sabato 11 gennaio 2020

Il primo Re (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 10/01/2020 Qui
Tema e genere: Ambientata nel 753 a.C., anno di fondazione di Roma secondo la tradizione, la pellicola (di stampo epico drammatico) è una rivisitazione del mito di Romolo e Remo.
Trama: La storia di Romolo e Remo, fratelli che si amano visceralmente e che dovranno combattersi, all'alba di un impero millenario.
Recensione: Opera coraggiosa questo Il primo Re di Matteo Rovere (già fattosi notare con il bello ed adrenalinico Veloce come il vento) che, strizzando l'occhio a Valhalla Rising di Nicolas Winding Refn (ma distanziandosi da quella sua patina auto-celebrativa) e al celebre Apocalypto di Mel Gibson, confeziona un film per nulla scontato, viscerale, dalla violenta capacità espressiva, che tiene incollati alla sedia, disturbante ma attraversato da una visione del mondo e dell'uomo molto particolari. Più che un semplice film di cappa e spada (o peplum se si vuole), Il primo Re (un prodotto atipico nell'orizzonte della cinematografia italiana), grazie ad una sceneggiatura molto curata (merito anche dello stesso regista) propone un iter narrativo dove lo spettatore è posto di fronte a dilemmi tanto antichi quanto irrisolti. Il concetto di bene e male, nella sua accezione singola e universale, l'esistenza o meno di qualcosa di soprannaturale, di superiore e, nel caso vi si creda, il dilemma sulla natura di questa divinità, su quale rapporto ad essa ci leghi, se e quanto sia giusto farsi influenzare da essa. Perché al di là dei terribili combattimenti, della vita misera e oscena dell'epoca (assai lontana dai fasti hollywoodiani proposti per tanto tempo), questo film utilizza il mito, il racconto, per proporre una lettura sulla società, sull'uomo, sugli elementi fondamentali che hanno portato i nostri antenati a riconoscersi in usi, costumi e credenze comuni, a trovare un qualcosa che li unisse al di là della necessità di sopravvivenza. Il primo Re porta con sé certamente la tematica della famiglia come nucleo conflittuale, come universo ribollente di rancori e problematiche irrisolte, di passioni, tipico della filmografia di Rovere, ma riesce a coniugare il tutto nella dimensione storica, antropologica, che vede il fallimento inevitabile di un laicismo disgregante in favore di una religiosità atta a dare speranza e unità, fiducia in un futuro migliore deresponsabilizzato dalla semplice volontà dell'uomo. Film sulla storia, più che storico, Il primo Re è completamente slegato da opere parzialmente simili fatte in passato, ma soprattutto non addolcisce mai la pillola sulla terrificante realtà di quei tempi, non concede alcuna tregua nel ricordarci come la storia è scritta nel sangue e nella paura. La fede, la religione, qui è strumento di potere e morte, ma anche di unione e comunanza tra gli uomini. Il suo utilizzo come tutte le cose di questo mondo, pare dire il regista, dipende dalla mani di chi lo impugna come strumento, valeva ieri e vale oggi.
Audace ma saggio nell'optare per la scelta di utilizzare il latino arcaico (la scelta di far parlare i personaggi in lingua protolatina, quest'ultima ricostruita grazie all'aiuto dei semiologi dell'Università La Sapienza, permette infatti un'immersione totale nel suo contesto storico), il film ha in Alessandro Borghi (intensa, fisica e viscerale la sua efficace interpretazione) più che in Alessio Lapice, il motore trascinante. Un film che si offre agli occhi senza artificio, grazie ad una bellissima fotografia che valorizza al massimo una natura selvaggia, paurosa ed infida, contenitore suo malgrado di vicende umane ferine e angoscianti. Un certo rigore storico e filologico nella ricostruzione, che rifugge dall'eccessiva attualizzazione di ambiente e personaggi (che, nolente o volente, abbandona la necessità di essere fedele al mito ed ai suoi elementi soprannaturali), è ciò che contraddistingue positivamente Il primo Re rispetto ad altri film di ambientazione antico-romana. Passiamo però a quelli che personalmente ho trovato degli aspetti negativi di una pellicola che comunque promuovo (nonostante un'originalità non proprio elevata) a pieni voti. La parte sonora troppo discontinua e sovente prevedibile, e il finale che lascia qualche perplessità per le scene di combattimento (che rimangono però di ottima qualità nel complesso) e per l'incapacità da parte di Rovere di osare, di tenersi sotto le righe, negare un'epica che riemerge con poco senso e poca coerenza. Ma è solo un attimo, una piccola crepa in una costruzione cinematografica ambiziosa (c'è da dire che ci sono parecchi prestiti da altri film, però il tutto è abilmente rimescolato al fine di creare un'opera affascinante e pregnante) ma mai vanagloriosa, una ventata di freschezza in un panorama cinematografico italiano che sempre più spesso si conferma sterile e ripetitivo, e che sempre più raramente lascia un segno come in questo caso.
Giudizio in sintesi: Non un film perfetto, ma coraggioso (e riuscito), col quale Matteo Rovere pone lo spettatore di fronte a interrogativi antichi quanto irrisolti, caratterizzato da buone performance e da un comparto tecnico notevole.
Consigliato: Agli amanti del genere e a chi cerca qualcosa di nuovo, soprattutto dal cinema italiano.
Voto: 7

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