Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/01/2020 Qui
Tema e genere: Ispirandosi al cosiddetto delitto del Canaro, questo film drammatico, selezionato per rappresentare l'Italia ai premi Oscar 2019 nella categoria per il miglior film in lingua straniera (ma non è entrato nella short-list dei dieci film pre-selezionati),
Trama: Un uomo tranquillo, che vive per i suoi amati cani e per la sua figlioletta, è succube di un ex pugile violento che terrorizza l'intero quartiere. E dopo varie angherie egli finirà per prendere consapevolezza su quanto negativa sia l'influenza dell'amico, immaginando una vendetta dall'esito inaspettato.
Recensione: Dogman, nono film di Matteo Garrone, è l'ennesima favola nera (nerissima) della sua carriera, iniziata sotto il profilo di un "realismo poetico" e proseguita, da L'imbalsamatore (2002) in poi, con storie estreme in cui i personaggi si muovono come in un sogno, spesso un incubo, o appunto come in una favola nera. Qui c'è un uomo piccolo e mite, ovvero Marcello (interpretato da uno strepitoso Marcello Fonte, attore sgraziato e capace di infondere purezza al suo personaggio), amorevole con i cani (e con la figlia), ansioso di avere l'amicizia delle altre persone del quartiere, debole con chi fa la voce grossa con lui come Simone. Per proteggerlo (per paura di lui), Marcello finirà anche in carcere. Al suo ritorno le cose precipiteranno, tra isolamento dei vicini e nuove angherie di Simone. Come detto, il film si ispira, liberamente, al cosiddetto "delitto del Canaro", che si consumò a Roma negli anni '80, a Garrone però non interessa ricostruire fedelmente quel delitto, che trasporta in un'altra zona e in un'altra epoca (è ambientato ai giorni nostri). Più importante, come negli altri suoi film, è il contesto e lo sfondo visivo: un panorama suburbano squallido, tra architetture orribili, costruzioni abbandonate e squarci di natura selvaggia, tanto da far pensare a un incrocio tra un western suburbano e un horror tra l'allucinato e l'onirico (grazie anche ai temi musicali che si susseguono). Attorno a Marcello (pauroso quando le cose si mettono male, ma anche desideroso di rispetto) non c'è solo Simone, violento e costantemente fuori di testa, ma anche altre persone come i proprietari di negozi e locali accanto a lui che condividono l'insofferenza ma anche la potenziale violenza nei rapporti.
Garrone, come sempre, fa parlare le immagini e i volti, in ciò aiutato da attori tutti in parte e diretti benissimo dall'autore. Accanto a Marcello Fonte (miglior attore protagonista al Festival di Cannes e dal passato registico con il mediocre però Asino vola) c'è Edoardo Pesce, all'ennesima trasformazione e all'ennesimo ruolo da duro borderline (ma questa è la sua prova più inquietante). Ma la trasformazione maggiore è quella del protagonista, uomo senza apparenti qualità (che invece ha: vedere come salva la vita di un cane assiderato), e la cui decisione finale non sembra solo una vendetta quanto un sacrificio (con cui perderà l'innocenza per sempre, e si presume non solo quella) per un'intera comunità. Dogman ci mostra egregiamente come un contesto degradato possa trasformare in mostri anche le persone umili. Non c'è alcun happy ending. Solo un finale crudo, senza sconti, definitivo, senza speranze. Certo, Garrone non racconta nulla di nuovo, tuttavia lo fa con un'eleganza fuori dal comune, con un'ambientazione da Oscar nella sua semplicità e con interpreti scelti come meglio non si poteva a cominciare dall'aspetto fisico. Tutto è studiato nei minimi dettagli e nulla è lasciato al caso. Il finale non mi è piaciuto particolarmente e per lunghi tratti ho percepito cosa sarebbe accaduto da lì a poco, ma sicuramente posso affermare di aver visto cinema di qualità.
Garrone, come sempre, fa parlare le immagini e i volti, in ciò aiutato da attori tutti in parte e diretti benissimo dall'autore. Accanto a Marcello Fonte (miglior attore protagonista al Festival di Cannes e dal passato registico con il mediocre però Asino vola) c'è Edoardo Pesce, all'ennesima trasformazione e all'ennesimo ruolo da duro borderline (ma questa è la sua prova più inquietante). Ma la trasformazione maggiore è quella del protagonista, uomo senza apparenti qualità (che invece ha: vedere come salva la vita di un cane assiderato), e la cui decisione finale non sembra solo una vendetta quanto un sacrificio (con cui perderà l'innocenza per sempre, e si presume non solo quella) per un'intera comunità. Dogman ci mostra egregiamente come un contesto degradato possa trasformare in mostri anche le persone umili. Non c'è alcun happy ending. Solo un finale crudo, senza sconti, definitivo, senza speranze. Certo, Garrone non racconta nulla di nuovo, tuttavia lo fa con un'eleganza fuori dal comune, con un'ambientazione da Oscar nella sua semplicità e con interpreti scelti come meglio non si poteva a cominciare dall'aspetto fisico. Tutto è studiato nei minimi dettagli e nulla è lasciato al caso. Il finale non mi è piaciuto particolarmente e per lunghi tratti ho percepito cosa sarebbe accaduto da lì a poco, ma sicuramente posso affermare di aver visto cinema di qualità.
Giudizio in sintesi: Matteo Garrone continua a proporre film riusciti, non capolavori, ma convincenti, come questo, convincente più del suo ultimo visto, Il racconto dei racconti - Tale of Tales.
Consigliato: Sì, agli amanti del genere, ma pure a tutti gli altri.
Voto: 7
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