giovedì 20 giugno 2019

The Tale (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/11/2018 Qui - Scritto e diretto dalla regista e sceneggiatrice Jennifer Fox, prodotto e trasmesso da HBO (e l'estate scorsa su Sky), The Tale racconta la progressiva presa di coscienza di una donna vittima di ripetuti abusi sessuali sepolti nel passato e nella memoria. Questo film del 2018 infatti, prima ancora di essere un'intensa e intelligente autobiografia audiovisiva, giacché le parole che si ascoltano in apertura sono esattamente quelle dell'autrice, perché The Tale è prima di tutto un film autobiografico, un memoir che parte dalle lettere che la stessa Jennifer Fox ha scritto all'età di tredici anni quando è stata vittima di Bill e della Signora G. mentre frequentava un centro di equitazione, è un prodotto necessario, un film che si pone il problema di parlare dell'abuso sessuale e delle difese che il cervello adotta per fare i conti con la violenza subita e lo fa senza alcun compromesso. Un film, un racconto realistico su come mente e corpo immagazzinano ed elaborano le memorie traumatiche. Difatti, avanti e indietro tra un presente fatto di rievocazioni, racconti e foto, e un passato che ritorna fuori piano piano, il film mostra diverse ricostruzioni, alcune ingannevoli, altre che si rivelano false e poi quella vera, per mostrare come il tempo avesse modificato i ricordi della protagonista e come a fatica questa stia comprendendo ed elaborando per la prima volta quegli eventi. È forse proprio questa una delle cose più interessanti di The Tale, ovvero la costante riflessione sulla natura della memoria, sui meccanismi di difesa dell'essere umano nel momenti in cui subisce traumi. Per molti anni infatti Jennifer è stata convinta che il rapporto tra lei e Bill avesse una natura consensuale, ma solo dopo quarant'anni riesce a elaborare davvero l'accaduto, facendo una vera e propria attività di ricerca sia all'esterno (rintracciando le persone che quarant'anni prima sono state in maniera più o meno diretta testimoni degli abusi) sia all'interno, scavando profondamente dentro la propria memoria per entrare in contatto diretto con una ferita mai davvero rimarginata. Jennifer Fox nel resuscitare i fantasmi del passato mette in scena la natura magmatica e anarchica della memoria, facendo della Signora G. un gigante agli occhi della se stessa bambina, un modello femminile inarrivabile (grazie anche all'azzeccata scelta di Elizabeth Debecki), salvo poi presentarla nel presente come una donna decisamente normalizzata, in particolare riguardo all'altezza (come dimostra la scelta della bravissima Frances Conroy).
Allo stesso modo viene messo in scena in maniera perfetta il tentativo del cervello della protagonista di difendersi dal trauma: Jennifer ricorda se stessa molto più grande e più donna di quanto in realtà non fosse, ed è abbastanza disturbante ancorché efficace la giustapposizione tra l'immagine di sé a tredici anni che ha sempre avuto e quella reale, ovvero nulla di più di una bimba, interpretata benissimo da Isabelle Nélisse. Perché è proprio la differenza di sguardo fra la Jennifer bambina e quella adulta a rendere angosciante la narrazione, trasformando dei dialoghi apparentemente asettici e degli sguardi non particolarmente sinistri in sudici tasselli della vicenda. Una narrazione complessa e per certi versi poco enfatica, che inizialmente lascia spiazzati ma che nel corso del film incassa con gli interessi quanto investito, portando lo spettatore a vivere con maggiore empatia la storia di Jennifer (anche perché la regista opera una scelta coraggiosa, spiazzante ma in fin dei conti riuscita, ovvero quella di mettere in secondo piano la spettacolarizzazione di una vera e propria tragedia umana per privilegiare un approccio più intimo e psicologico, nell'intento di fare percepire allo spettatore ciò che lei stessa ha provato e vissuto). In tal senso Laura Dern è molto brava nel rendere quello che è prima di tutto un percorso interiore di presa di coscienza dei fatti, dando vita a una performance di grande misura ed equilibrio, fino ad una reazione umanamente più emotiva nel finale. Un'interpretazione di grande intensità e sostanza, che conferma il talento e il carisma di questa attrice. Non sono da meno Ellen Burstyn, nei panni di una madre apprensiva e tormentata, che in età ormai avanzata cerca di rimediare a quanto da lei non compreso, o negato, molti anni prima, Common, nei panni del compagno, l'unico personaggio davvero positivo della vicenda, Elizabeth Debicki e Jason Ritter, interpreti della versione giovane dei due aguzzini di Jennifer, ed infine Frances Conroy e John Heard (quest'ultimo alla sua ultima interpretazione prima del suo improvviso e prematuro decesso), che riescono a delineare alcune sfumature più torbide dei rispettivi personaggi, orchi ormai invecchiati e pressoché inoffensivi, ma consapevoli del dolore da loro provocato. In conclusione, The Tale si rivela un dramma biografico coraggioso, di acuta introspezione psicologica e di grande impatto emotivo sul pubblico, non particolarmente ricercato dal punto di vista registico e fotografico, ma decisamente efficace per il suo saper tratteggiare il percorso interiore di una donna mortificata e spezzata in gioventù, soprattutto attraverso dei dialoghi secchi e pungenti. Un film un po' duro e crudele (per fortuna gli abusi sono realizzati con una controfigura adulta, come dichiarato nei titoli di coda), che ricorda i soprusi che quotidianamente avvengono anche nei luoghi e nelle situazioni apparentemente più sicuri. E che spinge lo spettatore a scavare nel proprio passato per superare anche le esperienze più dolorose. Voto: 7