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giovedì 26 ottobre 2023

Outlaw King - Il re fuorilegge (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 26/10/2023 Qui - L'epopea di Robert Bruce nella lotta per la liberazione della Scozia dal dominio britannico. Un film diretto da David Mackenzie che dopo Hell or High Water ritrova l'attore Chris Pine, qui valido protagonista. Buon film/dramma storico ambientato tra gli splendidi scenari scozzesi, che si ricollega per la vicenda raccontata a Braveheart di Mel Gibson, pur non possedendone l'ampio respiro narrativo. Scene di battaglia ben realizzate ma anche un buon ritratto psicologico di un personaggio che credette fermamente all'indipendenza della sua terra. Anche se non si rivelerà qualcosa di indimenticabile (abbastanza classiche le dinamiche, alcuni riempitivi inutili) è comunque una visione interessante e scorrevole. Voto: 6+

venerdì 17 gennaio 2020

Il professore e il pazzo (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 16/01/2020 Qui
Tema e genere: Adattamento cinematografico del libro del 1998 L'assassino più colto del mondo (The Surgeon of Crowthorne: A Tale of Murder, Madness and the Love of Words) scritto da Simon Winchester, film biografico drammatico che narra le vicende di Sir James Murray, che nel 1879 inizia a lavorare alla prima edizione dell'Oxford English Dictionary.
Trama: La storia dietro la creazione del primo dizionario storico della lingua inglese da parte del professor James Murray, il cui lavoro è divenuto complicato per via della partecipazione del dottor W.C. Minor, paziente di un ospedale psichiatrico.
Recensione: Film biografico e ambizioso che nasce dalla volontà di ripercorrere un momento fondamentale per la lingua inglese (ovvero la realizzazione del primo e rinomatissimo dizionario oxfordiano), Il professore e il pazzo (The professor and the Madman) poggia tutto il suo peso sul valore della storia e su un cast di grandi nomi in cui spiccano Mel Gibson e Sean Penn nel ruolo di co-protagonisti (il primo comunque risulta eccessivo in un ruolo che sicuramente gli piace troppo, con il suo senso di onnipotenza che pervade per tutta la durata del film, mentre il secondo è imprigionato, anche letteralmente, in un ruolo che non gli permette di svecchiarsi e che lo lega a passate interpretazioni, funzionano meglio i personaggi femminili: buona l'interpretazione di Natalie Dormer, anche se il suo personaggio vive un'avventura fin troppo prevedibile, mentre risulta perfetta nel ruolo di moglie devota e saggia Jennifer Ehle). Un confronto che tutto sommato diventa cuore e anima del film, perché vede il faccia a faccia tra un autodidatta assai volitivo e lucido e un uomo di studi (medico e chirurgo) parzialmente oscurato dalla malattia psichiatrica. Un confronto particolare e interessante che infine troverà nella passione per la lingua, e in tutte le sue sfumature, un terreno fertile di dibattito e unione. Eppure, al netto di un progetto interessante e di una storia con un suo indubbio potenziale, il film diretto da P.B. Shemran (collaboratore dello stesso Gibson che aveva contribuito alla scrittura di Apocalypto) mostra quasi subito le sue molte debolezze, dettate forse in particolar modo dalla non capacità della scrittura di rendere fluida e affascinante una storia con così tanti risvolti, valori e sotto-testi.

venerdì 19 luglio 2019

Mary Shelley - Un amore immortale (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 19/06/2019 Qui
Tema e genere: Tra biopic storico e dramma romantico/sentimentale in costume, il film si presenta come un'opera biografica atipica prendendo in esame una parte di vita specifica di Mary Shelley. Il film infatti, copre un arco di tempo che va dal primo incontro di Mary con Percy fino alla pubblicazione del Frankenstein, avvenuta nel 1818, e quindi si svolge tutto in funzione della storia tra i due.
Trama: Com'è ovvio, la pellicola perciò narra della relazione amorosa tra Mary e il poeta Percy, e gli anni successivi al loro travagliato rapporto, fino alla creazione da parte della Shelley del romanzo "Frankenstein".
Recensione: Dopo l'imperdibile La bicicletta verde, la regista saudita Haifaa al-Mansour torna a parlare di donne coraggiose con la storia d'amore tra la scrittrice Mary e il poeta Percy Shelley. Le vicende narrate vanno dalle origini dell'amore tra i due fino al 1818, anno della pubblicazione del capolavoro letterario Frankenstein, o il moderno Prometeo. Un altro dramma tutto al femminile, che fa della lotta per i diritti della donna il fulcro della sua narrazione, ma se la storia della piccola Wadjda in La bicicletta verde commuoveva per la freschezza con cui trattava anche il tema del femminismo in un contesto complesso come quello dell'Arabia Saudita, con Mary Shelley la regista confeziona un biopic in salsa romantica che le fa compiere invece un grosso passo falso. Conosciamo la giovane protagonista dall'animo inquieto ma sensibile in piena ribellione adolescenziale: affascinata dall'eredità di una madre scrittrice, colta ed emancipata ma troppo prematuramente scomparsa, la sedicenne Mary viene mandata dall'amorevole padre (editore e scrittore anch'esso) in Scozia, per un periodo di riflessione lontano dal caos londinese. Le buone premesse s'infrangono però con l'entrata in scena del bello e maledetto Percy Shelley, che in un attimo sembra trasformarla in un burattino in balia della pubertà. Dopo una fuga d'amore alquanto rocambolesca la giovane donna si traveste improvvisamente da anticonformista e femminista in cerca della rivendicazione dei suoi diritti. Presentato al Festival di Toronto e al Torino Film Festival, Mary Shelley gode certamente di un fascino indiscutibile, ma è raccontato secondo modalità convenzionali. Se la prima parte del film mostra il percorso di crescita di Mary e le sue relazioni personali, con tutti gli aspetti positivi e negativi del caso, e del suo legame con Percy Shelley, quasi sprofondando in un teen drama vero e proprio, è la seconda parte che riesce a rendere veramente l'idea di cosa ci sia dietro la realizzazione di Frankestein, o il moderno Prometeo. Il genio, l'anticonformismo, la lungimiranza e l'universalità. Ma anche e soprattutto la fermezza nel contrastare il bigottismo, lo smarrimento, i preconcetti. Peccato che il film si perda spesso nel didascalismo e che non si assuma nessun coraggio indagatorio oltre i confini della convezione narratologica, senza arrischiare di indagare più a fondo il preciso contesto scientifico come il galvanismo, i pensieri e le contraddizioni interiori di una giovane donna, che sono quelli anche di un giovane, suo malgrado, mostro. Siamo insomma lontani anni luce dalla profondità con cui nel ben più riuscito film precedente la regista abbracciava una riflessione sulla libertà dell'essere umano e sul suo desiderio di felicità: in Mary Shelley tutto sembra puntare sull'anticonvenzionalità di una donna "contro", la cui ribellione poggia su basi troppo fragili per essere credibile agli occhi dello spettatore. Le note più interessanti che escono da Mary Shelley – Un amore immortale (lezioso il sottotitolo italiano) sono il contrasto tra il desiderio di vivere un amore oltre le convenzioni sociali e la cupa realtà di un rapporto difficile, anche se il fulcro del film si concentra sul bisogno di trovare la propria ispirazione e su come la sofferenza nella vita possa fare da motore al processo creativo di un romanzo. Sul finale (sicuramente la parte più vitale e ritmata), il film di Haifaa al-Mansour fa coincidere la ricerca d'affetto e la solitudine della Shelley con la famosa creatura del suo romanzo, in un'operazione meta letteraria e cinematografica non troppo originale. Alla fine l'impressione generale è però quella di un film parecchio debole, dalla scrittura poco fluida e fin troppo schematico per temi e stili proposti. Male, ma non malissimo, ed è già tanto.

lunedì 1 luglio 2019

L'ora più buia (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 08/02/2019 Qui - Innanzitutto è bene dire che questo film storico va assolutamente visto, poiché la pellicola ripercorre un pezzo importante della nostra Storia, anche italiana e non solo inglese, perché se Winston Churchill non si fosse schierato contro tutto e tutti adesso il Mondo, forse, sarebbe diverso, e quindi non si può che consigliarlo. Perché certo, quest'opera impegnativa (comunque robusta e di sana costituzione) non è di certo un film di intrattenimento, ma il suddetto è utile e necessario per comprendere e conoscere qualcosa in più su un fatto, anzi, su di un uomo che ha salvato il suo paese e l'Europa intera. Questo però non è un film biografico, è piuttosto un lungometraggio politico che ci porta nei cunicoli spaventosi di un horror in carne ed ossa: la seconda guerra mondiale. Ma a differenza di Dunkirk, il lavoro di Christopher Nolan, L'ora più buia (Darkest Hour), film del 2017 diretto da Joe Wright, non è un'opera corale, non si spinge sui campi di battaglia, bensì ripercorre le stanze della politica britannica mostrandoci senza veli come quest'ultima reagì alle invasioni di Hitler in Olanda, Belgio e Francia tracciando una radiografia, piuttosto inedita devo dire, di un Churchill burbero ma lungimirante che era stato emarginato e denigrato proprio per la disfatta di Gallipoli, durante la Grande Guerra. Infatti dopo meno di un anno di guerra, nel maggio 1940, Hitler sembrava aver già vinto. Il Terzo Reich avanzava nell'Europa occidentale e la Francia stava per soccombere. Mentre l'esercito britannico era vicino a essere sbaragliato sulle coste di Dunkerque, a Londra il governo Chamberlain è sotto accusa e si impone la scelta: chiedere la resa alla Germania nazista, anche prendendo atto dell'imminente capitolazione francese, e contrattare condizioni favorevoli, oppure combattere fino alla fine, mentre l'ipotesi di un'invasione del territorio britannico si faceva sempre più probabile. Non amato dal suo partito, quello conservatore, Churchill viene invocato come figura credibile dai laburisti per un governo unitario di emergenza. E così, proprio nei giorni che precedono la disfatta di Dunkerque (ma anche la pagina eroica del recupero dei soldati, pagina benissimo esposta nel film di Nolan), Churchill viene chiamato a sostituire come primo ministro Chamberlain, fautore della disastrosa strategia degli accordi con la Germania. E a disinnescare le trame di chi, come il rampante e ambizioso ministro Lord Halifax, spingeva per arrivare a patti con i nazisti.