lunedì 30 novembre 2020

Cassandra Crossing (1976)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/11/2020 Qui - Ottimo antesignano di quello che saranno vari generi in futuro. Dal catastrofismo puro all'attacco terroristico su larga scala (almeno nelle intenzioni). Terroristi inconsapevolmente contagiosi spargono un terribile virus su un treno, che le autorità decidono di sigillare e dirottare verso un ponte instabile. All'epoca della sua uscita fece molto parlare, per questo e per tanto altro (rivisto oggi balzano agli occhi molte ingenuità, ma all'epoca l'impatto fu notevole, e tuttora contiene spunti interessanti). George Pan Cosmatos, padre di Panos, dirige bene un cast a dir poco eterogeneo e non solo per le nazionalità ma per le tante sfaccettature (alcune riuscite altre no) dei personaggi (fra il cast figura, oltre a Burt LancasterAva Gardner e pure Alida Valli, persino Sophia Loren, che seppur sembrerebbe caduta lì per caso riesce a far filtrare il giusto tocco di umanità, ed attenzione, oltre a Martin SheenRichard Harris e Lionel Stander, addirittura ecco comparire un prete interpretato da O. J. Simpson, sì proprio lui). Nonostante l'eccessiva lunghezza il film ha comunque buoni momenti di pathos e tensione. Il parametro per giudicare la sua bontà? A vederlo oggi risulta ancora molto attuale, a vederlo di questi tempi difficili, anche di più. Decisamente non il miglior film del regista greco, ma uno dei più iconici ed importanti certamente. Voto: 6,5 [Qui Scheda]

Heaven Knows What (2014)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/11/2020 Qui - Dall'esordio cinematografico di due fratelli molto apprezzati tra gli indipendenti americani, fattasi ultimamente notare con Diamanti grezzi in particolar modo (sono ovviamente Josh e Benny Safdie), mi aspettavo di meglio. Inizia il film e penso subito: ok un film sull'eroina e sui drogati di strada forse un filo troppo anni '80 ma potrebbe essere un gioiellino, sono passati 30 ci sarà qualcosa da dire di nuovo, e invece no. Il film è identico a tantissimi anni usciti nel periodo in cui l'eroina ammazzava tanti giovani ogni giorno senza spunti né idee. Forse è giusto premiarne la capacità di raccontare la vita dei protagonisti (Arielle Holmes e Caleb Landry Jones soprattutto) senza troppi dialoghi o parole, forse è giusto anche sottolineare la capacità di rendere la sporcizia del mondo dei tossici nella metropoli più famosa e dove girano più soldi di tutto il mondo, forse il film è anche ruvido come deve essere (gli attori sono bravi e credibili), ma oltre alla buona prova stilistica non ho trovato l'idea per fare un buon film. Voto: 5 [Qui Scheda]

Krisha (2014)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/11/2020 Qui - Madre sessantenne dal passato turbolento torna in famiglia per il Ringraziamento e per cercare di farsi riaccettare (soprattutto dal figlio, interpretato da Trey Edward Shults, anche regista del film in questione). Per buona parte non si capisce quale stile si persegua: se dramma familiare, orrorifico o commedia nera. Alla fine è la già vista narrazione del declino dei rapporti umani in chiave americana, stavolta con un filo di coraggio in più. Qualche buon dialogo e un po' di sentimento sono le parti migliori (anche perché Krisha, impersonata da Krisha Fairchild, nella realtà zia del regista, riesce con la sua espressività ad esprimerlo con convinzione quel sentimento) ma le recidive o i buoni propositi post-terapia ormai sembrano scontati. Per Trey Edward Shults altra prova incolore dopo il sopravvalutato It comes at night, spero di meglio la prossima volta. Voto: 5+ [Qui Scheda]

High Life (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/11/2020 Qui - Condannati a morte (una scienziata, un padre ed una figlia) sono stati cooptati per un viaggio verso un buco nero alla ricerca di una fonte di energia inesauribile. Un'altra prigione nello spazio, ma diversa da quelle viste in precedenza: nessuna possibilità di fuga, nessuna prospettiva di ritorno, ritmo semi-letargico, interazioni minimali. La confezione accurata con sequenze di commovente tenerezza cattura l'attenzione ma la narrazione confusa, a tratti criptica, risulta irritante per le sue palesi pretese autoriali, compromettendo l'impatto di un film interessante (diretto da Claire Denis) che aveva le potenzialità per essere ottimo. Se la storia all'inizio può anche affascinare ed intrigare con il carico di mistero che si porta con sé, a lungo andare l'interesse si perde a causa di ritmi molto dilatati e della già detta enigmatica trama, con annessi strani inserti sci-fi porno (Juliette Binoche una strega?). Ha comunque un suo fascino, specialmente visivo: le immagini sono belle e curate (buone le interpretazioni, di Robert Pattinson e Mia Goth specialmente). Peccato per la sceneggiatura: fosse stata più curata ed avvincente sarebbe stato un gran film. Così è un'occasione mancata. Voto: 5,5 [Qui Scheda]

Swallow (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/11/2020 Qui - Il primo (vero) lungometraggio del regista Carlo Mirabella-Davis è un thriller psicologico che non può che ricercare una nicchia di pubblico per la tematica particolarmente singolare. Questo dramma a sfondo psicologico infatti, usa il tema del picacismo (disturbo dell'alimentazione che spinge a mangiare oggetti non commestibili) in una donna incinta come mezzo per affrontare temi d'attualità come il patriarcato, le differenze di classe e l'aborto. Un film al femminile ma non necessariamente femminista, in quanto affronta più un disagio sociale invece che fare una propaganda sterile e fine a sé stessa. Brava e molto espressiva la bellissima Haley Bennett di film quali I magnifici 7La ragazza del treno e Hardcore Henry, che mostra tutte le sfumature possibili di un personaggio cui è facile empatizzare, ben tratteggiati i personaggi di contorno (ben caratterizzati da attori conosciuti, Austin StowellElizabeth MarvelDenis O'Hare), luminosa e patinata la fotografia. Discutibile il finale, ma il film resta un lavoro anomalo, dal potenziale interessante, per l'originalità del soggetto ed il coraggio della produzione, anche se manca di quel passo in più necessario a renderlo più che sufficiente. Voto: 6+ [Qui Scheda]

Burning - L'amore brucia (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/11/2020 Qui - Come dice il titolo, questo è un film (sesta opera del sudcoreano Lee Chang-dong) a combustione molto lenta, che agisce attraverso immagini messe a contrasto: la realtà rurale e la realtà cittadina e la strana amicizia fra questi tre giovani, diversi per estrazione sociale, che può ricordare Jules e Jim, ma le cui dinamiche non sono mai spiegate e che possono essere solo immaginate. E' un film che ha molte letture (è tratto dal racconto breve Granai incendiati di Haruki Murakami) e di non facile esso stesso lettura perché è popolato di sottintesi e di situazioni che si possono, appunto, solo immaginare. La scena del mimare l'arancia sbucciata e mangiata è esemplificativa sotto questo punto di vista e fornisce in qualche modo la chiave o una delle chiavi del film. E' un film dalle tonalità che diventano sempre più cupe, con una leggera atmosfera di mistero nel momento in cui la ragazza (la bella e brava Jeon Jong-seo) di questo triangolo scompare altrettanto misteriosamente, ponendo il protagonista (il bravo ed espressivo Yoo Ah-in) di fronte ad un senso di colpa per non aver dichiarato apertamente il suo amore per lei, che si trasforma nel rancore sempre più crescente per l'altro ragazzo (l'efficace Steven Yeun, il fu Glenn di TWD). Un film dai tempi troppo dilatati a mio parere, ma molto affascinante nel suo complesso. Voto: 6,5 [Qui Scheda]

Long Day's Journey into Night (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/11/2020 Qui - Un film che indubbiamente ha una potenza visiva non indifferente, rimanendo impresso non solo per il lunghissimo piano sequenza, ma anche per padronanza di mezzi ed il rigore manifestato. Rimane sempre il dubbio se tali soluzioni sono figlie di un certo narcisismo di fondo. Certamente è un film che può dividere fin quasi a rigettarlo perché la storia è talmente destrutturata che si fatica a coglierne il senso, a differenza di un Wong Kar-wai (quello di In the Mood for Love per intenderci) al quale Gan Bi, sembra riallacciarsi in virtù di questo sguardo verso il passato. Non facile da giudicare, ma senza dubbio la personalità a questo regista non manca. Long day's journey into night infatti, riesce ad affascinare con le sue musiche accattivanti e la grande cura con cui il regista (appunto) si giostra attraverso scenografie affascinanti e percorsi avvolgenti che pare di poter calpestare fisicamente assieme agli attori coinvolti (gli esperti Huang Jue e Tang Wei) in questo percorso senza fine. Voto: 6+ [Qui Scheda]

Under the Silver Lake (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/11/2020 Qui - Un oggetto stranissimo questo Under the Silver Lake, quasi indecifrabile come genere anche se abbastanza vicino al noir, che funge un po' da collante ad un storia piena di rimandi e suggestioni, di eventi grotteschi e onirici. Troppa grazia? Probabilmente si, ma certamente troppa carne sul quell'attraente fuoco che il giovane e talentuoso regista di It Follows, ovvero David Robert Mitchell, dimostra di saper rincalzare bene, tra citazioni spudorate (La finestra sul cortile di Hitchcock), ed emulazioni da sballo e una storia galvanizzante quanto fumosa (una Los Angeles che sotto la patina nasconde un sotto-mondo di personaggi stravaganti e bizzarri, di complotti e serial killer, di rimandi al cinema ed al passato in particolare), ma pure un protagonista (Andrew Garfield) assai in parte e motivato (anche se personaggio senza un contesto preciso è, che segue indizi e intuizioni, ma di cui non sappiamo quasi nulla, quasi come il personaggio di un videogioco). Certo, chiudere il cerchio a quel punto, quando si sono fatti smuovere pure i massimi sistemi, è una grande incognita, ed il thriller bislacco e confusionario rimane in sospeso o indecifrato, ma a tutti gli effetti lo spettacolo risulta godibile, incomprensibile, assai attraente e glamour, forte di una splendida colonna sonora elettrizzante da serata ad effetto in terrazza snob. Non proprio all'altezza di It Follows, insomma, sia come realizzazione che soprattutto come idea iniziale, però non male. E comunque se si è alla ricerca di un film coerente e ben strutturato, in cui ogni scena ha un senso preciso, allora è questo un film da evitare, se invece si è alla ricerca di un film (dalla durata di 2 ore) che sta tra l'angoscia e l'ironia, con una carrellata incredibile di ragazze bellissime (Riley KeoughCallie HernandezRiki LindhomeSydney SweeneyGrace Van Patten), alcune scene decisamente horror e altre da commedia postmoderna, dialoghi e idee originali e spesso assurdi, allora è questo un film assolutamente da vedere. Voto: 6+ [Qui Scheda]

Knives and Skin (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/11/2020 Qui - Andy e Carolyn alla loro prima volta, sulle rive di un lago. Lui preme per andare fino in fondo, lei però cambia idea, lui si arrabbia, risale in macchina e la lascia lì. Successivamente la ragazza scompare e la comunità è scossa. È l'incipit di Knives and Skin, della regista Jennifer Reeder, la quale esplora la (non) reazione di alcuni ragazzi e dei relativi genitori alla scomparsa della giovane. Sebbene il suo sguardo sia più incentrato sul racconto di formazione, l'iconografia creata da ella deve molto all'immaginario Lynchiano di Twin Peaks. Un filo di inquietudine attraversa tutti i personaggi i quali, eccetto la madre della ragazza, non sembrano davvero sconvolti per il fatto e vivono passivamente le giornate tra scuola e amicizie o amori fragili. Il tono da thriller psicologico è atto a descrivere l'imprevedibile personalità di studenti e adulti: se i primi mentono per sentirsi grandi, i secondi lo fanno nel disperato tentativo di salvaguardare se stessi. In una piccola comunità la scomparsa di una ragazza apre una voragine negli animi dei suoi abitanti, abbattendo i sorrisi di facciata ed esponendoli a quella che è la loro vera natura. È solo quando viene ritrovato il corpo che una sorta di armonia si reinserisce nella comunità: nuove storie sincere nascono, menzogne vengono rimosse, personalità riemergono. L'atmosfera tra il teso e il metafisico è l'aspetto più interessante del film (nonostante siano evidenti gli echi del cult Donnie Darko e certi frammenti di estetica al neon di Nicolas Winding Refn), tuttavia la sensazione di vuoto evocata dalla (non) storia non rimane impressa, portando la pellicola ad apparire come un buon esercizio di stile. Eppure mi sento di dargli la sufficienza. Voto: 6 [Qui Scheda]

Suntan (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/11/2020 Qui - Un inizio spettrale l'arrivo di questo dottore dall'aspetto bonario ma non certo attraente, in pieno inverno su un'isola greca. L'estate trasformerà tutto in una bolgia di divertimenti e per un personaggio del genere, dalla vita avara di soddisfazioni e messo di fronte ad un bilancio della propria vita, si lascia trasportare da emozioni giovanili di una giovinezza non goduta. Di conseguenza mostra tutta la sua vulnerabilità e la discesa verso l'inferno personale sarà inevitabile. Argyris Papadimitropoulos ci presenta infatti un film di ossessioni amorose, di vite non realizzate, di corpi nudi e giovanili contrapposti a personalità mai realizzate che si nascondono dietro maschere insospettabili. Suntan è un film che parte lentamente, ponendo la sua attenzione a due contesti contrapposti (inverno/estate) e su come tali contesti influenzeranno il personaggio, il quali rimarrà vittima di una spirale ossessiva che porterà ad un'ultima mezz'ora realmente angosciante. Il film evita, ed è un altro merito al suo attivo, pesanti e penosi moralismi, preferendo dedicarsi alla descrizione di due derive, che creano comportamenti animaleschi ed istintività in cui pare a volte difficile discernere la vittima dal carnefice. Forse meno freddo e glaciale rispetto ad altri film greci, decisamente non originale in quello che vuole dirci, comunque disturbante nel suo evolversi. Bravo l'attore protagonista e bella, brava, sensuale, l'attrice anch'essa protagonista, sono Makis Papadimitriou ed Elli Tringou. Voto: 6+ [Qui Scheda]

Borgman (2013)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/11/2020 Qui - E' un originale thriller (ma con molte contaminazioni horror) di produzione olandese, dal soggetto e dalla sceneggiatura non pienamente comprensibili in alcuni passaggi, ma che emana una sua maligna forza di suggestione. Un gruppo di misteriosi individui, apparentemente clochard di professione, si trovano ad invadere e manipolare la vita di una "tranquilla" e benestante famiglia borghese, con risultati inimmaginabili. L'impianto è certamente metaforico assai, ma la realizzazione è terribilmente concreta, cinica e inquietante. Tanto dramma in quello che è di fatto un atto d'accusa verso la società moderna in toto, più che allo specifico ceto borghese, qui preso ad esempio perché simbolo di una certa opulenza e di una serenità famigliare in realtà ingannevoli. Affascina lo sviluppo imprevedibile condito da piccoli tocchi sadici, seduce Jan Bijvoet, attore minuto dal volto fra il mistico e lo stralunato. Alla fine non si capisce quasi un'acca, è vero, ma del film si rimane comunque soddisfatti. Perché per qualcuno potrebbe non mantenere tutto quello che promette all'inizio e qualcuno potrebbe non apprezzare una certa cripticità, ma è di sicuro un buon film. Voto: 6,5 [Qui Scheda]

Madeline's Madeline (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/11/2020 Qui - Questo è un film (ad opera della filmmaker and performance artist americana Josephine Decker, personalmente incontrata nella puntata 7 della seconda stagione di Room 104, dove era l'ideatrice, regista e protagonista della stessa) che è un insieme di tante tematiche, raccontate anche con una certa originalità, ma certamente non per tutti. E' un film che partendo da una protagonista psicologicamente fragile, finisce per intrecciare l'esperienza teatrale, luogo dove la sfera privata incontra il processo creativo dell'opera teatrale. Abbastanza complesso, ambizioso anche nella forma, non proprio nelle mie corde, ma il concetto di pura esperienza emotiva che in fondo è alla base di questo lavoro e che deve essere vissuto a livello emotivo, non è niente male. Dramma sì, ma c'è di che gioire. Fari puntati su Helena Howard: la sua prova attoriale è convincente. Mentre tra il resto del cast merita una menzione la "direttrice" Molly Parker e la madre iperprotettiva Miranda July, già protagonista/regista di The Future. Voto: 6 [Qui Scheda]

The Lighthouse (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/11/2020 Qui - Faro, maledetto faro, impazzire gli uomini fai, per nessuno c'è scampo, custodi e chicchessia guardiano. Già autore del riuscito The Witch, il regista Robert Eggers dà luogo a un film ambizioso che si avvale dell'ottima recitazione dei due attori principali, Willem Dafoe, ben coadiuvato dall'altro (unico) protagonista Robert Pattinson, e di una bellissima fotografia in bianco e nero. Detto questo, la vicenda parte con delle valide premesse che tuttavia vengono mantenute solo in parte, mentre realtà e sogno continuano ad alternarsi: numerosi gli excursus nel "fantastico" che non si capisce bene però se bisogna intendere come allucinazioni del giovane nuovo guardiano ormai completamente sfasato (colmo di metafore alla fine è quasi impossibile capirne il significato a meno che non si mastichi bene di mitologia, storia di Proteo e Prometeo ho letto in giro), o come accadimenti soprannaturali effettivamente tangibili. Stringi stringi, il tutto si riduce alle diatribe tra i due protagonisti, alle litigate tra due ubriachi costretti all'isolamento con tutte le frustrazioni del caso (sessuali in primis, come ci viene palesato) ma sembra mancare quella sorpresa, quel guizzo in più, dentro una trama tutto sommato ordinaria. Resta comunque una pellicola intensa, come il bianco e nero usato per la desolata fotografia. Una pellicola (comunque non propriamente horror) difficile da consigliare o dire che mi sia piaciuta, tuttavia la gran confezione, la recitazione di altissima qualità ed il mistero in questa location catturano. Voto: 6+ [Qui Scheda]

Beyond The Black Rainbow (2010)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/11/2020 Qui - Un'ipnosi. Pura, visiva, visuale, di quelle che esaltano le potenzialità e il potere del cinema. Beyond the black rainbow di Panos Cosmatos (quello del non per caso lisergico Mandy) è un esordio da paura, impressionante, un vortice psichedelico in un film che ha molto di sperimentale ma anche già molto di autoriale. Beyond the black rainbow pone spettatori e protagonista del film (una bravissima ed espressiva Eva Allan) nello stesso stato di confusione, incoscienza, alienazione. Entrambi non sanno dove stanno andando, seguendo una luce, una promessa, quella dichiarata nel "video promo" che apre il film, ma continuano questa terapia che va oltre ogni trattamento conosciuto, oltre la psicanalisi, oltre Freud. E in questo senso, lasciate perdere la storia che qui è flebile e dagli oscuri andamenti e significati, meglio concentrarsi sulla forma, che invece (ed appunto) raggiunge massimi livelli e splendori: un trip visivo di grande ed abbacinante bellezza che difficilmente può lasciare indifferenti anche gli spettatori più scafati. Notevoli il tappeto musicale e la fotografia che sublima un impianto visivo impeccabile. Molte le suggestioni, gli echi e le rimembranze filmiche senza però che siano mai invasive, stucchevoli e fastidiose. Ritmi lenti, molto lenti: ma merita una chance, e certamente una giusta riscoperta. Voto: 7 [Qui Scheda]

martedì 24 novembre 2020

Joker (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 24/11/2020 Qui - Prediligere un certo cinema non vuol dire non apprezzare il resto, come nel caso dei cinecomic, preferisco la spettacolarità, l'azione e tutto, però impossibile non restare ammaliato da questa sorprendente opera di brutale cinismo e violenza del buon Todd Philips, che ci aveva abituati solo a commedie o innocui film d'azione. Per far ciò affida la parte del protagonista, un reietto della società con disturbi mentali, a uno splendido Joaquin Phoenix (che raramente sbaglia un colpo), non solo a suo agio, ma "immerso" totalmente nel ruolo, sia a livello fisico, che comportamentale, con quella risata isterica che riecheggia nelle nostre orecchie sin dalla prima volta che la possiamo ascoltare. È una prova monumentale, giustamente e meritatamente premiata con l'Oscar. Joker infatti, pellicola basata sull'omonimo personaggio dei fumetti DC Comics ma scollegata dal DC Extended Universe (e per fortuna direi), dipinge un ritratto disperato e irrecuperabile dell'eroe, anzi, in questo caso del cattivo per eccellenza, e in un modo mai sperimentato prima. Un modo che colpisce, convince, destinato a fare storia. Non si tratta, per fortuna, soltanto della discussa legittimazione artistica di un personaggio "da fumetto" che sganciandosi dai cinecomic (anche se le allusioni alla saga di Batman ci sono, qua e là) entra prepotentemente nel cinema d'autore, quanto piuttosto della potenza metaforica di cui la vicenda del clown triste riesce a farsi portatrice: attraverso la sua versione della storia, Todd Philips tira fuori il Joker dal ruolo limitante di antagonista, e scortandoci oltre la sottile linea che divide il bene dal male, ci rende partecipi di una tragedia umana di fronte alla quale è difficile restare indifferenti. Accompagnata da una risata strozzata e da una costruzione drammatica potentissima, la parabola di Arthur Fleck sa infatti essere in contemporanea una storia intensamente personale e tragicamente politica.

sabato 21 novembre 2020

Unbreakable - Il predestinato (2000)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 21/11/2020 Qui - La notizia di un film che doveva unire i personaggi di David Dunn e Kevin Crumb, rispettivamente i protagonisti del film in questione e di Split, sempre e solo per mano di M. Night Shyamalan, l'impellenza quindi di rivedere questo primo film della trilogia era abbastanza alta, e così ho provveduto. Unbreakable ci pone difronte ad un nuovo modo di raccontare la storia della nascita di un novello supereroe, discostandosi completamente dai molti suoi simili, anche moderni. Il regista inizia a creare il suo universo di supereroi in un periodo in cui non erano in voga e realizza un'opera non male, ma che presenta diversi punti deboli e non molto convincenti. A livello tecnico di regia e montaggio è sempre un bel vedere, così com'è efficace la fotografia, peccato che risulti essere a tratti spenta e ricca di monotonia stancante, colpa di una sceneggiatura non propriamente solida. C'è infatti qualche momento di perplessità, però per essere un film su super uomini tutto sommato è accettabile. Non ci sono molte scene d'azione (qualcuna in più per migliorare il ritmo non guastava) ma le prove di Bruce Willis lontano dai soliti cliché e di Samuel L. Jackson nel ruolo del mentore misterioso riescono a portare questa ombrosa pellicola nella giusta direzione. Ancora bello è il finale a "sorpresa", un colpo di scena che tuttavia competere con quello de Il sesto senso dell'anno prima mai potrebbe. Certamente da riscoprire, aspettando l'ultimo capitolo, se ancora non lo si è visto. Voto: 6,5 [Qui Scheda]

Un cavallo per la strega (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 21/11/2020 Qui - Racconto estremamente affascinante della brava Agatha Christie sviluppato (originariamente) in una miniserie di due puntate (ma in Italia uscito come unico film). Diretta da Leonora Lonsdale, la miniserie è scritta da Sarah Phelps, l'autrice che si è occupata degli altri adattamenti dei romanzi di Christie usciti negli ultimi anni (l'ultimo The ABC Murders). The Pale Horse arriva dopo ben quattro miniserie nelle quali Phelps ha stravolto le aspettative del pubblico, in una new wave che abbandona le formule più classiche. Le versioni di Sarah Phelps sono per questo a volte controverse per il piglio iconoclasta dell'autrice. Il tentativo è sempre interessante ma non sempre riescono, come in questo caso. The Pale Horse non è davvero un whodunit, quanto il viaggio patetico di un uomo dentro la paura della propria morte. Come tale funziona benissimo, diventando un nuovo bel capitolo del folk horror inglese, ma per il resto proprio no. A essere debole, in The Pale Horse, è proprio l'indagine, che non ha quella progressione implacabile verso la soluzione che ci si aspetta da una miniserie/pellicola di questo tipo. Il punto di partenza della lista è perfetto e gli fa da contraltare il classico spiegone che mette le cose in fila: in mezzo, però, c'è tanta confusione e anche tante deviazioni che sembrano buttate lì un po' a caso. Il finale poi è arrovellato e pieno di colpi di scena nel colpo di scena centrale. Si resta spiazzati, o basiti...dipende. Certamente destabilizza aprendosi a diverse (anzi a troppe) interpretazioni. Va bene che la trama riesca comunque a catturare, che la fotografia sia efficace e gli interpreti siano ben scelti, soprattutto Rufus Sewell, perché Kaya Scodelario fa solo da abbellimento (un gran bell'abbellimento in ogni caso), però non è detto che basti. Detto questo, ci sarà tuttavia d'aspettarsi altri adattamenti, speriamo bene. Voto: 5 [Qui Scheda]

C'era una volta a Los Angeles (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 21/11/2020 Qui - Una scalcinata coppia di detective privati di Venice si trova coinvolta in un tourbillon di strampalate vicende. E' un thriller? E' una commedia demenziale? E' un pulp? E' un action? E' un po' tutto questo. Infatti si può dire che Venice sia la spiaggia di Los Angeles, un quartiere multicolore, molto vivace e persino kitsch, paradiso di surfisti e skaters, dove è facile incontrare locali strani e personaggi improbabili, come quelli che costellano questa particolare pellicola. E personaggi improbabili fanno cose improbabili, se non peggio, come quelle che si vedono in questo film. Il filo conduttore è parecchio labile, ma serve a tenere insieme alcune paradossali vicende che in qualche strambo modo si intrecciano tra loro. Ogni tanto la storia riesce a divertire ed a strappare qualche risatina, ma non è che accada troppo spesso. Notevole è il cast di questo curioso film, che oltre a Bruce Willis e John Goodman, può vantare il gigantesco Jason Momoa e l'imbranato Thomas Middleditch, tutti disposti a prendersi amichevolmente in giro in ruoli al limite del grottesco. In più ci sono diverse guest star di fama, che si concedono piccoli camei. Regia degli sconosciuti fratelli Cullen e colonna sonora che strizza un po' troppo l'occhio a quella di Pulp Fiction. Uno scanzonato divertissement, un po' folle, che non arriva alla sufficienza. Voto: 5+ [Qui Scheda]

Georgetown (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 21/11/2020 Qui - Una storia (tratta da una storia vera, che ha riempito le cronache dei quotidiani una decina di anni fa) decisamente incredibile, quella che sta alla base del film, e che permette di sviluppare un critica non da poco alla società dell'apparenza e delle pubbliche relazioni, società che permette a personaggi come quello di Ulrich Mott di trovarci posto e vendere fumo. Christoph Waltz, al suo debutto alla regia, interpreta con stile ma forse non è proprio indovinato o lui stesso non rende al massimo quando non c'è Tarantino dietro le quinte. Seconda parte con esiti non tutti convincenti, come poco limpide rimangono alcune peculiarità della consorte vittima del raggiro (una Vanessa Redgrave che a 92 anni è ancora sul pezzo). Il montaggio serrato e la non banale struttura narrativa rendono sì avvincente la visione, ma la parte finale, come tutto il resto del film (che si muove in modo piuttosto prevedibile attraverso diversi piani temporali, che il montaggio giustappone, togliendo tuttavia ogni suspense e ogni dubbio, anche grazie al personaggio della figlia Amanda interpretata da Annette Bening), deludono. Forse è meglio che lasci ad altri l'onere della regia e si concentri sui suoi ruoli d'attore. Voto: 5 [Qui Scheda]

Dragged Across Concrete - Poliziotti al limite (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 21/11/2020 Qui - Grosse aspettative per questo thriller poliziesco noir drammatico in cui due onesti poliziotti, sospesi dal servizio, passano dalla parte del crimine per far fronte a difficoltà economiche. S. Craig Zahler però non replica il rigore e la durezza del film precedente (dei film precedenti, rispetto a Cell Block 99 la violenza, pur sempre presente, è molto più contenuta): gli stereotipi sono oltre il limite di guardia (il fratello paralitico, la moglie malata, l'anello nascosto, e via discorrendo), il ritmo latita fra una prima parte "attendista" estenuante ed un epilogo frettoloso, certi personaggi secondari sembrano buttati nella mischia a caso (la neo mamma depressa interpretata da Jennifer Carpenter). La buona prova di Mel Gibson e Vince Vaughn non salva un film troppo lungo e sfilacciato, un film pochino deludente. Voto: 5,5 [Qui Scheda]

Museo - Folle rapina a Città del Messico (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 21/11/2020 Qui - Juan, con la complicità un po' riluttante dell'amico Benjamin, decide di fare un colpo al museo di antropologia di Città del Messico, per goliardica irrequietudine ma anche per lucrarci sopra. Il titolo è per certi versi ingannevole: più che un film su una (vera) rapina (realmente accaduta durante le festività natalizie del 1985) si tratta di una pellicola che parla soprattutto di un'impasse generazionale fatta di mezzi spiantati che girano a vuoto, come più volte ammesso dagli stessi. Certo, l'incredibile furto (non solo per l'importanza della refurtiva ma anche per come venne realizzato) ha una parte non piccola nell'economia della storia e dei contenuti, ma sembra quasi una scusa per parlare di altro. Il regista Alonso Ruizpalacios fa della rapina solo un pretesto per cogliere lo spirito di inadeguatezza dei due giovani e riflette sulla distonia tra slanci, colpi di testa, ingenuità e l'impossibilità di gestirne le conseguenze. E lo fa bene, niente di sorprendente però, anche se alla fine si segue con piacere il girovagare dei due protagonisti (Juan viene interpretato da un sempre bravissimo Gael García Bernal) che non si rendono conto di quanto fatto. A conti fatti, buon film. Voto: 6 [Qui Scheda]

Tutto il mio folle amore (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 21/11/2020 Qui - Gabriele Salvatores (che finalmente torna a essere interessante dopo le incerte derive supereroistiche) tratta un argomento non facile, lo fa toccando le corde dei sentimenti, del rapporto tra un padre, che è fuggito quando suo figlio è nato, e un figlio che non ha mai visto suo padre e che a causa dell'autismo è sempre stato costretto a una vita troppo "ingabbiata". La storia è davvero bella (anche perché vera), Giulio Pranno esalta il suo personaggio con un'interpretazione meritevole. Ma il film sembra non riuscire a "sbocciare", fermandosi agli strati superficiali sia delle vicende dei personaggi che ai rapporti interpersonali tra i protagonisti. Gioca tutto sull'emozione (siamo sulla scia del recente, sempre italiano, Mio fratello rincorre i dinosauri solo che in questo caso la parte drammatica è predominante su tutto) ma non riesce a far "immergere" completamente nella storia. Il finale poi è forzato e senza senso. Tuttavia, molto bravo Claudio Santamaria, come tutto il resto del cast (comprendente anche Diego Abatantuono), buona la realizzazione, e la struttura on the road premia, dando comunque un ritmo vivace all'intera pellicola, una pellicola semplice che si fa guardare. Voto: 6 [Qui Scheda]

A Ciambra (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 21/11/2020 Qui - Globalmente un buon film, che ha le sue qualità maggiori nel coraggio e nella "scorrettezza". Sì, perché in tempi di politicamente corretto a tutti i costi, la pellicola "osa" ritrarre la comunità Rom di Gioia Tauro, nel modo in cui molti si aspetterebbero, alimentando così, agli occhi "sbagliati", i luoghi comuni che da sempre circolano su quel popolo. E così Pio (il ragazzo protagonista) è, forse, una sorta di personaggio pasoliniano destinato sin da subito alla sconfitta, al crimine, a non essere redento. Lo sguardo del regista (Jonas Carpignano) è realista, lucido e spietato. Un film duro e per nulla edificante e consolatorio. Che forse per questo non coinvolge, difficile entrare nella storia, nei personaggi (comunque ben interpretati dall'intera famiglia Amato), anche perché poi non si capisce manco cosa dicono. Già, perché non so se nella versione originale ci sono i sottotitoli, ma in quella capitatami nemmeno l'ombra, e quindi un po' di irritazione l'ho avuta. Nonostante ciò, resta un buon film, un film senza dubbio da vedere. Voto: 6 [Qui Scheda]

Underwater (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 21/11/2020 Qui - "Quando Alien incontra The Abyss" riassume sin troppo sinteticamente e a bruciapelo il fulcro e la sorpresa di un thriller subacqueo che il bravo regista William Eubank (che si era già fatto notare con The Signal, che qui gioca con il genere fanta horror in salsa marina e vince la scommessa) dimostra di saper condurre nel rispetto di una tensione che diventa spesso palpabile (inizia subito con dell'azione adrenalinica e non si ferma mai per un respiro fino ai titoli di coda), nonostante i luoghi comuni ed i molti predecessori, citati sopra e non solo, che hanno già affrontato le medesime tematiche. In tal senso l'originalità non risiede certo in questo film, nonostante ciò si lascia guardare amabilmente, con un notevole senso claustrofobico e quel pizzico di ironia utile a stemperare le situazioni maggiormente scabrose. Zeppo di cliché sì, ma con un comparto d'effetti speciali di tutto rispetto e un buon cast. Kristen Stewart è la Ellen Ripley degli abissi, si trova subito ad affrontare il disastro, a piedi scalzi, canotta sexy e capello platinato, e non dispiace (come sempre). E' lei la protagonista, sempre, poi arriva anche Vincent Cassel, il Capitano, che sa più di quanto voglia far credere, ci sono anche T. J. MillerMamoudou Athie e John Gallagher Jr. Lasciando perdere le deboli interazioni tra i personaggi e lo scontato messaggio ecologista, a mio avviso Underwater (un buon film di genere, che non ha avuto il successo sperato) si rivela come intrattenimento più che dignitoso. Voto: 6+ [Qui Scheda]

Wolf Call - Minaccia in alto mare (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 21/11/2020 Qui - Thriller sottomarino di produzione e di maestranze interamente francesi, fra cui figurano Mathieu KassovitzOmar Sy e Reda Kateb, oltre all'emergente François CivilWolf Call è l'esordio del regista Antonin Baudry e di fatto costituisce una non variante sul genere, ossia nulla che non si sia già visto, se non fosse per una genialata: un analista reclutato a bordo è in grado, grazie ad un udito addestrato e fuori dal comune, di carpire i movimenti esterni al sommergibile, leggendone i suoni attraverso quel magnifico conduttore che è l'acqua. Da questa sua capacità nasce un "malinteso" che rischierà di scatenare una guerra nucleare. Fa il suo lavoro Wolf Call, intanto sfruttando a dovere la sempre affascinante location del sommergibile, resa egregiamente grazie ad una minuziosa ricostruzione che pecca solo quando si va in esterni (insufficiente la computer grafica nelle scene subacquee), e poi gioca su un meccanismo genera ansia elementare, cioè l'impossibilità di comunicare e di distinguere il vero dal falso, uno dei mali del nostro secolo. I difetti poi ci sono, a cominciare da alcuni personaggi deboli (il secondo in comando interpretato da Omar Sy), ed altri solo accennati da goffi intermezzi (Paula Beer mai inutile è però e mai sarà). Non è Caccia a ottobre rosso, e scopiazza pure da Allarme Rosso, tuttavia ritmo e tensione sono mediamente garantiti, almeno per tutta la seconda parte. E così al netto di un certa confusione all'inizio e di qualche divagazione inutile, il risultato è un film coinvolgente in grado di tener desta l'attenzione fino all'epilogo, meno pompato e convenzionale di quanto con tutta probabilità sarebbe stato se girato negli USA. Voto: 6,5 [Qui Scheda]

The Little House (2014)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 21/11/2020 Qui - Amori inespressi, non corrisposti, agognati senza che il coraggio per esprimerli, esplicitarli, possa almeno per un attimo chiarire una inadeguatezza sentimentale che passa oltre la giovinezza e scorre lungo tutta una vita, trascorsa con umiltà ed obbedienza a servire una famiglia agiata tra le mura di una graziosa casa dal tetto rosso, quella casa perfetta, quasi affettata, artificiosa, manierata, quasi fiabesca, che appare sempre come sfondo ed ambientazione, così diversa da tutte le altre della zona. L'ottantaquattrenne instancabile regista nipponico Yoji Yamada (terzo suo film che vedo, visto dopo Tokyo Family) dirige lo struggente e sentimentale The Little House, un film di stampo tradizionalista incentrato sulla figura di una giovane cameriera di nome Taki, proveniente dalla campagna che, impiegata come domestica in una casa borghese, diviene la testimone triste e sofferente, ma anche affidabile, di una storia d'amore clandestina tra la padrona di casa ed un giovane seducente musicista di cui la giovane risulta invano innamorata. Sullo sfondo di una sanguinosa guerra come fu il secondo conflitto mondiale, La maison au toit rouge (questo il titolo dell'edizione francese) è un accorato, sentito ritratto di una figura femminile che sceglie suo malgrado di vivere per gli altri, ed è anche la storia di un riscatto tardivo rivendicato dai nipoti della donna dopo la morte di quest'ultima. Tratto dall'omonimo romanzo di Kyoko Nakajima, un melodramma fine e raffinato, forse un po' prevedibile, ma di innegabile presa. Voto: 6,5 [Qui Scheda]

La famosa invasione degli orsi in Sicilia (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 21/11/2020 Qui - Che bel dipinto, amaro e al tempo stesso vellutato, edificante per i ragazzi e ammonitore per gli adulti. Tratto dal romanzo di Dino Buzzati e doppiato dalle grandi voci di Toni ServilloAntonio AlbaneseCorrado Guzzanti ed il maestro Andrea Camilleri (e non solo), La famosa invasione degli orsi in Sicilia ha avuto bisogno di 6 anni di lavorazione per diventare quello che è: un bel lungometraggio animato d'autore in 2D, vintage nel gusto ed eterno nella tematica, come la penna che l'ha scritto. Il racconto di Buzzati è infatti una grande metafora della convivenza e viene brillantemente tradotto in immagini da Lorenzo Mattotti. Lo stile grafico è affascinante e restituisce una Sicilia inventata e suggestiva, con alte montagne e una prorompente natura. Altrettanto affascinanti e stilizzate le figure "viventi", animate in modo fluido e capaci di ergersi protagoniste di un racconto sulla tolleranza ricco di significato (la maturità per farci guardare dentro prima di puntare il dito contro l'altro e la leggerezza per farci guardare all'altro con un sorriso, o almeno provarci) e (appunto) ben doppiato, con un riuscito lavoro sulle diverse inflessioni dialettali. Non si può dire che ne risulti un'opera travolgente, ma sicuramente un'ottimo lavoro, meritevole di visione, e d'attenzioni, come fu per Gatta Cenerentola. Voto: 7 [Qui Scheda]

Cattive acque (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 21/11/2020 Qui - Regista dalla spiccata personalità, Todd Haynes (quello dell'elegante e raffinato Carol per intenderci) mette da parte il suo stile per dirigere un film che si colloca nel solco della tradizione americana delle pellicole con forte vocazione all'impegno civile. Una storia (di sicuro impatto) ben raccontata (e con una sceneggiatura che fa presa, che anche se non decolla mai con impeti emotivi o grossi colpi di scena, intrattiene per quello che deve) di opposizione allo strapotere industriale. Ben sottolineata la fragilità del protagonista, che paga un notevole pegno personale alla sua battaglia, impersonato dal bravissimo Mark Ruffalo che mette in ombra il resto del (gran) cast. Cattive acque è infatti un film d'inchiesta, contro i poteri forti, contro le industrie, contro le istituzioni, contro la lentezza della burocrazia. Sottilmente acuto e riflessivo: anche se le fabbriche avvelenano l'uomo, l'uomo ne ha bisogno per lavorare, per vivere. L'avvocato Rob Billott (Mark Ruffalo qui per metà produttore) se ne accorgerà sulla propria pelle. Difensore di aziende chimiche si "convertirà" grazie ad un "vaccaro", quando questi gli mostrerà come le sue mucche impazziscano nel bere le acque sporche. Motivo? Teflon, un agente chimico che riveste utensili domestici come le pentole. La fabbrica smaltisce veleno e le falde acquifere sono contaminate. Colpisce e mette una certa impotenza, soprattutto leggendo gli impressionanti titoli di coda. Certo, niente di nuovo rispetto ad altre pellicole di genere, anzi, è pure un po' troppo verboso, malgrado ciò è avvincente, è ben interpretato e diretto con mano sicura dal regista, di cui questo non è forse il suo migliore, ma è in ogni caso un valido prodotto. Voto: 7 [Qui Scheda]

domenica 8 novembre 2020

Annabelle 3 (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 09/11/2020 Qui - Un (grande) passo indietro rispetto al capitolo secondo, riuscito meglio. Questo terzo capitolo della saga di Annabelle sa un po' di carrozzone di mostri e spiriti, manca tutta una certa atmosfera fondamentale per un horror, ovvero una contestualizzazione dell'infestazione. Qui invece gli spiriti escono fuori da un "cilindro", ognuno decontestualizzato. Mi è parso più che altro un grande gioco, quasi uno sfizio all'interno di un brand che ha permesso di fare anche questo. Per il resto come horror molto classico, fin troppo. Protagonisti presi dai più elementari cliché del genere teen horror, reazioni e situazioni semplicistiche. L'unica cosa è che il comparto tecnico e i tempi delle scene horror sono azzeccati, come in genere riescono a fare in questa catena di film dell'universo The Conjuring. Su quello posso comunque dire che è un prodotto sufficiente. Però purtroppo tutto il resto, situazione, dinamiche, personaggi, ambientazione, mi portano a calare la votazione, così tanto che La Llorona è leggermente migliore. Perché certo, alla fine si fa vedere senza annoiare (anonima è però la regia di Gary Dauberman), ma un vero perché non c'è, la coppia Patrick Wilson-Vera Farmiga appare solo all'inizio e alla fine, senza mai entrare davvero nell'azione, sostituiti dai classici teen (pure interpretati da giovani attori niente male, su tutti la Mckenna Grace di The Bad Seed e la Madison Iseman dei due nuovi Jumanji) che danno luogo pure a un umorismo inaspettatamente sciocco. Solo per i fan scatenati della saga. Voto: 4,5 [Qui Scheda]

Il ritorno dei morti viventi (1985)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 09/11/2020 Qui - Uno dei B-movie più popolari degli anni ottanta (ottimo esempio di contaminazione tra horror e commedia). Che sia "di culto" non c'è dubbio, fu infatti il primo zombie-movie con dei morti viventi ancora più agghiaccianti, in quanto capaci di correre, parlare e perfino pianificare degli attacchi "strategici" contro gli esseri umani. Ma se da una parte il coinvolgimento rimane alto per l'efficace rilettura dello zombie e per alcuni inserti comedy ben mixati alla matrice horror, non è possibile sorvolare su una recitazione non proprio brillante. Il seguito non ufficiale di Night of the Living Dead inoltre non convince abbastanza nella scrittura del plot e dei personaggi, questi infatti abbondantemente stereotipati e poco definiti nella loro rappresentazione. Rimane, ad ogni modo, un buon prodotto dal piglio personale, quello di Dan O'Bannon, qui nei panni di regista per la prima volta dopo averne vestiti tanti in quelli di sceneggiatore (panni coi quali ha firmato capolavori, grandi film e grandi B-Movie, AlienAtto di forza e Space Vampires), e che può vantare effetti speciali veramente notevoli, l'animazione di certi zombi è difatti impressionante (l'interrogatorio dello zombi-donna-putrefatta in primis), e poi alcune scene sono alquanto spaventose. Abbastanza divertente comunque, con alcune sequenze riuscite divenute giustamente di culto: il ballo nudo di Linnea Quigley sulla tomba, gli zombi che fuoriescono in chiave heavy-metal (in tal senso interessante il tema hard-rock principale, anche nella musica), la camera ardente emblematicamente considerata luogo di rifugio, lo zombi parlante che chiama i rinforzi via radio. Certo, a volte il tono vira un po' troppo verso la parodia, però non mancano i momenti più classicamente horror e le scene truculente. E così che in definitiva, godibile ed apprezzabile come produzione indipendente a basso costo, per la sua discreta miscela di splatter e comicità, forse artisticamente potevano sicuramente curarlo di più, ma il film fa (ancora) una discreta figura nei "pochi" lungometraggi dedicati agli zombi, anzi, certamente tra i più memorabili. Voto: 7 [Qui Scheda]

Le avventure di Wuba (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 09/11/2020 Qui - Seguito del campione d'incassi Il regno di Wuba, si mantiene più o meno sui livelli apprezzabili del primo film, anche se pecca un po' in spettacolarità. Questa volta Raman Hui preferisce puntare più sull'aspetto sentimentale della storia, anche se l'action è ben evidente soprattutto all'inizio e alla fine, cercando di instillare nello spettatore discrete dosi di emozionalità. Gli effetti speciali appaiono migliorati, il cast (che stavolta si avvale dell'apporto di un attore del calibro di Tony Leung Chiu Wai, quello di In the Mood for LoveHero ed altri grandi film) offre buone interpretazioni e il ritmo degli eventi non cala quasi mai, garantendo una visione discreta e appagante. Voto: 6 [Qui Scheda]

Godzilla II - King of the Monsters (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 09/11/2020 Qui - Doveva essere per Michael Dougherty, dopo due buoni prodotti quali La vendetta di Halloween e soprattutto Krampus, la sua prova del nove da regista, ma l'esame risulta fallito. Perché certo, le colpe per un film mediocre come questo, sequel del Godzilla del 2014, non possono imputarsi solo a lui, però poteva certamente curare meglio ogni aspetto della pellicola, una pellicola che impressiona più per il titolo altisonante che per meriti intrinsechi, che funziona molto bene come film di mostri, a brillare c'è Godzilla, questo sì, ma intorno al lucertolone c'è poco altro. Ciò che manca davvero è uno sviluppo concreto, un filo narrativo che colleghi queste creature alle loro origini leggendarie. Spettacolare la bellezza delle battaglie tra le creature mitologiche, ma, mentre le scene d'azione sono di grande impatto, ad essere confusionaria è la trama (che mette in fila improbabili sparate ambientaliste, cattivoni senza scrupoli neanche troppo coinvolti nell'evolversi dei fatti e famiglie disfunzionali guarda caso da rimettere insieme). Il personaggio interpretato da Vera Farmiga non è credibile, anche il personaggio interpretato da Kyle Chandler sembra essere completamente inutile (fuori parte anche l'esperto Ken Watanabe, e non è la prima volta per lui purtroppo). Con la dinamica del film e tutte le potenti scene d'azione, si sarebbe potuto pensare tranquillamente di eliminare quasi tutte le scene con gli esseri umani. Di conseguenza siamo decisamente indietro dal primo adrenalinico e più che discreto capitolo. Nel complesso è infatti un Monster Movie guardabile ma non del tutto soddisfacente, anzi, quasi per niente, si salvano gli scontri tra i mostri e poche altre scene, ma era doveroso visto il budget stratosferico messo a disposizione. Si dice che sia un episodio "interlocutorio", confido perciò nel seguito, che senza dubbio vedrò, sperando in un'opera, seppur d'intrattenimento, un minimo più verosimile e meno basata sulla rielaborazione di stereotipi e schemi visti e rivisti. Viva i mostri, abbasso gli umani! Ultima nota: avrebbero potuto "truccarla" in maniera diversa, Millie Bobby Brown, pare uscita direttamente da Stranger Things! Voto: 5+ [Qui Scheda]

Strange but true (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 09/11/2020 Qui - Cinque anni dopo la morte del fidanzato in un incidente, Melissa si presenta a casa della madre di lui dichiarando in assoluta buona fede di essere incinta del morto: miracolo dell'amore, fecondazione con spermatozoi congelati oppure il mistero ha un'altra spiegazione? Thriller dalle discrete potenzialità che, dopo una discreta partenza, finiscono per arenarsi nella mediocrità di una trama sensazionalistica fitta di forzature e comportamenti insensati. L'inizio è da thriller puro, con un ansiogeno inseguimento nel bosco, dopo i primi minuti però le atmosfere sembrano voler spaziare tra velleità mystery e suggestioni religiose. E con le locandine che facevano presagire risvolti romantici, di carne al fuoco ve ne era parecchia sulla carta: Strange but true purtroppo non mantiene nessuna delle premesse di partenza e con lo stanco procedere degli eventi il film si rivela finalmente nella sua essenza, morbosa e soporifera. Nell'adattare l'omonimo romanzo di John Searles il regista Rowan Athale non trova la corretta chiave di lettura, rivelandosi incapace sia di emozionare che di suscitare la minima dose di suspense a tema, sprecando, oltre allo spunto, anche l'ottimo cast a sua disposizione (e non si parla solo di Brian Cox, ma anche di Nick Robinson, di Amy Ryan, di Greg Kinnear e soprattutto di Margaret Qualley), qui vittima di personaggi mai credibili o genuini. Voto: 5 [Qui Scheda]

Il sole è anche una stella (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 09/11/2020 Qui - La regista del sorprendente Prima di Domani in un film che racconta un amore messo a dura prova da ostacoli molto realistici e attuali, ma che risulta comunque banale e privo di una vera originalità o denuncia. I canoni della love story vengono seguiti per tutto il film, la storia di per sé è già vista anche se "dammi un giorno e ti farò innamorare di me" lascia al racconto una velata nota originale, perché forse è vero che basta un istante per innamorarsi, o magari solo qualche ora. Questa è la sfida per entrambi, mettendo da parte impegni e desideri, trovano la forza di affermare ciò in cui credono e che cercheranno di ottenere in tutti i modi. Il legame con le proprie origini e tradizioni è marginale, e il film tenta di dargli un'importanza che però non traspare, senza riuscire neanche a creare un giusto equilibrio tra questo tema e quello dell'amore. Certo, il film regala comunque delle emozioni in alcuni momenti, anche grazie alla bravura dei due ragazzi protagonisti (Yara Shahidi e Charles Melton), ma nemmeno la regia della Ry Russo-Young sembra andare oltre il convenzionale, vestendosi di immagini e scelte abusate senza mai schiudersi a una pura ispirazione creativa. In sintesi, Il sole è anche una stella (basato sull'omonimo romanzo per ragazzi di Nicola Yoon, artefice anche del romanzo Noi siamo tutto trasportato ugualmente al cinema però con buoni risultati) avrebbe potuto essere una poesia sulla simbiosi fra caso e destino (resta infatti apprezzabile la volontà di non far prevalere uno sull'altro, concedendosi il fascino del mistero), ma rimane un teen movie che vuole far sognare i ragazzi e che adopera i temi del multiculturalismo, della diversità e delle barriere culturali e sociali senza snocciolarli o, più facilmente, concedere loro l'importanza che assumerebbero nel contesto rappresentato. Voto: 5,5 [Qui Scheda]

Attacco a Mumbai (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 09/11/2020 Qui - Un film che si pone sulle orme dello United 93 di Paul Greengrass. Un resoconto abbastanza documentaristico degli avvenimenti (che arriva pochi anni dopo il film intimista e poco riuscito di Nicolas Saada) che flagellarono Mumbai in quelle drammatiche ore, in particolar modo il regista Anthony Maras, sceglie di concentrarsi (nuovamente) sulla missione di morte che ebbe l'effetto più plateale e clamoroso, quella perpetrata ai danni degli ospiti del celebre albergo Taj Mahal (se lì era Stacy Martin qui ecco Armie Hammer e Nazanin Boniadi più Jason Isaacs, che pare tuttavia un riempimento narrativo). L'azione dei terroristi non viene mai spettacolarizzata, anzi, va dato atto ad una rappresentazione che ne sottolinea la crudezza. Gli stessi terroristi sono mostrati in una veste più umana, pur mantenendo intatta la loro ferocia. I personaggi comunque non hanno un vero e proprio sviluppo (pure alquanto stereotipati). Viene privilegiata la successione degli eventi, con l'attesa di quelle forze speciali indiane accorse in colpevole ritardo. Magari anche un accenno al perché di questo tragico ritardo, ai limiti dell'inspiegabile, avrebbe chiarito meglio questo aspetto. Nonostante questo, e nonostante una certa enfatizzazione, buon film è questo, un film in cui corretta è comunque la prova degli attori (con menzione d'onore per Dev Patel e Anupam Kher). Voto: 6 [Qui Scheda]

Finché morte non ci separi (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 09/11/2020 Qui - Non c'è soltanto Parasite a raccontare la lotta di classe, seppur con un prodotto molto più di genere come un horror-comedy diviso fra il classico e il moderno, tra un'impostazione sanguinolenta e divertita e una graffiante satira sociale. Un prodotto che, senza pretese alcune (è intrattenimento e niente più, impensabile pensare di raggiungere il livello dell'ottimo film coreano), riesce, mantenendo costantemente la vena ironica e il black humor, alla grande a intrattenere e divertire (un'ora e mezza di giostra degli orrori con una gioiosa esplosione di sangue). I personaggi sono ben caratterizzati e ci si "affeziona" subito alla loro assurdità e stravaganza (Samara Weaving qui sposa sanguinaria alla Beatrix Kiddo è splendida). Buono il ritmo (buono anche l'uso piuttosto macabro di alcune canzoncine altrimenti innocue), notevole la scelta della location (la villa è infatti di per sé un'altra protagonista, con i suoi anfratti bui, i quadri inquietanti, i passavivande). Esempio di soggetto semplice, portato ad alti livelli grazie a un buon lavoro di fantasia registica, quella di Matt Bettinelli-Olpin (attore e regista in V/H/S) e Tyler Gillett (anch'esso in V/H/S ed insieme già alla regia de La stirpe del male). Forse il finale poteva essere migliore (inatteso, pure troppo, è coerente ma seppur gustoso, esagerato), però nel complesso film sufficiente e ben riuscito. Voto: 6+ [Qui Scheda]

7 uomini a mollo (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 09/11/2020 Qui - La Francia ancora una volta sugli scudi per una riuscita commedia sportiva, che riunisce alcuni dei migliori attori francofoni (Mathieu AmalricGuillaume CanetBenoît Poelvoorde) diretti dal collega Gilles Lellouche. Lo sport come terapia e strumento di riscatto non è certo un tema nuovo ma il film è fresco, simpatico (anche perché quando mai si è vista una squadra di nuoto sincronizzato maschile). L'epilogo eccede in ruffianeria, contraddicendo lo spirito decoubertiniano, ma è impossibile non fare il tifo per questo gruppo di depressi/sfigati che riesce a risollevare la testa. Dalle crisi di coppia, alla depressione post licenziamento, sono molti i momenti di difficoltà che affrontano i nostri aspiranti nuotatori, e dopo qualche difficoltà iniziale, ognuno trova conforto nella disgrazia dell'altro, trasformando lo spogliatoio della piscina in un luogo di confronto e di conforto. La ritrovata fiducia in se stessi e nella vita genera una serie di conseguenze positive, come veniamo a sapere nel finale. Il regista è bravo a evitare scivoloni nella melensaggine o nell'umorismo terra terra. Riesce a darci, sia pure abbozzati con pochi tratti, dei personaggi veri, che potrebbero essere nostri vicini di casa o nostri amici. Forse convenzionale, stereotipato, ma sincero (diverte e fa pensare), e questo basta. Voto: 6 [Qui Scheda]

Bad Education (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 09/11/2020 Qui - Dal più grosso scandalo che ha scosso l'istruzione pubblica USA, un commedia acida (di produzione HBO) sulle falle di un sistema basato sulla competizione tra le scuole per guadagnare prestigio e quindi finanziamenti. Lo stile è da dark comedy con punte di grottesco, gli manca un po' di epica ma gli elementi per riflettere li scova tutti e propone due grandi prove di Hugh Jackman e Allison Janney. Avidità, vanità e stupidità non trovano ostacoli alla loro diffusione tra chi avrebbe dovuto accorgersene e tocca a una studentessa redattrice aprire il vaso di Pandora. Un film dal ritmo incalzante quello di Cory Finley, superiore all'interessante ma imperfetto Amiche di sangue, perché oltre alla buona resa visiva, mette sul piatto una storia molto solida ed un'ottima caratterizzazione dei personaggi. Egli punta tutto sulla personalità contraddittoria (sulla carta inscalfibile) di Frank e della spregiudicata Pamela senza tralasciare "gli altri ingranaggi" del criminoso e quasi incredibile congegno, e fa centro (in più ecco dialoghi grintosi e colonna sonora spiazzante). Un buon film, vincitore dell'Emmy Awards 2020 per il miglior film per la televisione, assolutamente da vedere. Voto: 6,5 [Qui Scheda]

L'ufficiale e la spia (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 09/11/2020 Qui - Se si riesce a passare la prima metà del film, decisamente prolissa, retorica, pomposa (come d'altronde doveva essere l'ambiente militare nella Francia di fine Ottocento), L'ufficiale e la spia (tratto dall'omonimo romanzo del 2013 di Robert Harris, anche co-autore della sceneggiatura assieme al regista) si rivela una visione decisamente godibile (tutta la vicenda si segue con attenzione), che associa l'evidente importanza e attendibilità dei contenuti con una narrazione snella, solida ma scorrevole. Il ritorno di Roman Polanski dietro la macchina da presa dopo Quello che non so di lei è nel segno dell'impegno civile e, ancora una volta, della memoria, è infatti ben chiaro il focus della vicenda (l'affare Dreyfus) sull'antisemitismo che ne diede il via. In un clima europeo enormemente teso e in una montante campagna di odio verso gli ebrei ebbe luogo uno scandalo tanto potente da spaccare l'opinione pubblica in due e causare dimissioni di alti ufficiali e ministri francesi. Tutto questo ne L'ufficiale e la spia c'è, e Polanski restituisce con grande perizia allo spettatore quell'atmosfera confusa e rabbiosa nella quale (attenzione che arriva la strizzatina d'occhio alla contemporaneità) intervennero giornalisti, politici e perfino "liberi pensatori" di vasta influenza come lo scrittore Emile Zola a muovere le acque generando dubbi, sospetti, complotti e controcomplotti (la Storia ha dato ragione agli accusatori, a ogni modo). E' difficile muovere critiche vere a questo film se non fosse che manca di sentimento, è come se il pittore fosse troppo preso dai dettagli da dimenticarsi cosa dipinge. La rappresentazione politica è uno sfondo, lo stesso Dreyfrus lo è, un quasi irriconoscibile (ma pur sempre bravo) Louis Garrel, ed il personaggio di Picquart (comunque impeccabilmente interpretato da Jean Dujardin), sebbene il protagonista della storia, rimane alquanto evanescente (nel buon cast non manca in ogni caso Emmanuelle Seigner e c'è pure una particina anche per Luca Barbareschi, che è del resto fra i produttori). Questo J'accuse manca di qualcosa nella sua perfezione, manca di una vera e propria anima, è tutto concentrato sulla sua storia, anzi, sulla STORIA. Nonostante questo è un film più che dignitoso appunto su un pezzo di storia con molte ombre e pochissime luci della Francia di fine '800. Voto: 7 [Qui Scheda]