Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 16/11/2018 Qui - Per la prima volta nella storia dei cinecomics, a dieci anni esatti dall'inaugurazione del Marvel Cinematic Universe (Iron Man ha compiuto dieci anni ad Aprile scorso), ecco arrivare il primo film (il diciottesimo del MCU) tratto da fumetti con protagonista un eroe di colore (il film è infatti basato sul personaggio di Pantera Nera della Marvel Comics), con un cast e una crew quasi completamente composta da talenti di settore di colore, un unicum persino a Hollywood che mai aveva visto un progetto di tale scala (e budget), realizzato da attori, registi, tecnici, sceneggiatori e produttori afroamericani. Questo aspetto produttivo e l'unicità del personaggio facevano di Black Panther, film del 2018 diretto e co-scritto da Ryan Coogler, un film storicamente importante (perché strutturalmente e concettualmente diverso), non solo nell'ambito del genere, ed era quindi normale che le aspettative fossero alte. Anche perché in tal senso tutti parlavano di un film diverso, ben lontano dai soliti Marvel che, ammettiamolo pure, belli e divertenti (altresì eccezionali), ma sono un po' tutti uguali. Ecco dopo aver visto quest'ultimo action fumettistico, non sono poi così convinto che qualcosa di diverso significhi "qualcosa di buono", a me è sembrata un'accozzaglia di roba abbastanza difficile da digerire per intero. Accozzaglia che la critica americana, anche questa volta, l'ha etichettata come l'ennesimo capolavoro Marvel, ma la verità (come sempre, quasi sempre, perché i due Guardiani della Galassia capolavori lo sono per davvero e tanti altri sono davvero eccezionali) sta nel mezzo. Giacché è abbastanza ovvio che questo cinecomic, in questo frangente, venga utilizzato come mezzo per parlare di rivalsa dei neri e porre dunque l'attenzione sulla questione delle minoranze etniche, afroamericane in particolare. Black Panther, quindi, sembra essere una "tacita" risposta alle manovre politiche (in quasi un anno poco è cambiato) di Donald Trump, dacché si riempie la bocca di tanti temi importanti, quali l'immigrazione, l'integrazione tra popoli diversi e la corsa agli armamenti, cercando una dimensione narrativa propria dove ambisce mettere in parallelo messaggi politici e intrattenimento, laddove quest'ultimo (ahimè) viene meno. Perché certo, ci sta ed è anche giusto che questi temi vengano alla luce, ma per colpa di ciò il film diviene presto statico, appesantito, debolissimo per la mancanza di ritmo e, paradossalmente, si rivela povero di combattimenti.
Va bene che sono molteplici gli aspetti del film che rappresentano un punto di interesse e di diversità nella diciottesima pellicola del Marvel Cinematic Universe, e non parlo soltanto del colore della pelle dei protagonisti, anche se in tal senso l'idea di raccontare un supereroe africano in una nazione africana ricca e tecnologicamente avanzata, per quanto anacronistico, è assolutamente intrigante, ma la sceneggiatura seppur ben eseguita a volte manca di quell'elemento più ironico, tipico degli ultimi supereroi Marvel, perdendosi in una solennità di affermazioni che necessiterebbero una piccola sfoltita, inoltre Black Panther è un film che forse pecca nella trama, telefonata praticamente dal principio ed in una CGI non sempre all'altezza del compito. E tuttavia la messa in scena è spettacolare e le "vere" differenze si notano. La prima differenza che si incontra, entrando in Wakanda, è che lo spettatore si trova di fronte a un mondo completamente differente: sembra di stare in una cittadina aliena, con una tecnologia avanzatissima, mai vista prima, allo stesso tempo, queste donne e questi uomini sono a tutti gli effetti un insieme di tribù profondamente spirituali, che affondano le loro decisioni, il loro modo di essere, le loro vite in rituali sacri e investiture mistiche. Un perfetto equilibrio tra tecnologia e spiritualità che genera un effetto straniante ma che ha un innegabile appeal, se non altro per la novità visiva e scenografica. Sempre parte dell'ambientazione è il particolare uso del colore. La Wakanda che ci mostra è il film è colorata e vivace, nel tessuto dei suoi abitanti, nella caratterizzazione delle sue tribù, nell'armonia con cui i personaggi vengono inseriti in un contesto così nuovo per il cinema di genere senza mai confondersi come semplice elemento di sfondo. Perché sebbene ogni tanto fa capolino la sensazione "Artigiano-in-Fiera", dettata da splendidi costumi tradizionali, indossati con lo sfondo di strutture futuristiche, che sembrano padiglioni espositivi (benché decorati con gusto), gli scenari, i personaggi, i colori e le atmosfere, che sono completamente differenti rispetto a quanto visto fino a qui, nel corso di 10 anni di MCU, sono infatti dal punto di vista visuale innovativi, assistendo perciò a qualcosa di mirabile, qualcosa di fighissimo. Ma dopotutto, questo è il Regno della Pantera Nera del Wakanda, uno Stato che si è sempre celato agli stranieri per paura che il mondo corrotto potesse utilizzare le sue preziose (e vastissime) risorse di Vibranio.
Vibranio, che è un materiale giunto dallo spazio sulla Terra, contenuto in un meteorite precipitato proprio nel Wakanda. Grazie ad esso, questo popolo ha prosperato a livelli inimmaginabili. Il contrasto tra questa nazione iper tecnologica e le periferie nere (periferie fisiche e sociali) delle metropoli americane, instilla in un ragazzino di colore, cresciuto ad Oakland, un desiderio rivoluzionario ed il desiderio di guidare il Wakanda al posto di T'Challa. T'Challa (Chadwick Boseman) è tornato a casa, dopo la morte del padre, evento grazie al quale abbiamo già visto Black Panther fare il suo esordio nel MCU, in Captain America: Civil War. Il Principe deve diventare Re e sottoporsi alle prove rituali che, nei secoli, hanno incoronato il Sovrano del Wakanda. Conosciamo il resto della Famiglia Reale, con la madre Ramonda (Angela Bassett) dispensatrice di saggezza e la sorellina dispensatrice di ritrovati tecnologici e di freschezza. È lei il fulcro ironico del film: senza Shuri (la Letitia Wright di Black Mirror) si faticherebbe a capire che questo è un film Marvel, va bene che deve mantenere un'aura regale, ma T'Challa si concede 2 sorrisi in 2 ore e 15. 135 minuti che scorrono piuttosto bene, con giusta alternanza di scene più o meno movimentate, ma senza particolari picchi, anzi. Infatti Black Panther ha quest'anima ben definita, una tavolozza di colori e suoni (colonna sonora che è un mix tra moderno R'n'B e cori tribali) che lo radicano in maniera indissolubile alla terra d'Africa, però non è un film con momenti esaltanti. Ci sono inseguimenti e combattimenti, neanche troppo convincenti, per la verità, tuttavia il racconto è imperniato su questioni familiari e tribali, ma senza sorprese straordinarie. È pur vero che, teoricamente, si tratta di un film di origini del personaggio, dove si raccontano i momenti topici della via per divenire Re del Wakanda e per governarne le "sue" tribù, salvo ovviamente tragici imprevisti. Imprevisti che sono incarnati, in particolare, dai 2 villain, quelli della storia fumettistica dedicata alla Pantera. Ulysses Klaue, reso magistralmente folle da Andy Serkis (Gollum, Snoke e Cesare), ha la sola pecca di avere uno screen-time limitato, ed Erik Killmonger, è il negativo di Pantera Nera, come atteggiamento e come idee, perfidamente focalizzato sul suo obiettivo. Un cattivo che ha, a modo suo, un nobile intento e porta con sé il desiderio di rivalsa di tutta la nazione nera del mondo, anche se le vicende della vita hanno distorto la sua capacità razionale.
E non ci sarebbe nulla di male in questo, peccato che proprio quando ad un certo arriva questo cattivo, anzi questo super cattivo antipatico, saccente e fastidioso, interpretato molto bene dal Michael B. Jordan di Creed (il regista è lo stesso, Ryan Coogler), non iniziano solo a precipitare solamente le sorti di Wakanda, ma pure quelle del film. Quell'odio che tutto il pubblico avrebbe tranquillamente accettato come sentimento mosso da motivi personali (è pur sempre un film di supereroi), si trasforma invece in un pretesto per tirare in ballo ideali più grandi. Da quel momento in poi, chi più ne ha più ne metta, tra black power, razzismo, povertà, genocidio e centinaia di anni di battaglie contro l'oppressione razziale scaricate a caso su 2 ore e 15 minuti di pellicola. E' vero che il Wakanda è praticamente l'anti-Africa visto l'atteggiamento che hanno del tipo "io so io, e voi non siete un cazzo", ma rimane comunque troppa, troppa roba che appesantisce inutilmente Black Panther. Qualche tema in meno da trattare ed un taglio di 30 minuti sulla durata avrebbero già portato un grande miglioramento. Quando parliamo di Marvel, sono due i principali punti di forza delle loro pellicole: la grande visione d'insieme che porta ad intrecciare abilmente le diverse storie e l'ironia. Entrambi questi elementi mancano quasi del tutto in Black Panther (perché anche se in minima parte ci sono, tutti questi ingredienti, vengono dosati in modo squilibrato, e approfondendo la metafora culinaria, al palato arrivano più come un assemblaggio che sapori di alta cucina) e quindi che cosa rimane? Sicuramente un grande cast, anche se non splende nemmeno l'interpretazione un po' asettica del protagonista, Chadwick Boseman, incorniciato però da due grintose Lupita Nyong'o (12 Anni Schiavo) e Danai Gurira (The Walking Dead). Chiudono il cerchio un Martin Freeman bravo come al solito, ma in modalità risparmio batteria, e un Forest Whitaker appena pervenuto. Non hanno badato a spese per il meglio della Hollywood black, anche perché non manca oltre a chi ho già citato il bravissimo Daniel Kaluuya di Scappa: Get Out, e tanto per aggiungere un po' di carne al fuoco, c'è una bella dose assai divertente (non solo Michonne) di girl power (le donne africane menano come fabbri). Per tutto il resto Black Panther è un po' 007, un po' Il Re Leone, un po' Malcom X, insomma una accozzaglia di roba, diversa dal solito è vero (da notare, purtroppo in negativo, anche il doppiaggio italiano, abbastanza penalizzante), ma che ha perso le uniche caratteristiche marveliane che avrebbe dovuto conservare.
E tuttavia, a qualche piccolo imbarazzo di montaggio, comunque, fanno da contrappeso un paio di buoni tocchi di regia, anche se Ryan Coogler (che si era fatto apprezzare con Prossima fermata Fruitvale Station, che ancora mi manca, e per il buon Creed: Nato per Combattere) nonostante ciò (ben realizzate seppur non perfette le parti action e alcuni brevi piani-sequenza) non riesce a dare omogeneità al film, intrappolato in 135 lunghissimi minuti che purtroppo annacquano ciò che di buono c'è nel film. Di buono c'è soprattutto l'ottima soundtrack firmata da Kendrick Lamar, che, in fin dei conti, fa strappare (quasi da sola) al film la sufficienza. Black Panther insomma è un prodotto che riesce solo in parte a mantenere tutte le promesse rivoluzionarie che aveva fatto sulla carta. Lo stile del film è visivamente innovativo, con un utilizzo del colore e della messa in scena che si impegnano a caratterizzare la location inedita, tuttavia non è omogeneo nei tempi e nelle modalità di ripresa, oltre a rivelare ingenuità sorprendenti nell'utilizzo degli effetti visivi. Fortuna che il carisma e la bellezza dei protagonisti riescono, in parte, ad offuscare tutto il resto, ma non siamo neanche vicini all'efficacia di Guardiani della Galassia, alla coesione del primo Iron Man o alla "rivoluzione" Thor: Ragnarok. Certo, portare sullo schermo un mondo nuovo e presentare un personaggio poco conosciuto, con tante variabili ed elementi caratterizzanti, non era operazione semplice. A volte però un po' di coraggio in più premia. Perché dove i Marvel Studios avrebbero potuto osare, falliscono miseramente, e dell'avanzata tecnologia di Wakanda (l'utopia africana per eccellenza) non rimane che il disegno di un film arretrato, com'è arretrato e sconfortante vedere una questione politica così attuale riassunta in poche frasi a effetto, nella retorica galoppante, nei volti di eroi annoiati (fa eccezione unicamente il villain Erik Killmoger, unico comunque in grado di trasudare intelligenza e reali motivazioni) e in una trama a dir poco sbilanciata. Un bel passo indietro rispetto ai più centrati Thor: Ragnarok (consapevole della sua cialtroneria) e Captain America: Civil War (gustosamente thriller), e che fa precipitare l'asticella della qualità di casa Marvel ai minimi storici. Giacché ai media americani piace l'esagerazione assoluta, in meglio o in peggio, perché in verità è questo uno dei meno incisivi e più facilmente dimenticabili della sua storia cinematografica (sempre indimenticabili invece i cameo di Stan Lee, che purtroppo ahimè è venuto a mancare recentissimamente).
Le ragioni sono diverse, ben camuffate dalle voci oltreoceano che gridavano al capolavoro di legittimazione del black power, e un blockbuster che finalmente metteva al centro uomini e donne di colore (similmente al concetto di femminismo tirato in ballo in maniera decisamente forzata all'epoca dell'uscita di Wonder Woman), insomma, c'era della tale gravitas attorno a questo cinecomic, in un clima di risveglio e fermento artistico delle minoranze ad Hollywood, che le premesse sembravano aver offuscato l'evidenza: Black Panther è una superficiale declinazione del film supereroistico in chiave politica, confusionaria, meccanica, e una pedante (nel senso più deleterio del termine) rappresentazione dell'eroe con deviazioni poetiche e ideologiche ad altezza bambino. Riproponendo l'ormai tradizionale viaggio di scoperta, discussione e accettazione del proprio ruolo, il protagonista T'Challa è un principe che diventa Re senza troppi scossoni emotivi e sulle ceneri dell'usurata memoria shakespeariana, mentre tutto intorno la sceneggiatura costruisce castelli di sabbia pronti a crollare. E, sebbene le intenzioni siano lodevoli, la partenza sia addirittura sorprendente (con un breve piano sequenza girato su un campetto da basket), le immagini siano piacevoli alla vista e le musiche trascinanti (sia lodato ancora una volta Kendrick Lamar), il film riesce a buttare al vento questi punti di forza con un'alternanza tra momenti stucchevoli e fastidiosamente irritanti, una regia che non sempre appare adeguata al compito richiesto e un cast (quasi) all-black non sempre all'altezza. Infatti e in definitiva Black Panther, non senza un'acuta nota di delusione, si rivela un cinecomic Marvel molto (meno) nella norma. Temi interessanti, spunto di conflitto per gli eroi protagonisti, quali ad esempio la fedeltà al proprio popolo contro quella al proprio sangue o ai propri sentimenti, trovano fin troppo poco spazio, appiattiti su una trama che unisce istanze universali nebulose ad altre, personali e di vendetta. La confusione che ne deriva si riflette anche su una regia indecisa, che sembra avere del potenziale ma applicarsi poco, o meglio, non sapere bene dove e come applicarsi. Un cast di attori efficaci impegnato in parecchia azione, ma anche in parecchie chiacchiere, salva il film (un film in cui a mancare è soprattutto il puro intrattenimento, perché seppur ambizioso è zoppicante e appesantito nella resa finale) assieme a una convincente colonna sonora. Ma dal futuro, ci vorrà e si impone che ci sia (almeno secondo il mio punto di vista) qualcosa in più, perché le potenzialità ci sarebbero per fare decisamente meglio. Voto: 6