giovedì 30 gennaio 2020

Il professore e il pazzo (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 16/01/2020 Qui
Tema e genere: Adattamento cinematografico del libro del 1998 L'assassino più colto del mondo (The Surgeon of Crowthorne: A Tale of Murder, Madness and the Love of Words) scritto da Simon Winchester, film biografico drammatico che narra le vicende di Sir James Murray, che nel 1879 inizia a lavorare alla prima edizione dell'Oxford English Dictionary.
Trama: La storia dietro la creazione del primo dizionario storico della lingua inglese da parte del professor James Murray, il cui lavoro è divenuto complicato per via della partecipazione del dottor W.C. Minor, paziente di un ospedale psichiatrico.
Recensione: Film biografico e ambizioso che nasce dalla volontà di ripercorrere un momento fondamentale per la lingua inglese (ovvero la realizzazione del primo e rinomatissimo dizionario oxfordiano), Il professore e il pazzo (The professor and the Madman) poggia tutto il suo peso sul valore della storia e su un cast di grandi nomi in cui spiccano Mel Gibson e Sean Penn nel ruolo di co-protagonisti (il primo comunque risulta eccessivo in un ruolo che sicuramente gli piace troppo, con il suo senso di onnipotenza che pervade per tutta la durata del film, mentre il secondo è imprigionato, anche letteralmente, in un ruolo che non gli permette di svecchiarsi e che lo lega a passate interpretazioni, funzionano meglio i personaggi femminili: buona l'interpretazione di Natalie Dormer, anche se il suo personaggio vive un'avventura fin troppo prevedibile, mentre risulta perfetta nel ruolo di moglie devota e saggia Jennifer Ehle). Un confronto che tutto sommato diventa cuore e anima del film, perché vede il faccia a faccia tra un autodidatta assai volitivo e lucido e un uomo di studi (medico e chirurgo) parzialmente oscurato dalla malattia psichiatrica. Un confronto particolare e interessante che infine troverà nella passione per la lingua, e in tutte le sue sfumature, un terreno fertile di dibattito e unione. Eppure, al netto di un progetto interessante e di una storia con un suo indubbio potenziale, il film diretto da P.B. Shemran (collaboratore dello stesso Gibson che aveva contribuito alla scrittura di Apocalypto) mostra quasi subito le sue molte debolezze, dettate forse in particolar modo dalla non capacità della scrittura di rendere fluida e affascinante una storia con così tanti risvolti, valori e sotto-testi.

Una scrittura che resta invece e suo malgrado sempre troppo monocorde e priva del mordente necessario a rendere l'opera di Farhad Safinia (vero nome del regista persiano) realmente appassionante. L'importanza dell'elemento linguistico così come il confronto tra questi due uomini diversi ma accomunati dal loro ideale "espressivo" non vengono, infatti, mai di fatto sviscerati a sufficienza. Ne risulta un'opera che appare per certi versi troppo artificiosa, e che manca di approfondire i numerosi spunti di riflessione che la vicenda (reale) comunque solleva, in primis il discorso chiave sulla magia delle parole che prendono vita nella lettura, liberandoci dai nostri stati di oppressione reali e mentali. Non viene restituita a fondo nemmeno la fatica e il lavorio di una sfida culturale senza paragoni, durata addirittura 70 anni, e ciò che emerge, in definitiva, è solo un blando e telefonato elogio della follia accademica, della quale si perdono tuttavia per strada tanto il furore quanto la nitidezza. Anche perché nonostante si parli della nascita del più grande dizionario della storia con la sua infinita quantità di termini, il vocabolario del regista (che preferisce rifugiarsi nel melodramma) rimane piuttosto classico e poco variegato. E soprattutto nella seconda parte cede il passo al didascalico abbondando di frasi ad effetto francamente evitabili. Insomma, questo film riesce solo parzialmente a restituirci la portata grandiosa di questa impresa epica, antesignana di quella che oggi è Wikipedia, l'enciclopedia più completa mai concepita prima grazie al crowdsourcing. Nella seconda parte inoltre si distacca molto dal tema di partenza per concentrarsi sulla storia parallela della vedova Eliza Merrett (Natalie Dormer) e sul suo rapporto con Minor (anni prima infatti l'uomo, già preda della sua follia, aveva ucciso per errore il marito di lei scambiandolo per un suo persecutore immaginario e lei era rimasta sola con sei figli a carico). Di conseguenza si trascura il tema centrale e di sicuro più interessante del film e cioè la pazzesca caccia alle parole compiuta da questi due uomini e la loro amicizia. E così alla fine non riesce a lasciare traccia, come invece fanno le parole. E così alla fine non basta neanche Eddie Marsan, lui fortunatamente come sempre essenziale nella recitazione, asciutta ed efficacemente comunicativa, a salvare questo tenue film.
Giudizio in sintesi: La pellicola, gioco forza per come è costruita, risulta a tratti commovente e a volte noiosa, lontana dai temi principali che avrebbero dovuto costituirne l'ossatura ed invece sono ridotti a mero sfondo teatrale. In verità quella di P.B. Shemran era un'impresa colossale e l'ambizione lo ha tradito. Peccato.
Consigliato: Difficile consigliarlo, diciamo che bisogna esserne portati, amare il genere e il tema.
Voto: 5

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