche sono state composte dall'affermato John Debney (Oscar per La passione di Cristo) e scritte da Justin Paul e Benj Pasek, già autori dei testi di La La Land. Le canzoni sono emozionanti, con testi molto semplici e belli allo stesso tempo, soprattutto "The Greatest Show" e "Never Enough", non dimenticando "This is me", che ha ricevuto una candidatura agli Oscar come migliore canzone, ma tutte riescono a portare riflessioni su temi come la diversità e il desiderio di felicità senza scadere nella banalità. Le prestazioni attoriali e canore degli attori principali sono di alto livello, dal protagonista Hugh Jackman (The prestige, Prisoners, Logan) che aveva già mostrato le sue doti canore in Les Misérables e qui le conferma, delineando un efficacissimo personaggio, credibile nella storia del self-made man, fermamente convinto nel sogno americano contro tutti gli ostacoli, a Michelle Williams (Blue Valentine, Marilyn, Manchester by the sea), qui per una volta luminosa e lontana da ruoli complessi e introversi, e Zac Efron, particolarmente degno di nota, perché nei panni di un rampollo dell'alta borghesia newyorchese che lotta per affrancarsi da una vita già scritta e soffocante offre finalmente (dopo esperienze, possiamo così dire, trash) una prova matura, come matura è ormai Zendaya, intravista in Spider-Man Homecoming, semplicemente meravigliosa. Menzione a parte va alla splendida Rebecca Ferguson nei panni della famosa Jenny Lind, soprano lirico nota come l'usignolo svedese, già all'apice della sua carriera in Europa quando Barnum la conosce e la convince a girare gli Stati Uniti in un tour diventato leggendario (tenendo conto che praticamente nessuno la conosceva in America).
Ma come anticipato all'inizio, non ci troviamo tuttavia di fronte ad un film perfetto o eccezionale. I temi toccati dal film infatti, seppur molto nobili, vi è una pesante critica del razzismo della società ottocentesca che è, ovviamente, rintracciabile anche nella società dei giorni nostri, in cui la parola "uguaglianza" ci riempie le bocche ma non viene adeguatamente processata dal cervello e dal buon senso e dove, invece che ad accettarci, rispettarci ed esaltare ognuno il proprio valore, tendiamo affannosamente ad omologarci, nel loro insieme, si limitano un po' troppo a guardare solo una faccia della stessa medaglia e, a volte cosi facendo, si cade nel banale e nello scontato. Peccando per questo in superficialità e involontariamente macchiare il tutto di stereotipi, infatti le uniche figure negative presentate sono di genere maschile (forse per rappresentare la mentalità patriarcale tipica dell'Ottocento) ed, invece, le figure femminili sono rappresentate come creature docili e sottomesse. Ma quello in cui il film fallisce, è di non farci conoscere a fondo questi "diversi", di non indagarne la personalità, lasciandoli a svolgere un ruolo corale e da seconda fila. Ma nonostante altresì un certo anacronismo che accompagna tutta la durata del film (i personaggi cantano canzoni pop nel diciannovesimo secolo) e molte incongruenze sceneggiative, è questo un bel film, un film nell'insieme piacevole, di buoni contenuti, ritmato, visivamente appagante, ben recitato e cantato. Dopotutto il filo conduttore che anima il film è molto semplice: "Insegui i tuoi sogni e non avere paura di prendere rischi". Ciò è rappresentato molto bene sia dalla sceneggiatura sia dall'evoluzione psicologica dei personaggi che ne deriva. Il film è di per se coerente poiché parte con un'idea precisa e la porta a termine (non cosa da poco al giorno d'oggi). Questi elementi accompagnati ad un eccellente fotografia e ad una regia curata, lo pongono come un film al di sopra della media dei rivali dello stesso genere presentati negli ultimi anni (di sicuro sopra ad Ammore e Malavita). Certo, un occhio attento e un pubblico più pretenzioso potrebbe rimanere leggermente deluso, proprio perché alcuni elementi possono far storcere il naso, però per chi cerca qualcosa con un messaggio sociale ma senza troppe pretese questo è il prodotto ideale. Un prodotto, un appuntamento immancabile per chi ama il genere e certamente un buon film per chiunque cerchi una storia ben raccontata, con bravi attori e belle canzoni. Voto: 7