giovedì 9 maggio 2019

Dunkirk (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/02/2018 Qui - E' forse una delle storie, ma di cui si è sempre parlato poco, più importanti della Seconda Guerra Mondiale, quella della celebre evacuazione di Dunkirk, quando, agli inizi del 1940, decine di migliaia di uomini delle truppe britanniche e delle forze alleate si ritrovarono circondati dalle forze nemiche. Intrappolati sulla spiaggia, con le spalle al mare e i tedeschi che avanzavano, i soldati dovettero così affrontare una situazione caotica ed estremamente difficile. L'operazione di salvataggio che successivamente a ciò venne messe in atto però, grazie anche all'aiuto di alcuni caccia torpedinieri e anche numerose imbarcazioni civili di diversa grandezza, passò poi alla storia con il nome altisonante di "miracolo di Dunkirk". Una storia così potente non poteva essere quindi dimenticata, per raccontarla perciò serviva un grande regista, e così a tre anni dal suo ultimo film, a cimentarsi è Christopher Nolan, regista tanto apprezzato che grazie proprio a Dunkirk, film del 2017 co-prodotto, scritto e diretto dal regista britannico, riceve la candidatura a due Premi Oscar. Ma Dunkirk non è il classico lungometraggio di guerra realizzato per omaggiare un importante momento storico, ci sono infatti diversi elementi in questa pellicola, a partire dall'ambiente e dall'atmosfera, fino alla scrittura e al montaggio, che rendono il film di Nolan unico e irripetibile. Il film difatti, seppur ambientato in uno scenario di guerra (anche se non è un'immersione nei luoghi e nei tempi della guerra), non è propriamente un film di guerra, è un esercizio che tratta della vita e della morte in condizioni estreme, è un'esperienza onirica per riformulare la rappresentazione della guerra come tragedia singola e insieme collettiva, che vede soldati aggrappati sul bordo di navi rovesciate su un fianco, corpi dilaniati dalle bombe dei caccia, moli divelti da una pioggia di proiettili e ricostruiti in modo precario, tratti di mare trasformati in roghi dove bruciano decine di giovani.
Non per caso il racconto verte soprattutto sui fatti e sul movimento di masse umane piuttosto che di singoli individui. E la caduta sulla spiaggia delle bombe tedesche rende perfettamente la doppia componente dell'incubo allestito dal film, lo spettacolo affascinato, impotente e distante della devastazione e, grazie al tramite del soldato sopravvissuto nella prima scena (e protagonista dell'intero blocco ambientato sulla spiaggia), la prossimità della paura e la credibilità del pericolo. Potenti colpi di fucile esplodono infatti nei primi minuti e assordanti bombe lanciate dal cielo uccidono indistintamente tutto quello che incontrano (in tal senso portentoso è il pazzesco sonoro). L'esercito tedesco è questo, un'ombra invisibile ma letale. La presenza del nemico, annunciata solo dal fragoroso rumore dei suoi aerei, rende perciò l'atmosfera angosciante e indefinita. Dunque si viene catapultati sin dalla prima scena in questo limbo di spiaggia, letteralmente senza tempo e dove i soldati sono anime perdute in attesa di essere evacuati, e si racconta quindi per poco meno di 2 ore l'evento in sé per sé, le grosse difficoltà alleate, le mattanze da parte dei caccia tedeschi, ma anche lo spirito solidale del popolo inglese col salvataggio portato in atto anche da piccole navi e pescherecci, ed infine il senso di successo pur nella disfatta (con immancabile strizzatina d'occhio al pubblico americano). E lo strumento utilizzato per fare ciò è quello di seguire le peripezie di alcuni gruppi di soldati e civili, e di sviluppare tre linee temporali/spaziali differenti, altresì differente è il modo di affrontarla di Nolan.
La storia infatti si disloca lungo tre linee narrative, ed ognuna ambientata in un determinato arco temporale, la prima comincia sulla terraferma, e copre un arco di sette giorni, la seconda è ambientata in mare e dura un giorno, la terza copre un'ora di tempo e ha luogo nei cieli, precisamente nella cabina di uno Spitfire. Questi tre piani temporali che iniziano divisi, seguono paralleli e finiscono per però coincidere, realizzando un affascinante racconto corale sui diversi momenti della guerra e sui differenti destini che la compongono (anche se essi appesantiscono però la comprensione degli eventi del primo tempo e ha più l'aria del vezzo che della trovata geniale, tuttavia nella seconda parte l'azione si fa tuttavia più incessante ed il racconto torna a fluire sicuro). Il tempo diventa, per questo, l'elemento fondamentale del film. A sottolineare il suo caparbio utilizzo un incessante ticchettare di orologio, una vera e propria colonna sonora, unito alle splendide musiche di Hans Zimmer. Una narrazione unica per questo genere di film, che tuttavia non perde mai il ritmo, sia nella messa in scena che nel montaggio, consegnando al pubblico una grande opera d'intrattenimento. Il pericolo costante, testimoniato dal volto dell'esordiente Fionn Whitehead, nei panni di Tommy difatti, un giovane soldato americano, determinato a fare qualunque cosa per sopravvivere, immerge lo spettatore nella tensione e nella paura più vera. Giacché fin dalle prime immagini la morte diventa palpabile, ogni movimento sembra l'ultimo e qualunque decisione la più critica. Il tempo così, nel suo scorrere ineluttabile, pare ingovernabile, consegnando l'uomo al suo destino.
Lo scorrere del tempo, lento e inesorabile, diventa infatti la sola forza con cui sconfiggere il nemico, più in fretta evacuano la spiaggia, meno soldati cadranno sotto il fuoco avversario. Non per caso ogni azione o dialogo viene influenzato dallo scorrere del tempo che, nelle mani del regista di film come Inception e Memento (dove il tempo è un elemento ricorrente delle sue storie), è capace di estendersi lungo una settimana o restringersi fino a un'ora soltanto. Come detto, altresì differente è il modo di affrontarla di Nolan, perché il regista anche del bellissimo Interstellar, decide di affrontare la vicenda storica staccandosi dai cliché dei classici film di guerra, per descrivere le operazioni di recupero attraverso gli sguardi e gli scarsi dialoghi di alcuni protagonisti, soldati semplici, due aviatori incaricati di proteggere le navi dai bombardieri tedeschi, un padre inglese che col figlio e un amico si mette in mare con la sua barca da diporto per aiutare i soldati, il comandante della Marina Britannica incaricato di gestire le navi. Alcuni di questi personaggi resi da grandi attori come Tom Hardy, Mark Rylance e Kenneth Branagh, ma i protagonisti sono giovani poco conosciuti (ad eccezione di Harry Styles, musicista già leader degli One Direction e ora avviato a una carriera solista) che aiutano l'immedesimazione con poveri soldati qualunque. Lo stordimento per una situazione straniante e disperata si legge nelle facce e nei silenzi dei soldati ed è reso ancora più evidente dagli sforzi di Tommy e Gibson, due uomini di cui si ignora tutto, al di fuori della loro fuga dai nemici e dai tentativi di superare le lunghissime code di commilitoni in attesa di una nave che li porti via da quel limbo sabbioso che presto si trasforma in un inferno.
Sguardi, gesti, una tacita intesa per cercare di fuggire a scapito di altri. Raccontando quel che succede sulla spiaggia, nel mare e nel cielo della Manica, in poco più di un'ora e mezza e usando più rumori (lo sciacquio delle onde, il sibilo degli Stukas durante gli attacchi, lo scoppio delle bombe, il crepitare dei fucili) e silenzi che parole, Nolan presenta gli stessi avvenimenti drammatici, ma dai diversi punti di vista dei protagonisti. E in tutti dominano gli spazi (alimentati da una fotografia cruda e dai colori lividi, dove una piatta luce grigia confonde i vivi con i morti) del mare e del cielo, nei quali la piccolezza dell'uomo di fronte all'ignoto che incombe è ancora più impressionante. In questa ripetizione si staglia così la tragedia di uomini che possono solo accettare il loro destino, impotenti di fronte ai continui attacchi che da terra, dall'aria e dal mare falciano a centinaia le giovani vite dei soldati. Ma al tempo stesso l'incredibile solidarietà umana che spinse molti civili, proprietari di una barca sulle coste meridionali dell'Inghilterra, a dirigersi verso la Francia, incuranti dei rischi, per caricare qualche soldato e riportarlo a casa. Una determinazione (scandita anche da un famoso discorso di Winston Churchill) che il regista rende con una sorprendente ricostruzione scenica (anche perché particolare è utilizzo delle scenografie, bellissimi sono infatti i paesaggi della costa francese che si contrappongono alla violenza della guerra), dove la catastrofe si alterna a momenti commoventi, spesso tratteggiati anche da un inatteso senso poetico.
Dopotutto è un film dalle fortissime emozioni che si frantumano e si infrangono in quella striscia di spiaggia bianca, dove finché non si scorgono le imbarcazioni inglesi giunte a portarli finalmente al sicuro, la tensione sembra diventare insostenibile. Spettacolare, eppure sobrio, Nolan rifugge altresì dal mostrare scene di eccessiva violenza, perché bastano gli sguardi attoniti, traumatizzati per descriverne la brutalità, i dialoghi stessi sono stringati all'essenziale (così da evitare parole futili ed evitabili), l'unica cosa che conta è portare a casa la pelle. Certo, Dunkirk dal punto di vista storico è una ritirata, una disfatta, però il successo dell'evacuazione non per caso è chiamato il miracolo di Dunkirk, perché è questo che interessa al regista, questo è ciò che vuole mostrarci, un pezzetto di storia nella quale si viene immersi, sommersi nelle due ore scarse che sembrano interminabili, sempre con il fiato corto, in una scala ascendente di emozione pura. D'altronde Dunkirk coniuga spettacolarità e anti-spettacolarità in modo inedito. Ed è notevole come riesce a tenersi distante anche dalle retoriche belliche. Di fatto non c'è una "storia" in Dunkirk. Ce ne sono molte, frammentate e commiste. Alcune, naturalmente, spiccano sulle altre (quella del pilota Farrier interpretato da Tom Hardy, quella del signor Dawson interpretato da Mark Rylance). Ma si tratta di una pellicola priva di una vicenda centrale sulla quale far scattare l'identificazione dello spettatore. E altrettanto mancano protagonisti davvero centrali, in questo senso, il film appare eccentrico nel contesto hollywoodiano. La cosa sorprendente è però come il risultato appaia semplice, Dunkirk infatti, possiede una compattezza formale in cui tutto si tiene solidamente in equilibrio.
Tuttavia, proprio la scelta di renderlo corale (con un cast comprendente oltre a quelli già citati anche Damien Bonnard, Tom Glynn-Carney, Jack Lowden, Aneurin Barnard, James D'Arcy, Barry Keoghan e Cillian Murphy) fa sì che non ci sia il minimo di introspezione nei personaggi, per cui tende a restare un po' freddo. Inoltre sembra un po' di assistere ad un singolo evento (come una puntata per dire del serial capolavoro Band of Brothers), in un certo senso "marginale" della storia, ovvero da l'impressione di mancare completamente nell'inquadrare la complessità del conflitto mondiale, per cui l'assistere ad eventi di guerra fini a sé stessi a mio parere dopo un po' annoia (e da questo punto di vista ho apprezzato la durata non eccessiva). Picchi di vero pathos ce ne sono pochi, sicuramente il finale e l'arrivo delle piccole imbarcazioni inglesi, seppur in realtà il pathos è quasi completamente portato e riempito dalla colonna sonora di Zimmer piuttosto che dal racconto di Nolan. Anche se in ogni caso questo è un film che, per quanto batta lo stra-abusato tema della guerra, introduce comunque delle novità, specialmente nello sviluppo narrativo, ed è tecnicamente realizzato molto bene, tanto che difficilmente può lasciare indifferenti. Dunkirk infatti, meritatamente in lizza per vincere un Oscar come miglior film, anche se difficilmente lo vincerà, giacché questo è un film di genere, di un genere poco commerciale (o preferito da tutti), al contrario di un film drammatico, d'inchiesta, di costume o romantico che molto spesso tendono a piacere più al pubblico e all'Academy, è un film potente, intenso, bellissimo e straordinario. Questo grazie anche ed ovviamente a Christopher Nolan, un regista davvero eccezionale che regala sempre ineguagliabili perle di cinema, che forse non meriterebbe di vincere l'Oscar come migliore regia solo per una sorta di "contentino" dopo parecchi tentativi falliti e tanti premi tecnici. Anche perché per quanto potente ed a tratti emozionante non credo sia comunque la sua opera migliore, ma sicuramente tra i film di guerra va considerato tra i più serrati ed avvincenti di sempre. Voto: 8