Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 02/07/2021 Qui - Un ibrido non sempre convincente (sembra più un pilot di una serie che di un film vero e proprio). Josh Boone (il regista) tenta di dare ai mutanti un'aria dark e horror che in teoria ben si sposerebbe con i personaggi (provenienti dal mondo dei fumetti), ma la gestazione travagliata del progetto e i tanti reshoots si notano, tanto da dare al film una forma strana tra il teen horror e un fantasy qualunque. La trama è buona finché tenta di esplorare le psicosi dei ragazzi, ma si perde poi tra brutti effetti speciali e colpi di scena telefonati. Buona l'interpretazione del cast (da segnalare la buonissima prova di Anya Taylor-Joy nei panni della bulla schizzata), così come indovinate sono le prime sequenze da "incubo", meno il finale baracconesco. Il film procede con un ritmo troppo sostenuto, e si potrebbe dire che soffra di una sorta di eiaculazione precoce cinematografica. Fretta, troppa fretta, un'impellente (non si sa perché) bisogno di terminare il film, senza concludere nulla e lasciando sotto-trame a metà. Lo sviluppo dei personaggi è incompleto, l'intreccio banale e a volte forzato, alcuni elementi sembrano addirittura ripresi, scopiazzati male da altri film nettamente superiori, e buttati in mezzo, così de botto, senza senso. Un film che si stacca abbastanza nettamente (anche stilisticamente) dalla serie degli X-Men alla quale è in qualche modo collegato, ma che esattamente come la cinematografia del suddetto franchise lascia abbastanza a desiderare. E dopo Dark Phoenix è questo un altro brutto colpo per le speranze di rinascita. Voto: 5
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giovedì 1 luglio 2021
The New Mutants (2020)
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giovedì 28 novembre 2019
Alla fine ci sei tu (2018)
Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 28/11/2019 Qui
Tema e genere: Agrodolce commedia romantica sul senso del tempo e della vita.
Trama: La vita di Calvin (un ragazzo ipocondriaco, Asa Butterfield) viene stravolta quando incontra Skye (Maisie Williams) un'adolescente che soffre di una malattia terminale. La sua nuova amica lo assume per aiutarla a completare la sua lista di cose da fare prima di morire, una missione che lo costringerà ad affrontare le sue peggiori paure, e a vivere in maniera nuova l'innamoramento con la bella ma apparentemente instabile Izzy (Nina Dobrev).
Recensione: Alla fine ci sei tu è un film abbastanza intenso, toccante e commovente, da meritare apprezzamenti. Un film che non scivola (quasi) mai in inutili pietismi, evitando (quasi sempre) eccessi d'enfasi e retorica. Una storia quindi emozionante, divertente e commovente al contempo, inno all'amicizia e che celebra il senso profondo della vita. E' soprattutto, infatti, una storia di un'amicizia insolita e poco convenzionale, specie nel modo in cui scaturisce, in un malinteso di fatto e ancor più, si sviluppa, con diversi momenti simpatici, in cui fanno capolino i divertenti confronti-scontri, con i due poliziotti dal cuore tenero. Quanto più la pellicola procede, tanto più il film perde la sua connotazione leggera, collocando sullo sfondo il black humour della prima parte, acquisendo un tono decisamente più drammatico, facendo emergere l'aspetto introspettivo del racconto. Un racconto (di formazione) nel suo complesso godibile, perché discretamente tratteggiato e perciò capace di non annoiare né di lasciarsi andare a buonismi fastidiosi, dal buon impatto emotivo, ben interpretato e ben girato, che ci rammenta, come conti di più la qualità del tempo che abbiamo a disposizione, piuttosto che la sua durata. E quindi qual è il problema del film? E' che di originale ha ben poco, anzi, molte situazioni sembrano ricalcare quel gioiellino che era Quel fantastico peggior anno della mia vita, altre sembrano ricalcare i molti classici film di formazione della cinematografia statunitense degli ultimi anni, altre le classiche commedie romantiche giovanili. Insomma tutto già visto, e in misura forse migliore. Certo, ci sono alcune differenze, ma la base è quella, finale compreso. E così nonostante il film riesca ad intrattenere, e nonostante si lasci vedere, non riesce a distinguersi, risultando così solo un film sì carino ma facilmente (troppo facilmente) dimenticabile.
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domenica 21 luglio 2019
I primitivi (2018)
Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 01/07/2019 Qui
Tema e genere: Questo film d'animazione del 2018 prodotto con l'incredibile tecnica della Stop motion ci racconta una storia di riscatto sociale, dove ci viene mostrato che non sempre il progresso tecnologico corrisponde esattamente ad un progresso sociale, anzi in alcuni casi è esattamente l'opposto.
Tema e genere: Questo film d'animazione del 2018 prodotto con l'incredibile tecnica della Stop motion ci racconta una storia di riscatto sociale, dove ci viene mostrato che non sempre il progresso tecnologico corrisponde esattamente ad un progresso sociale, anzi in alcuni casi è esattamente l'opposto.
Trama: I Primitivi racconta la storia di due mondi che si scontrano: quello pacifico dell'Età della Pietra e quello dell'Età del Bronzo, primo caso di industrializzazione dell'uomo. La necessità di nuove miniere porta il regime del Bronzo ad invadere le terre remote dei semplici abitanti di una valle verdeggiante e a requisirne le terre. Il protagonista, Dag, ottiene di sfidare l'oppressivo regime dell'Età del Bronzo in una partita a...calcio! Solamente vincendo la sfida contro la squadra più forte dell'Età del Bronzo, il Real Bronzio, i nostri eroi potranno tornare in possesso delle loro terre.
Recensione: Dopo Galline in Fuga, Wallace & Gromit: La maledizione del coniglio mannaro, Giù per il tubo, Pirati! e Shaun: Vita da pecora, gli Aardman Studios continuano la loro personalissima strada nell'animazione di qualità e lo fanno ancora insistendo sulla tecnica della stop motion (nel loro specifico, la claymotion, con pupazzi di plastilina), sempre dannatamente affascinante anche se ormai praticata pochissimo dagli studi cinematografici, visto l'impegno di tempo e manodopera che implica (ultimamente però qualcosa sta cambiando). Come accaduto in passato, anche I Primitivi predilige una storia semplice e immediata che possa arrivare con grande facilità a un pubblico di bambini, senza però andare mai a discapito dell'intrattenimento per adulti e così le situazioni divertenti e i personaggi sopra le righe sono sempre inseriti in contesti incredibilmente ben strutturati a livello narrativo e forti di un umorismo tipicamente britannico che fa sghignazzare a denti stretti anche l'adulto più smaliziato (anche se le trovate, sia nelle situazioni, nei protagonisti, negli elementi scenici e in alcuni giochi di parole, sono, ahimè, spesso non molto efficaci nella localizzazione in italiano). Tra gag talmente sceme da risultare irresistibili (molte con protagonista il cinghiale Grugno, fedele compagno di Dag, doppiato, si fa per dire, dato che non parla, dal regista stesso), con un masso cacciatore provetto, un coniglio impaziente di essere mangiato e una mamma primitiva pronta a mettere in imbarazzo il proprio figlio primitivo, il film di Nick Park (che fa sorridere più che ridere, data la leggerezza e la spensieratezza delle gag disseminate per tutto il film) si dirige presto in una direzione "nobile" che mette in evidenza la lotta per far valere i diritti degli oppressi. Oppressi che prendono immediatamente le sembianze dei cavernicoli dell'età della pietra, scacciati dalle proprie terre dalla "civiltà" che avanza inesorabilmente. Non di meno viene evidenziato il fondamentale apporto femminile alla società, a volte ingiustamente sottovalutato, come nel caso di Ginna, promettente calciatrice ma impossibilità a praticare il suo sport preferito in quanto le donne sono escluse dai campi di calcio. Tuttavia, e poiché la storia de I Primitivi è quasi un grande classico del cinema sportivo: un gruppo di sprovveduti è costretto a confrontarsi con una realtà che, sulla carta, pare davvero imbattibile, l'originalità è ben poca. Fortunatamente questo non è però un film che si basa sulla storia. Ciò che convince sono le trovate sceniche e quei piccoli pezzi di genio che spuntano qua e là nel film, autentiche firme d'autore.
Recensione: Dopo Galline in Fuga, Wallace & Gromit: La maledizione del coniglio mannaro, Giù per il tubo, Pirati! e Shaun: Vita da pecora, gli Aardman Studios continuano la loro personalissima strada nell'animazione di qualità e lo fanno ancora insistendo sulla tecnica della stop motion (nel loro specifico, la claymotion, con pupazzi di plastilina), sempre dannatamente affascinante anche se ormai praticata pochissimo dagli studi cinematografici, visto l'impegno di tempo e manodopera che implica (ultimamente però qualcosa sta cambiando). Come accaduto in passato, anche I Primitivi predilige una storia semplice e immediata che possa arrivare con grande facilità a un pubblico di bambini, senza però andare mai a discapito dell'intrattenimento per adulti e così le situazioni divertenti e i personaggi sopra le righe sono sempre inseriti in contesti incredibilmente ben strutturati a livello narrativo e forti di un umorismo tipicamente britannico che fa sghignazzare a denti stretti anche l'adulto più smaliziato (anche se le trovate, sia nelle situazioni, nei protagonisti, negli elementi scenici e in alcuni giochi di parole, sono, ahimè, spesso non molto efficaci nella localizzazione in italiano). Tra gag talmente sceme da risultare irresistibili (molte con protagonista il cinghiale Grugno, fedele compagno di Dag, doppiato, si fa per dire, dato che non parla, dal regista stesso), con un masso cacciatore provetto, un coniglio impaziente di essere mangiato e una mamma primitiva pronta a mettere in imbarazzo il proprio figlio primitivo, il film di Nick Park (che fa sorridere più che ridere, data la leggerezza e la spensieratezza delle gag disseminate per tutto il film) si dirige presto in una direzione "nobile" che mette in evidenza la lotta per far valere i diritti degli oppressi. Oppressi che prendono immediatamente le sembianze dei cavernicoli dell'età della pietra, scacciati dalle proprie terre dalla "civiltà" che avanza inesorabilmente. Non di meno viene evidenziato il fondamentale apporto femminile alla società, a volte ingiustamente sottovalutato, come nel caso di Ginna, promettente calciatrice ma impossibilità a praticare il suo sport preferito in quanto le donne sono escluse dai campi di calcio. Tuttavia, e poiché la storia de I Primitivi è quasi un grande classico del cinema sportivo: un gruppo di sprovveduti è costretto a confrontarsi con una realtà che, sulla carta, pare davvero imbattibile, l'originalità è ben poca. Fortunatamente questo non è però un film che si basa sulla storia. Ciò che convince sono le trovate sceniche e quei piccoli pezzi di genio che spuntano qua e là nel film, autentiche firme d'autore.
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venerdì 19 luglio 2019
Mary Shelley - Un amore immortale (2017)
Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 19/06/2019 Qui
Tema e genere: Tra biopic storico e dramma romantico/sentimentale in costume, il film si presenta come un'opera biografica atipica prendendo in esame una parte di vita specifica di Mary Shelley. Il film infatti, copre un arco di tempo che va dal primo incontro di Mary con Percy fino alla pubblicazione del Frankenstein, avvenuta nel 1818, e quindi si svolge tutto in funzione della storia tra i due.
Tema e genere: Tra biopic storico e dramma romantico/sentimentale in costume, il film si presenta come un'opera biografica atipica prendendo in esame una parte di vita specifica di Mary Shelley. Il film infatti, copre un arco di tempo che va dal primo incontro di Mary con Percy fino alla pubblicazione del Frankenstein, avvenuta nel 1818, e quindi si svolge tutto in funzione della storia tra i due.
Trama: Com'è ovvio, la pellicola perciò narra della relazione amorosa tra Mary e il poeta Percy, e gli anni successivi al loro travagliato rapporto, fino alla creazione da parte della Shelley del romanzo "Frankenstein".
Recensione: Dopo l'imperdibile La bicicletta verde, la regista saudita Haifaa al-Mansour torna a parlare di donne coraggiose con la storia d'amore tra la scrittrice Mary e il poeta Percy Shelley. Le vicende narrate vanno dalle origini dell'amore tra i due fino al 1818, anno della pubblicazione del capolavoro letterario Frankenstein, o il moderno Prometeo. Un altro dramma tutto al femminile, che fa della lotta per i diritti della donna il fulcro della sua narrazione, ma se la storia della piccola Wadjda in La bicicletta verde commuoveva per la freschezza con cui trattava anche il tema del femminismo in un contesto complesso come quello dell'Arabia Saudita, con Mary Shelley la regista confeziona un biopic in salsa romantica che le fa compiere invece un grosso passo falso. Conosciamo la giovane protagonista dall'animo inquieto ma sensibile in piena ribellione adolescenziale: affascinata dall'eredità di una madre scrittrice, colta ed emancipata ma troppo prematuramente scomparsa, la sedicenne Mary viene mandata dall'amorevole padre (editore e scrittore anch'esso) in Scozia, per un periodo di riflessione lontano dal caos londinese. Le buone premesse s'infrangono però con l'entrata in scena del bello e maledetto Percy Shelley, che in un attimo sembra trasformarla in un burattino in balia della pubertà. Dopo una fuga d'amore alquanto rocambolesca la giovane donna si traveste improvvisamente da anticonformista e femminista in cerca della rivendicazione dei suoi diritti. Presentato al Festival di Toronto e al Torino Film Festival, Mary Shelley gode certamente di un fascino indiscutibile, ma è raccontato secondo modalità convenzionali. Se la prima parte del film mostra il percorso di crescita di Mary e le sue relazioni personali, con tutti gli aspetti positivi e negativi del caso, e del suo legame con Percy Shelley, quasi sprofondando in un teen drama vero e proprio, è la seconda parte che riesce a rendere veramente l'idea di cosa ci sia dietro la realizzazione di Frankestein, o il moderno Prometeo. Il genio, l'anticonformismo, la lungimiranza e l'universalità. Ma anche e soprattutto la fermezza nel contrastare il bigottismo, lo smarrimento, i preconcetti. Peccato che il film si perda spesso nel didascalismo e che non si assuma nessun coraggio indagatorio oltre i confini della convezione narratologica, senza arrischiare di indagare più a fondo il preciso contesto scientifico come il galvanismo, i pensieri e le contraddizioni interiori di una giovane donna, che sono quelli anche di un giovane, suo malgrado, mostro. Siamo insomma lontani anni luce dalla profondità con cui nel ben più riuscito film precedente la regista abbracciava una riflessione sulla libertà dell'essere umano e sul suo desiderio di felicità: in Mary Shelley tutto sembra puntare sull'anticonvenzionalità di una donna "contro", la cui ribellione poggia su basi troppo fragili per essere credibile agli occhi dello spettatore. Le note più interessanti che escono da Mary Shelley – Un amore immortale (lezioso il sottotitolo italiano) sono il contrasto tra il desiderio di vivere un amore oltre le convenzioni sociali e la cupa realtà di un rapporto difficile, anche se il fulcro del film si concentra sul bisogno di trovare la propria ispirazione e su come la sofferenza nella vita possa fare da motore al processo creativo di un romanzo. Sul finale (sicuramente la parte più vitale e ritmata), il film di Haifaa al-Mansour fa coincidere la ricerca d'affetto e la solitudine della Shelley con la famosa creatura del suo romanzo, in un'operazione meta letteraria e cinematografica non troppo originale. Alla fine l'impressione generale è però quella di un film parecchio debole, dalla scrittura poco fluida e fin troppo schematico per temi e stili proposti. Male, ma non malissimo, ed è già tanto.
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