mercoledì 26 giugno 2019

Gli sdraiati (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/01/2019 Qui - Gli sdraiati (Dramma, Italia 2017): Con questo film, Francesca Archibugi e Francesco Piccolo si imbarcano nella difficile impresa d'analizzare il mondo giovanile da due punti di vista, ovviamente opposti: quello del padre e quello del figlio. Ma non solo: il film si propone di mettere in scena anche l'analisi della difficile vita di un bambino e di un adolescente, figli di genitori separati. Liberamente tratto dall'omonimo romanzo di Michele SerraGli Sdraiati promette uno spaccato nella vita di una famiglia divisa, analizzando le mille difficoltà che, da ambo i lati, si devono affrontare per ottenere una pacifica convivenza. Si propone di farlo con leggerezza, con un doppio sguardo a seguire in modo molto intimo le vite dei due protagonisti, nel loro cammino verso la ricongiunzione. Ma non è tutto oro ciò che luccica. Nonostante i più che nobili intenti, Gli Sdraiati soffre di grandi pecche, prevalentemente nella sceneggiatura, che rendono il film debole e incapace tanto d'approfondire la tematica, quanto di portare a compimento almeno una delle trame presentate. Vive di superficialità nel senso più stretto del termine: rimane a galla, senza mai sondare davvero alcuna tematica. Ogni sotto-trama resta ferma all'introduzione: veniamo a conoscenza della radice dei problemi comportamentali di Tito, ma non ci è fornita una soluzione, conosciamo i problemi relazionali di Giorgio, ma questo non ci permette di vedere un finale, lieto o tetro che sia. Una trama a metà, spezzata, che sottolinea i problemi ma non è in grado d'essere propositiva. Ma il problema non si pone solamente nell'assenza di una proposta risolutiva, che pure potrebbe mancare. Gli Sdraiati si caratterizza per una totale tendenza all'unilateralità, all'incapacità di vedere concretamente il mondo con gli occhi di un giovane e, soprattutto, nel saperlo dipingere. Ogni comportamento dei ragazzi è una sequela di facili stereotipi, tutti raggruppati a formare un mostro tentacolato, nessuna delle azioni e reazioni, da ambo le parti, riesce a godere della benché minima credibilità. Infatti il ritratto generazionale non funziona perché ogni elemento portato in scena è spinto al parossismo finendo per privare il pubblico del piacere della condivisione di sensazioni con i personaggi, figurine monodimensionali prive di umanità e che stancano dopo pochi minuti. A proposito dei personaggi (oltre ad una sprecata ed abbastanza inutile Donatella Finocchiaro, così come Barbara Ronchi, una barista della RAI purtroppo estremamente sacrificata dall'evolversi degli eventi), un gigantesco punto interrogativo riguarda Antonia Truppo, costantemente sopra le righe nell'interpretare una domestica trapiantata al nord che riveste un ruolo fondamentale nell'economia dello sviluppo narrativo del film. Un film in cui parzialmente a salvarsi è Claudio Bisio, ma non appunto la pellicola che scorre via, mentre si va altrove con la testa. Voto: 5