lunedì 24 giugno 2019

La tartaruga rossa (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 05/01/2019 Qui - Presentato alla 69esima edizione del Festival di Cannes e vincitore del premio speciale Un Certain Regard, La Tartaruga Rossa (La tortue rouge), film d'animazione del 2016 diretto da Michaël Dudok de Wit, mette in scena una storia dalle premesse alquanto semplici, sfoggiando però un contenuto profondamente commovente, una sorta di evocazione del ciclo della vita (dell'uomo e dell'animale), un contenuto insomma che tocca il cuore. Nato dallo sforzo produttivo di due universi (quello francese e quello giapponese) che considerano l'animazione un mercato fertile e ricco di possibilità, alla regia e alla sceneggiatura lo stesso De Wit, alla direzione artistica Isao Takahata, mentre la produzione è mista e prevede una consistente partecipazione dello Studio Ghibli, The Red Turtle, come da titolo internazionale, è infatti per questo, uno dei migliori film di animazione degli ultimi anni. La trama, evitando di entrare nel dettaglio, narra la storia di un naufrago di cui non sappiamo nulla e che si ritrova, solo, su un'isola deserta. Questo contemporaneo Robinson Crusoe tenta più volte di fuggire costruendosi delle imbarcazioni di fortuna, ma tutti i suoi sforzi vengono vanificati da una tartaruga rossa, che sembra costringerlo a rimanere sull'isola per delle motivazioni sconosciute. L'incontro con questo animale unico nel suo genere gli cambierà però la vita, in un modo che sarebbe meglio non raccontare, perché va vissuto per tutti i suoi 90 minuti, ma diciamo che il tempo che dovrà passare in quel luogo, fuori dal tempo e dallo spazio, sarà più lungo del previsto. E tuttavia si può anche dire che il film è una grande metafora della vita, dei suoi alti e bassi, del suo scorrere inesorabile. Perché la vita del protagonista equivale, con le dovute proporzioni, a quella di ciascuno di noi: un percorso fatto di scossoni, rabbia, amore, nostalgia, noia.
E così Michaël Dudok de Wit, coadiuvato da Takahata (che come già sapete ci ha lasciati), costruisce momenti di pura poesia visiva, alternando sequenze oniriche (magnifiche quelle in cui sogna di fuggire attraverso un ponte immaginario, o quando è divorato dal senso di colpa nei confronti della tartaruga) ad altre dal forte impatto emozionale (lo tsunami, l'addio al figlio, i teneri momenti in cui la famiglia si stringe attorno al proprio amore). Il tutto accompagnato da una regia esemplare, minimale, delicata e, naturalmente, un'animazione notevole, capace di mescolare con fluidità tecnica tradizionale a quella in computer grafica. Non è un caso infatti che il regista olandese incarni alla perfezione quel filone tutto francese di un cinema d'animazione in cui si preferisce che a parlare siano le immagini (e il loro portato emozionale) e non i dialoghi. Difatti La tartaruga rossa è un film non parlato, fatto di immagini, suoni, musiche. Un cinema dei primordi, forse, in cui le componenti di accumulo sono azzerate, lasciando quindi un'essenzialità che manca forse al cinema di oggi. Da questo punto di vista La tartaruga rossa è decisamente vicino alle suggestioni e al modo di raccontare di un altro grande film animato, L'illusionista di Sylvain Chomet, mantenendo comunque una propria indipendenza visiva e concettuale. Proprio perché al posto di veicolare il messaggio mediante l'uso del dialogo, il film fa leva completamente sulle immagini, dando in pasto allo spettatore una successione di sequenze completamente sorrette sul suono. Questo tipo di comunicazione non verbale all'inizio può lasciare un po' spaesati, ma con il passare dei minuti tutto sembra ottenere un proprio senso, non soltanto per l'uso di una colorazione eloquente, peraltro coadiuvata da disegni animati in digitale, quanto a mano con l'uso del carboncino.
Un film che vuole esprimere molto in maniera del tutto inusuale, sfruttando un vero e proprio caleidoscopio di emozioni che (come detto) alludono, come metafora, alla vita di ognuno di noi. C'è un inizio ed una fine, mitigato da un trascorso che vede episodi violenti alternati ad altri intimamente amorosi, narrati con un'armonia incapace di annoiare. Anche le fasi oniriche (di cui ho già ampiamente accennato), sapientemente dirette specialmente sfruttando la colorazione del bianco e nero, comunicano messaggi importanti senza fare uso di una singola parola. Sono le note audio di Laurent Perez del Mar ad accompagnarci in questo viaggio, dove il ciclo naturale della vita viene narrato senza imbarazzo e senza la necessità, a volte necessaria, di voler alleggerire anche i momenti più tragici. In tal senso, per tematiche e approccio alla materia La tartaruga rossa è estremamente distante eppure incredibilmente vicino a La storia della principessa splendente (del maestro giapponese), giacché tutte e due le opere (e mettiamoci anche l'inedito e ancora mancante I miei vicini Yamada) sono corpi apolidi che sembrano appartenere a un'idea di cinema distante, persa, dimenticata. Per la capacità di coinvolgere lo spettatore da un punto di vista emozionale e razionale è più vicino a Valzer con Bashir di Ari Folman, con cui condivide la scelta di intrecciare piano reale e piano onirico. E insomma il film, che appunto vede la compartecipazione di Francia, Belgio e Giappone nella produzione, visivamente è molto bello, molto poetico. Anche le musiche sottolineano con eleganza i vari momenti e passaggi del film, in cui non pesa l'assenza di parole. Le immagini comunicano tutto. I disegni, anche se in verità non perfetti, sono molto efficaci. Le ambientazioni creano una suggestione che aiuta la sospensione dell'incredulità. Purtroppo la storia, pur se poetica, non è ben sviluppata.
I temi presentati (il bisogno di socialità per esempio, il confronto padre-figlio, il rapporto figlio-madre), vengono gestiti in modo superficiale. Inoltre non è sempre così semplice capire cosa sta accadendo, si ha quasi la sensazione che tutto ciò che stiamo vedendo sia troppo grande per noi, ma il risultato è la percezione di essere di fronte al più incredibile, al più magnifico sogno che abbiamo mai visto. Poiché per quante innumerevoli domande ci si ponga, si continua a galleggiare insieme al film, lasciandoci cullare dalle melodie, dai rumori delle canne di bambù che si scontrano con la brezza marina, accettando ogni cosa, ogni allegoria, ogni morale. In tal senso anche se La tartaruga rossa (la nomination tra i candidati al Premio Oscar nella categoria Miglior Film d'Animazione era dovuta) può sembrare un prodotto dai contenuti alquanto "pesanti" (e di certo lo è), bisogna ammettere che ha la piacevole capacità infatti di farsi guardare sotto moltissime chiavi di lettura, regalando agli spettatori uno spaccato interpretativo della vita. Difatti la sua durezza, mista all'incanto di alcuni momenti quasi surreali, chiudono i 90 minuti di visione con messaggi importanti che non devono essere sottovalutati e/o lasciati in un angolo a sfiorire. Certo, l'Oscar è stato vinto da Zootropolis (e direi meritatamente, anche se questo piccolo gioiellino, non ha nulla da invidiare a quell'altrettanto piccolo gioiellino) ma La tartaruga rossa è pur sempre qualcosa che fa bene agli occhi e al cuore, qualcosa di assolutamente particolare e unico, poetico e dal messaggio universale (rispettiamo quello che abbiamo e ammiriamone l'incredibile bellezza), assolutamente da vedere, da consigliare ed ammirare. Voto: 7+