Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/01/2020 Qui
Tema e genere: Un ritratto femminile struggente e autentico è al centro de La douleur, tratto dal romanzo autobiografico di Marguerite Duras.
Tema e genere: Un ritratto femminile struggente e autentico è al centro de La douleur, tratto dal romanzo autobiografico di Marguerite Duras.
Trama: Nel giugno 1944, la scrittrice Marguerite vive con angoscia l'arresto e la successiva deportazione del marito Robert Antelme, figura chiave della Resistenza a Parigi. Per riuscire a ottenere maggiori informazioni sul marito, Marguerite inizia a frequentare Rabier, un agente della Gestapo francese. Anche quando la liberazione di Parigi è sempre più vicina, le notizie sulla sopravvivenza di Robert si fanno sempre più confuse.
Recensione: Tratto dall'opera autobiografica di Marguerite Duras, che mantiene i nomi reali, La douleur è un viaggio a ritroso nel tempo attraverso i ricordi e le parole, che nel film si mescolano ovviamente con le immagini, in un continuo andirivieni tra la Marguerite del presente (che ritrova i diari del 1944 e rivive i ricordi di quei giorni terribili) e quella del 1944. È il racconto di un dolore, appunto, ma anche di un'attesa e di un'assenza, e dei sensi di colpa di una donna che tradisce il suo uomo e teme di non vederlo più tornare. O forse, non sa nemmeno cosa sperare. Un grande peso nella vicenda ce l'ha il rapporto con altri due uomini: il collaborazionista Rabier e l'amante Dyonis. Con Rabier il gioco di ambiguità, di manipolazione reciproca e forse di una certa attrazione è teso e intrigante, e i dialoghi tra i due, negli incontri alla luce del sole eppure con il sapore del "proibito" e dell'illecito, sono interessanti, nella continua schermaglia, quasi un duello verbale. Senza contare che possono diventare l'esca per l'omicidio dello spregevole "funzionario". Più bloccato il confronto con il duro Dyonis, che gioca a far sentire in difficoltà Marguerite quasi a scaricare il suo (eventuale) senso di colpa. E poi c'è l'attesa, i pensieri/monologhi, le fughe nella città colpita dalle bombe, ma anche una giovane donna che sembra estraniarsi da tutto (la corsa in bicicletta, proprio durante un attacco aereo). Il film di Emmanuel Finkiel (ex attore ora regista a tutto tondo), selezionato dalla Francia per la corsa all'Oscar straniero (e vincitore di tre Premi César), è di nobile qualità letteraria, ed è prezioso storicamente nel ricordare ancora una volta a chi non sa quali periodi terribili abbia affrontato l'Europa solo pochi decenni fa, ed è significativo osservare i mutevoli umori della "folla", prima e dopo la liberazione dai tedeschi, come pure il dramma di chi tornava a casa dall'inferno con la mente sconvolta.
Ma come opera cinematografica ha qualche limite, rivelandosi più interessante che bello. Soprattutto con una tensione che regge fino alla fine della guerra, mentre il "dopo" ha qualche momento forte (appunto, i reduci) ma smorza comunque la tensione che viene affidata soprattutto alle parole, in un lungo, diluitissimo finale (dove però c'è una soluzione "visiva", in cui anzi si vede poco, davvero felice). Il pregio maggiore sono comunque le interpretazioni dei protagonisti, in particolare l'intensissima Mélanie Thierry (molto apprezzata in The Zero Theorem e pure in altri piccoli film) che rende bene una donna fortissima nel resistere al dolore e all'attesa ma anche fragile nel suo macerarsi tra sentimenti contrastanti. Ma anche Benoît Magimel (al contrario del partigiano Dyonis, reso minacciosamente dall'ombroso Benjamin Biolay, che è un personaggio meno interessante) nei panni del bieco collaborazionista offre un'interpretazione ricca di sfumature: quanto crede davvero, quell'uomo che sogna di aprire una libreria dopo la guerra, che la Germania sia prossima alla vittoria, e quanto è obbligato a pensarlo? Nessuna sfumatura invece sul vile esercizio di insabbiamento storico, di una città e di una Nazione, condannata al silenzio di Stato sullo sterminio degli ebrei, di cui non si seppe nulla fino alla fine degli anni '60, un silenzio che portava giocoforza Marguerite e un'intera popolazione a sperare che, forse, in qualche parte del mondo, i propri cari fossero ancora vivi e che un giorno li avrebbero ritrovati. Con un voice over in alcuni punti eccessivo, ma che ben trasmette il diario intimo di Marguerite che si fa portavoce di un dolore e di un'attesa, La douleur rappresenta così un mondo, privato e universale, segnato dall'orrore della seconda guerra mondiale. Ed è quindi un film forse non del tutto appassionante, ma è pur sempre un film da vedere, soprattutto oggi e in questo delicato momento storico, in cui sempre presente nella Memoria devono rimanere questi anni bui.
Ma come opera cinematografica ha qualche limite, rivelandosi più interessante che bello. Soprattutto con una tensione che regge fino alla fine della guerra, mentre il "dopo" ha qualche momento forte (appunto, i reduci) ma smorza comunque la tensione che viene affidata soprattutto alle parole, in un lungo, diluitissimo finale (dove però c'è una soluzione "visiva", in cui anzi si vede poco, davvero felice). Il pregio maggiore sono comunque le interpretazioni dei protagonisti, in particolare l'intensissima Mélanie Thierry (molto apprezzata in The Zero Theorem e pure in altri piccoli film) che rende bene una donna fortissima nel resistere al dolore e all'attesa ma anche fragile nel suo macerarsi tra sentimenti contrastanti. Ma anche Benoît Magimel (al contrario del partigiano Dyonis, reso minacciosamente dall'ombroso Benjamin Biolay, che è un personaggio meno interessante) nei panni del bieco collaborazionista offre un'interpretazione ricca di sfumature: quanto crede davvero, quell'uomo che sogna di aprire una libreria dopo la guerra, che la Germania sia prossima alla vittoria, e quanto è obbligato a pensarlo? Nessuna sfumatura invece sul vile esercizio di insabbiamento storico, di una città e di una Nazione, condannata al silenzio di Stato sullo sterminio degli ebrei, di cui non si seppe nulla fino alla fine degli anni '60, un silenzio che portava giocoforza Marguerite e un'intera popolazione a sperare che, forse, in qualche parte del mondo, i propri cari fossero ancora vivi e che un giorno li avrebbero ritrovati. Con un voice over in alcuni punti eccessivo, ma che ben trasmette il diario intimo di Marguerite che si fa portavoce di un dolore e di un'attesa, La douleur rappresenta così un mondo, privato e universale, segnato dall'orrore della seconda guerra mondiale. Ed è quindi un film forse non del tutto appassionante, ma è pur sempre un film da vedere, soprattutto oggi e in questo delicato momento storico, in cui sempre presente nella Memoria devono rimanere questi anni bui.
Giudizio in sintesi: Non il classico film sull'Olocausto, nessun campo di concentramento, nessuna violenza, ma un film sull'attesa, un'attesa insostenibile, un'agonia lenta e silenziosa nel mezzo del caos della liberazione di Parigi, un film seppur più interessante che bello, in ogni caso da vedere.
Consigliato: Sicuramente non un film di facile fruizione, ma di un bell'impegno a cui dedicarsi nelle sue abbondanti due ore, perciò occhio.
Voto: 6+
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