martedì 25 giugno 2019

Free Fire (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 24/01/2019 Qui - Impossibile non pensare a Quentin Tarantino o a Martin Scorsese (che, tra l'altro, qui è produttore) mentre scorrono davanti agli occhi le scene di Free Fire, ultimo film di Ben Wheatley, peccato che questo film del 2016 sia, dopo lo strano e insipido High-Rise (tratto da Il condominio di Ballard), l'ennesima delusione. Un film tutto ripiegato su se stesso, inutilmente claustrofobico, un film dalle atmosfere pulp (giacché la storia è ambientata negli anni '70), inutilmente vintage. Il film e il regista infatti (ovviamente personalmente parlando), non riescono fino in fondo a sfruttare la concentrazione di luogo, tempo e azione. Eppure il film partirebbe bene e sembrerebbe anche svilupparsi piuttosto degnamente, poi ad un certo punto le sparatorie cominciano a diventare ridondanti e il film scivola verso il trash più totale, si vede decisamente la voglia di creare qualcosa di simile alle "Iene" di Tarantino (appunto) con ampio condimento Western di sparatorie che si sprecano, ma è tutto parecchio assurdo, anche a livello di sceneggiatura, perché il buon senso, ad un certo punto, per quanto si abbia a che fare con gente svalvolata, dovrebbe prevalere, e invece la sparatoria, l'oggetto del film, che impegna almeno 70 dei 90 minuti di cui si compone il film, insieme al finale, lascia parecchio a desiderare. L'impostazione Tarantiniana difatti, è probabilmente la maggiore forza ma anche e soprattutto la maggiore debolezza di Free Fire: chi ama il genere si sarà divertito, ma forse non avrà trovato il film sufficientemente estremo e l'avrà giudicato a volte (troppe volte) un po' lento (ma anche altro, tra questi io), mentre per chi non è appassionato di questo stile il gradimento sarà stato presumibilmente pari a zero.
A vincere insomma sarà stato probabilmente lo spettatore occasionale senza troppe aspettative, che avrà sfruttato lo spunto di un paio di battute riuscite e la curiosità quasi perversa di vedere come possa mai finire questa storia (sicuramente per tenere occupata un'ora e mezza di un pomeriggio piovoso), e avrà giudicato ottimo il film, ma è indubbio questo giudizio. Prima però di entrare nel vivo della recensione, e di leggere il perché il film non mi abbia entusiasmato e non mi sia sufficientemente piaciuto, ecco la trama del film. Nella Boston degli anni '70, Chris (Cillian Murphy) e Frank (Michael Smiley) devono incontrare dei trafficanti d'armi per conto dell'IRA. L'incontro è stato organizzato con l'aiuto della bella Justine (Brie Larson) e del mediatore Ord (Armie Hammer), mentre le controparti sono rappresentate dal venditore sudafricano Vernon (Sharlto Copley) e dal suo socio Martin (Babou Ceesay). Fin dall'inizio lo scambio non sembra porsi nel migliore dei modi, e le cose non possono che peggiorare: non solo le armi richieste non corrispondono a quelle fornite, ma esiste un precedente importante fra Stevo (Sam Riley), tossicodipendente alle dipendenze di Chris e Frank, e Harry (Jack Reynor), autista della banda di Vernon. In questa polveriera basta una piccola scintilla per innescare una sparatoria dagli esiti disastrosi. E infatti la tensione cresce sempre di più e con tante armi e denaro sul campo, iniziano a partire i primi colpi, sarà una carneficina, in cui anche Noah Taylor e tutto il cast (e quindi i personaggi) dovranno lottare per sopravvivere.
Il film rimane quindi bloccato all'interno del magazzino con le due parti e gli intermediari a spararsi addosso per quasi 90 minuti: ovviamente tutti hanno una pessima mira e una resistenza ai colpi proverbiale, altrimenti il film sarebbe terminato nel tempo di un corto. E invece chiacchiere e pallottole si sovrappongono senza sosta, mentre la noia diventa insopportabile e i Tarantinismi fuori tempo massimo, lasciano il tempo che trovano. Infatti il tentativo di emulare la tensione spasmodica e i dialoghi urticanti delle Iene, fallisce miseramente, semplicemente perché Ben Wheatley non ha una sola idea originale per il suo Free Fire e finisce per sprecare anche un cast che avrebbe meritato qualcosa da dire o da fare: Cillian Murphy, Armie Hammer, Brie Larson, Sharlto Copley, Noah Taylor e Sam Riley (ma anche tutti gli altri, nessuno escluso), sembrano capitati nel film per puro caso e lo attraversano non totalmente con la convinzione, ma come un gioco, un gioco alquanto difettato. Perché certo, per quanto Free Fire non brilli di luce propria, risulta comunque un prodotto d'intrattenimento divertente: i dialoghi, le sparatorie e i colpi di scena si mescolano creando un'alchimia a volte dissonante, ma complessivamente non male, diverte inoltre (anche se questi sono poco d'impatto) il modo in cui in più di un'occasione i vari protagonisti sembrino partecipi di una situazione che, a dispetto di proiettili andati più o meno a segno, viene vissuta come una specie di gioco, con tanto di (vane) richieste di time out e dialoghi demenziali, ma fino ad un certo punto.
Poi ti accorgi che questo continuo rimescolare di equilibri, con amici che diventano nemici e viceversa, non è affatto un'apparente confusione senza scampo che cela una perfetta organizzazione degli elementi, anzi, ma al contrario, giocando con l'ironia e il grottesco, come era successo nel film precedente, il regista delude nuovamente realizzando un crime-action, senz'altro frizzante, a tratti addirittura spassoso, ma un giochino costoso a somma zero, che si dimentica senza ricordi, un segno imbarazzante dell'involuzione di un regista troppo innamorato di sé e del proprio (presunto) talento. Perché va bene che l'ambientazione vintage (il porto di Boston alla fine degli anni '70) viene ben adoperata in particolar modo per contenere il tono e l'estetica dentro una messa in scena che vuole essere volutamente "povera" nei mezzi ma invece varia e spigliata nelle soluzioni estetiche, anche se la fotografia giallognola e allucinata di Laurie Rose è debitrice dell'estetica degli anni '90, più che di quella granulosa e satura delle pellicole degli anni '70, ma non basta. Perché va bene che nel cast, un importante cast, un cast che comunque seppur capitato lì per caso si diverte a partecipare alla baraonda di piombo, il regista non porta sullo schermo figure che spiccano, nessuna che tende ad oscurare l'altra, ma tutti con caratteristiche ben definite (anche se queste li fanno scadere in quasi macchiette), perché va bene che l'unica figura femminile, il Premio Oscar Brie Larson, non si fa intimorire dai suoi colleghi, tanto che, da sola, controbilancia egregiamente l'eccesso di testosterone, ma ciò non basta al film, un film banale, inverosimile e deludente, per raggiungere la sufficienza. Voto: 5