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mercoledì 31 agosto 2022

Assassinio sul Nilo (2022)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/08/2022 QuiKenneth Branagh tenta di bissare il successo dell'Orient Express riadattando un altro classico della Agatha Christie già portato sullo schermo più volte, ma se nel 2017 è riuscito a vincere facile (pur restando diverse spanne sotto rispetto al cult di Sydney Lumet) grazie ad un cast all-star e ad una trama gialla fra le più belle della storia del genere, qui non si può dire altrettanto, con un intreccio molto meno appassionante e un cast, Annette Bening a parte, di volenterosi ma insipidi "sconosciuti". Inutile e pernicioso il tentativo (del Branagh regista) di umanizzare (il Branagh attore) Poirot inventandogli un passato traumatico con tanto di incidente di guerra e amore perduto, il fascino del personaggio sta proprio nel suo essere "disumano", impermeabile ai sentimenti e alle passioni terrene, che lo mette sempre al di sopra delle parti e gli permette di avere un punto di vista non inquinato sulle varie situazioni che lo circondano. Sarà pure di buon intrattenimento, ma il passo indietro è evidente (un remake decisamente inferiore all'originale). L'eccellente comparto tecnico salva (in corner) la baracca. Nel complesso, un film apprezzabile dal quale mi aspettavo molto di più. Voto: 6

venerdì 16 luglio 2021

Wounds (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 16/07/2021 Qui - A seguito di una pesante rissa tra energumeni, un barman recupera da terra un cellulare lasciato a terra da un gruppo di studenti fuggiti via. Sarà l'inizio di un incubo senza fine. La notizia positiva è che non è tutto da buttare, in quest'horror (l'idea di base), quella negativa è che una volta arrivata la "spiegazione" i conti non tornano. Alcuni personaggi che sembrano fondamentali rimangono poi in disparte e la sceneggiatura da metà film in avanti ha molte falle. La pellicola infatti (che associa la moderna tecnologia al male) era partita anche bene, c'era una certa suspense, un certo ritmo (anche nei dialoghi), una certa attesa per qualcosa che sarebbe successo, purtroppo attesa vana poiché è qualcosa di indecifrabile (si tirano in ballo lo gnosticismo e le sconosciutissime, misteriose e misteriche teorie della traslazione delle ferite) ad avvolgere questo film di Babak Anvari. Un finale maldestro (con annessi scarafaggi in stile Creepshow) rende difatti nullo un inizio che potenzialmente appariva valido. Se devo salvare qualcosa di definito salvo solo l'interpretazione di Zazie Beetz (presente anche nel film Joker). Armie Hammer e Dakota Johnson? Il primo è in balia degli eventi (confusi), la seconda sempre più convinto che porti sfiga. Voto: 4,5

domenica 8 novembre 2020

Attacco a Mumbai (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 09/11/2020 Qui - Un film che si pone sulle orme dello United 93 di Paul Greengrass. Un resoconto abbastanza documentaristico degli avvenimenti (che arriva pochi anni dopo il film intimista e poco riuscito di Nicolas Saada) che flagellarono Mumbai in quelle drammatiche ore, in particolar modo il regista Anthony Maras, sceglie di concentrarsi (nuovamente) sulla missione di morte che ebbe l'effetto più plateale e clamoroso, quella perpetrata ai danni degli ospiti del celebre albergo Taj Mahal (se lì era Stacy Martin qui ecco Armie Hammer e Nazanin Boniadi più Jason Isaacs, che pare tuttavia un riempimento narrativo). L'azione dei terroristi non viene mai spettacolarizzata, anzi, va dato atto ad una rappresentazione che ne sottolinea la crudezza. Gli stessi terroristi sono mostrati in una veste più umana, pur mantenendo intatta la loro ferocia. I personaggi comunque non hanno un vero e proprio sviluppo (pure alquanto stereotipati). Viene privilegiata la successione degli eventi, con l'attesa di quelle forze speciali indiane accorse in colpevole ritardo. Magari anche un accenno al perché di questo tragico ritardo, ai limiti dell'inspiegabile, avrebbe chiarito meglio questo aspetto. Nonostante questo, e nonostante una certa enfatizzazione, buon film è questo, un film in cui corretta è comunque la prova degli attori (con menzione d'onore per Dev Patel e Anupam Kher). Voto: 6

martedì 5 maggio 2020

Una giusta causa (2018)

Titolo Originale: On the Basis of Sex
Anno e Nazione: USA 2018
Genere: Biografico, Drammatico
Produttore: Robert W. Cort
Regia: Mimi Leder
Sceneggiatura: Daniel Stiepleman
Cast: Felicity Jones, Armie Hammer, Justin Theroux, Sam Waterston, Kathy Bates
Cailee Spaeny, Jack Reynor, Stephen Root, Callum Shoniker
Chris Mulkey, Gary Wentz, Ben Carlson
Durata: 112 minuti

Felicity Jones nella biografia dell'icona del femminismo Ruth Ginsburg.
La sua carriera di giudice della Corte Suprema, dagli studi in legge alla vittoria in tribunale contro una legge discriminatoria.

martedì 25 giugno 2019

Free Fire (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 24/01/2019 Qui - Impossibile non pensare a Quentin Tarantino o a Martin Scorsese (che, tra l'altro, qui è produttore) mentre scorrono davanti agli occhi le scene di Free Fire, ultimo film di Ben Wheatley, peccato che questo film del 2016 sia, dopo lo strano e insipido High-Rise (tratto da Il condominio di Ballard), l'ennesima delusione. Un film tutto ripiegato su se stesso, inutilmente claustrofobico, un film dalle atmosfere pulp (giacché la storia è ambientata negli anni '70), inutilmente vintage. Il film e il regista infatti (ovviamente personalmente parlando), non riescono fino in fondo a sfruttare la concentrazione di luogo, tempo e azione. Eppure il film partirebbe bene e sembrerebbe anche svilupparsi piuttosto degnamente, poi ad un certo punto le sparatorie cominciano a diventare ridondanti e il film scivola verso il trash più totale, si vede decisamente la voglia di creare qualcosa di simile alle "Iene" di Tarantino (appunto) con ampio condimento Western di sparatorie che si sprecano, ma è tutto parecchio assurdo, anche a livello di sceneggiatura, perché il buon senso, ad un certo punto, per quanto si abbia a che fare con gente svalvolata, dovrebbe prevalere, e invece la sparatoria, l'oggetto del film, che impegna almeno 70 dei 90 minuti di cui si compone il film, insieme al finale, lascia parecchio a desiderare. L'impostazione Tarantiniana difatti, è probabilmente la maggiore forza ma anche e soprattutto la maggiore debolezza di Free Fire: chi ama il genere si sarà divertito, ma forse non avrà trovato il film sufficientemente estremo e l'avrà giudicato a volte (troppe volte) un po' lento (ma anche altro, tra questi io), mentre per chi non è appassionato di questo stile il gradimento sarà stato presumibilmente pari a zero.

Chiamami col tuo nome (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 21/01/2019 Qui - Non è facile dare un giudizio obiettivo su quest'ultima opera di Luca Guadagnino. Sicuramente bella ed efficace la rappresentazione dei luoghi nei quali si svolge la vicenda, con un'ottima fotografia e con una raffinata capacità evocativa dei luoghi rappresentati, purtroppo però la sceneggiatura non riesce a scandagliare a fondo nel carattere dei personaggi, restando solo alla superficie delle loro problematiche esistenziali e i dialoghi risultano di una elegantemente sontuosa banalità e qualche citazione colta sparsa qua e là non riesce mai a dare loro spessore. La ricostruzione degli ambienti poi, seppur convincente, appare comunque imprecisa e superficiale. Attenzione però, non è un brutto film, è soltanto anonimo, scialbo, uno sbadiglio dietro l'altro. Non mi ha emozionato per niente (e non c'entra niente l'orientamento sessuale). Il problema personalmente è nella piattezza delle recitazioni (a parte forse il giovane protagonista) e (come già accennato pocanzi) della sceneggiatura. Ancora non riesco a capire come abbia fatto a ricevere persino un Oscar, anzi, forse si, perché l'avevo intuito ed alla fine è stato proprio così, la furba carta vincente è stata mettere una "storia omosessuale" aggiungere celebri Hit degli anni '80, ambientarlo in quel decennio cavalcando l'onda della nostalgia che ormai è di moda tempo e frullare tutto. Mi è parsa quindi solo una furbissima operazione. Dopo aver visto infatti Chiamami col tuo nome (Call Me by Your Name), film del 2017 diretto da regista italiano ormai americano per adozione, la sensazione che si prova è simile a quella di chi, dopo aver acquistato un gioiello presso una oreficeria referenziata, si accorge in seguito di aver comprato una misera patacca, magari ben fatta e pure luccicante come oro zecchino, ma pur sempre una patacca. Una sensazione mista di rabbia per l'imbroglio subito e di ammirazione per l'abilità del falsario.

venerdì 14 giugno 2019

Entourage (2015)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/10/2018 Qui - Non conosco la serie tv omonima della HBO (di cui questo ne è l'adattamento e la sua continuazione) ma questo film è una commedia divertente, graffiante per certi versi, dinamica e condita con dialoghi spiritosi e ben scritti. Cast convincente, una marea di cameo, regia affidabile e ritmo narrativo che non cala mai, assicurando così una visione fluida e simpatica. Entourage infatti, film del 2015 diretto da Doug Ellin (che offre un divertente spaccato caricaturale di quello che è la vita di molte star del cinema), è un film leggero, uno di quei film da gustarsi senza troppi pensieri ma che ha dalla sua parte l'abilità di riuscire ad incastrare secondo dopo secondo un quantitativo di attori e volti noti di Hollywood davvero impressionante. Il film difatti, che narra le vicende di Vincent Chase e del suo Entourage alle prese con un nuovo film in cui Vinny sarà, oltre che protagonista, anche regista, attraverso una confezione patinata e scintillante, un ritmo dinamico e un intreccio semplice e brillante, racconta efficacemente il mondo di Hollywood, futile e votato all'eccesso (tra sesso, capricci, alcol, droga e musica disco). Non sorprende in tal senso che la regia opulenta e frenetica di Doug Ellin (al cinema con Amore tra le righe e alla tv con la regia della serie), sia metafora della routine di chi succhia fino all'ultimo sorso e senza vergogna il fantomatico sogno americano, e che la suddetta piccante commedia sia soprattutto (attraverso la sdrammatizzazione dello stress della vita quotidiana e della routine hollywoodianauna critica al sistema e al mondo del cinema che si auto-cita e parla di sé in prima persona. Teatro delle peripezie del chiassoso gruppo di protagonisti è infatti un promiscuo e incurante microcosmo fatto di feste da sballo in ville napoleoniche, in cui un'auto da sogno è un piccolo presente e tutto è apparentemente lecito. Una realtà talmente distante da quella di chi guarda solletica sicuramente il voyeurismo spettatoriale, suscitando al contempo incredulità, coinvolgimento e un pizzico d'invidia. L'approccio immersivo della regia, a tal proposito, fa sì che il pubblico si lasci contagiare volentieri dalla spensierata superficialità con cui Vince e compari vivono l'attimo e (non) affrontano le sfide, spesso grottesche, cui la narrazione li sottoporrà (e che porterà il gruppo dove mai si sarebbe mai aspettato finisse).

sabato 1 giugno 2019

Animali notturni (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 01/08/2018 Qui - Personalmente non amo questi tipi di film sofisticati, criptici, che durante ma soprattutto a fine visione lasciano parecchi punti interrogativi senza una risposta sicura. Ve ne sarete forse accorti di ciò da alcune mie recensioni, da alcuni giudizi a certe pellicole simili (anche se non per tutti i suddetti casi). Sia chiaro però, Animali notturni (Nocturnal Animals), film drammatico e neo-noir del 2016 scritto, diretto e co-prodotto da Tom Ford (basato sul romanzo del 1993 di Austin Wright Tony & Susan), è un film solido, ma non è un grande film. Infatti questa pellicola, che mi ha lasciato abbastanza perplesso, anche perché pensavo meglio, vista la miriade di osanna ricevuti a destra e a manca, è una pellicola molto pretenziosa che cerca di mettere in scena, con un doppio livello narrativo, il tema della vendetta e dell'abbandono, inseguendo costantemente una profondità, in ciò che vuole narrare e veicolare, che però mai raggiunge. E in tal senso l'opera seconda del regista/stilista dopo A Single Man non pecca nel tema, sempre meritevole di interesse, ovvero le cicatrici, dolenti ancora dopo anni, causate da rapporti sentimentali finiti male, bensì nella struttura (un racconto-cornice da dramma sentimentale che racchiude come narrazione di secondo livello un revenge movie nel profondo West, con atmosfere alla Killer Joe o Non è un paese per vecchi), potenzialmente intrigante ma non priva di difetti, e nel legame troppo strombazzato tra i due livelli narrativi. L'impressione è difatti che la montagna abbia partorito il topolino: costruzione diegetica ambiziosa, grande fotografia, attori in grande spolvero, intensità dialogica, cura certosina nella messa in scena, quello che manca sono storie interessanti, approfondite, che non sappiano di già visto e stravisto. In questo senso, le due parti di cui è composta l'opera, quella reale su Susan e quella romanzesca su Tony e l'indagine del detective, vanno a pescare da bacini tematici particolarmente frequentati nel cinema hollywoodiano: la ricca donna infelice, il crimine e la violenza in scenari desolati. Non a caso la pellicola ci racconta della vita di una gallerista che va in crisi quando riceve un manoscritto da parte del suo ex-marito, la cui storia sembra essere una inquietante metafora del loro rapporto di coppia.

domenica 26 maggio 2019

Cars 3 (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 20/06/2018 Qui - È difficile capire quando è tempo di fermarsi, di cercare altre strade, di guardare al futuro. Un po' perché non è così facile cambiare drasticamente vita, un po' perché è complicato accettare una realtà che non vogliamo vedere. Questo Saetta McQueen lo sa bene in Cars 3, film d'animazione del 2017 diretto da Brian Fee, terzo capitolo della serie iniziata con Cars: Motori ruggenti nel 2006 che si avvale nuovamente di un cast vocale originale d'eccezione: Armie HammerNathan FillionOwen WilsonKerry WashingtonBonnie Hunt e Chris Cooper, tra i tanti. La pellicola infatti, che propone un'amara seppur importante riflessione tra vecchio e nuovo, tra le vecchie e le nuove tecnologie, ci racconta di Saetta McQueen che, senza rendersene conto, si ritroverà con le spalle al muro quando la tecnologia busserà alla sua porta e sfreccerà sull'asfalto. Quest'ultimo difatti è costretto ad affrontare una nuova generazione di auto da corsa che minacciano non soltanto il suo primo posto nel mondo delle corse, ma anche la sicurezza interiore che l'ha reso un campione. Saetta insomma è vecchio, obsoleto perché le nuove tecnologie ha prodotto auto migliori in tutto della vecchia generazione alla quale Saetta appartiene: più veloci, aerodinamiche, e tecnologiche. Per lui quindi la stagione del declino (non bastasse un grave incidente) è ormai alle porte con il conseguente inevitabile ritiro. Ma il mito resiste e viene carpito dal solito faccendiere senza scrupoli che tenta di lucrare su un marchio ancora tanto amato e che vende. Dopo i primi disastri (la tenacia da sola non basta), Saetta è sull'orlo di essere licenziato ma riesce ad ottenere un'ultima possibilità: allenarsi come vuole lui, fuori all'aperto e secondo i vecchi metodi che lo avevano reso campione. Lo accompagna la giovane istruttrice Cruz Ramirez, in realtà campionessa dall'enorme potenziale inespresso, autoconvintasi di non essere un pilota a seguito di un'esordio alle gare non proprio felice. La risalita è perciò lunga e difficoltosa ma saranno proprio le esperienze positive e negative che permetteranno al nostro eroe di tornare in corsa, o quasi, per trovare finalmente il suo posto nel nuovo mondo e dare forse una svolta alla sua vita.

lunedì 8 aprile 2019

The Birth of a Nation: Il risveglio di un popolo (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 14/11/2017 Qui - A metà tra 12 Anni Schiavo e Django UnchainedThe Birth of a Nation: Il risveglio di un popolo (The Birth of a Nation), film del 2016 scritto e diretto da Nate Parker (anche protagonista), è la storia di una presa di coscienza di un individuo prima e di un intero popolo successivamente. Il film infatti, presentato in anteprima al Sundance Film Festival 2016 (dove ha vinto il premio del pubblico e il gran premio della giuria), significativo già dal titolo, dato che il regista riprende in modo totalmente audace e impavido il titolo della vergognosa pellicola di Griffith sulle "epiche" gesta dei "coraggiosi" incappucciati del Ku Klux Klan, anche se ne ribalta il contenuto, ci racconta su quali fondamenta è nata l'America, battezzata nel sudore e nel sangue di milioni di esseri umani costretti a perdere la propria umanità, raccontando la storia della rinascita dell'America attraverso le battaglie della popolazione afro-americana in cerca di uguaglianza, riscatto e anche di vendetta, ma sopra ogni cosa, in cerca di giustizia (parola e concetto che spesso viene soffocato e annientato con le torture, le sevizie, il calpestamento dei diritti umani). E lo fa ripercorrendo la vicenda di Nat Turner (un personaggio veramente esistito e di cui si è fatto di tutto per cancellarne le tracce e la memoria), schiavo, predicatore, ribelle. E lo fa restituendo il significato dell'istituzione schiavista in tutto il suo intollerabile abominio, la sua crudele quotidianità capace di annichilire negli uomini e nelle donne ogni rispetto di sé, ogni sentimento, ogni speranza. Certo, la struttura del racconto è classica e non si discosta in maniera particolare da altre pellicole che hanno trattato il tema della schiavitù, ed anzi, non apporta particolari novità sull'argomento, e addirittura la sceneggiatura ha delle evidenti lacune, ma qui ci troviamo di fronte ad un prodotto discretamente riuscito che ne fotografa, sapientemente la vita e le azioni.

martedì 2 aprile 2019

Mine (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 20/10/2017 Qui - Ciò che mi incuriosiva di Mine, film del 2016 scritto e diretto da Fabio Guaglione e Fabio Resinaro, non era tanto la trama o il tema in sé, dato che Land of mine aveva già donato spessore a questo argomento (quello delle mine antiuomo ovviamente), ma era il fatto che fosse (semplificando) per un terzo italiano (prodotto e girato negli USA) e che fosse per la coppia di registi l'opera prima. E quindi ero curioso di vedere come se la fossero cavata, d'altronde quando il cinema italiano arriva ad Hollywood c'è sempre il rischio di fare una figuraccia, ma come recentemente visto in Escobar del regista italo-americano Andrea Di Stefano (e in altre rare eccezioni), quando c'è la qualità, la voglia e la bravura, qualcosa di buono esce sempre. E infatti davvero sorprendente è questo film realizzato con un budget non elevatissimo, un film molto curato tecnicamente (un prodotto di altissima qualità, con ottimo montaggio e direzione artistica) e ben recitato (dopotutto Armie Hammer qui dimostra tutta la sua bravura, perché il film si basa e si poggia per più di un ora su di lui) che raggiunge un discreto voto grazie ad un'ottima idea di base che forse poteva anche essere sfruttata (anche se la suddetta è comunque efficace e funzionale alla pellicola) ancora meglio. L'inizio infatti (della missione fallita miseramente) non è proprio perfetto, anzi, un po' banale e forzato, ma come il film prosegue devo ammettere che ti cattura. La pellicola, difatti, racchiude in sé particolari in grado di coinvolgere lo spettatore dall'inizio alla fine. Questo grazie non solo a una narrazione ben delineata e dal ritmo serrato (talvolta lento, ma adeguato al tipo di storia raccontata), ma anche all'attenzione ai dettagli sia dal punto di vista degli avvenimenti, sia da quello psicologico che ne deriva. Anche perché seppur i primi 20 minuti si presentano nel modo classico di un film di guerra moderna, ma che non è il classico film sui militari americani (anche se ricorda un po' il comunque personalmente discreto American Sniper), il racconto, che parte dalla situazione senza via di scampo in cui un soldato calpestando una mina e rimanendovi sopra per non farla esplodere si trova in una situazione apparentemente senza via d'uscita, si apre a una miriade di riflessioni (con la comparsa dello splendido personaggio berbero) che scorrono quasi come fossero allucinazioni nel deserto.

venerdì 15 marzo 2019

Operazione U.N.C.L.E. (2015)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 29/06/2017 Qui - Dopo un inizio interessante, dopo un clamoroso flop ai tempi della relazione con Madonna e dopo essersi moderatamente ripreso ecco ritrovare il regista Guy Ritchie sui territori dello spy-movie, il genere a lui più congeniale, specie se condito di abbondante humor e un pizzico di glamour (successe col trittico ben fatto di Lock & Stock, Snatch, Rocknrolla). E di glamour e fashion ce n'è da vendere in Operazione U.N.C.L.E. (The Man from U.N.C.L.E.), film del 2015 diretto e co-sceneggiato dal regista, remake vintage di un celebre vecchio telefilm incentrato sulla strana e forzosa alleanza che unisce, di malavoglia e per necessità superiori, due investigatori segreti di gran classe e charme, uno americano, di nome Solo (Henry Cavill), moro, ex ladro abilissimo acciuffato anzitempo ed incastrato a collaborare con la CIA, l'altro, Kuryakin (Armie Hammer), un biondo russo glaciale e riservato, efficiente e di poca favella, in pratica l'esatto opposto del precedente. In un clima di guerra fredda tipico dei complottistici anni Sessanta, quando un muro invalicabile divideva una delle più grandi città europee, ed una nazione forzatamente smembrata in due, quando la differenza tra Occidente ed Oriente costituiva realmente una variabile legata non solo ai limiti geografici, bensì a quelli vincolati alle libertà di pensiero ed azione, ecco i due professionisti impegnati dapprima a cercare di eliminarsi, poi costretti a collaborare per sventare una minaccia terroristica legata a missili nucleari che una micidiale organizzazione terroristica si appresta a far brillare. Tra i due elegantoni, stili diversi, opposti, ma ugualmente ricercati, naturalmente una donna, la figlia tosta (oltre che bellissima, dopotutto è interpretata da Alicia Vikander) di uno scienziato, costretta al di là della cortina di Berlino Est nei falsi panni di un meccanico dalle innegabili potenzialità. E quindi tra rivalità bonarie o meno ed anche aiuti reciproci si troveranno così ad affrontare numerose avventure in svariate città dell'Europa (Berlino, Roma, etc) sino, ovviamente, alla piena risoluzione, con ovviamente esito positivo, del caso.