sabato 15 giugno 2019

Sono tornato (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 13/11/2018 Qui - Dopo Benvenuti al Sud (e al Nord), Luca Miniero tenta nuovamente la carta del remake. Stavolta alza il tiro, prende spunto dal tedesco Lui è tornato di David Wnendt (2015), tratto a sua volta dal bestseller di Timur Vermes, in cui viene raccontato il ritorno di Adolf Hitler nella Germania moderna, e ipotizza lo stesso scenario cambiando dittatore e paese d'appartenenza. Peccato che Sono tornato, film del 2018 diretto dal regista napoletano e scritto dallo stesso e Nicola Guaglianone, non sia della stessa qualità e che non riesca a raggiungere la sufficienza. Luca Miniero infatti purtroppo si accontenta di scimmiottare l'originale tedesco (che viene ripreso quasi pedissequamente, e filologicamente, per tutta la parte iniziale) e dimentica di costruire delle solide basi drammaturgiche volte a finalizzare una critica costruttiva e ragionata. Il film difatti, che racconta e ipotizza appunto del "ritorno" di Benito Mussolini, Mussolini che, creduto da tutti come una specie di comico, e che dopo avere girato il paese desideroso di conoscere la nuova realtà che ha di fronte, diventa una star televisiva e del web (le sue invettive, i suoi discorsi, le sue idee espresse nella stessa maniera che gli anni del ventennio e fedeli alla sua visione politica, diciamo così, fanno facilmente presa sulla popolazione italiana che assiste divertita ma allo stesso tempo anche affascinata da questo uomo forte e lontano dalla classe politica cui sono abituati e che come sempre viene rappresentata come incapace e priva di idee, contenuti e ideali e interessata solo a badare ai propri interessi), per colpa della mancanza di un buon approfondimento di argomentazioni di spiccato carattere politico e sociale e colpa della qualità anche a livello di produzione sicuramente più scadente, non riesce a fare del tutto centro. Come se non bastasse, allo stesso tempo la pellicola è priva di quei connotati ideologici di un paese come la Germania, dove il nazismo costituiva chiaramente un tabù, che lì venivano affrontati con dei toni più netti e argomentazioni politiche, storiche e sociali che considererei, comunque all'interno dei toni grotteschi complessivi dell'opera, sicuramente più brillanti e interessanti, al contrario, quella che sembrerebbe proporre questo nuovo "Mussolini" appare più come una classica lotta contro la "casta" ma anche contro un certo qualunquismo diffuso, di cui tuttavia poi allo stesso tempo egli si giova usandolo per il proprio tornaconto e la sua scalata verso il successo e la popolarità, come del resto già accaduto e in una riproposizione della storia passata del nostro paese. Da questo punto di vista allora si resta in bilico nel giudicare più o meno negativamente questo film, film in cui la simpatia e goliardia prevale sul contenuto grottesco dell'opera principale.
Proprio perché il film, tecnicamente piuttosto fiacco e buttato li (di ben altra struttura scenografica e tecnica di girato si avvaleva il pur non inarrivabile, ma decisamente migliore originale tedesco sopra accennato), si circonda di figurine inconsistenti che, se da una parte permettono al grande attore Massimo Popolizio di sfogare tutto l'istrionismo del caso e della situazione, con ironie e sarcasmi opportuni, ma anche facili, tutti telefonati tanto appaiono prevedibili, dall'altro, al contrario, sottolineano il vuoto che, oltre la figura del duce, si crea attorno a questa pellicola abbastanza scialba. Sono tornato infatti è un continuo mostrare quanto gli italiani siano ignoranti per questioni che riguardano la politica, l'integrazione, la memoria storica, facendo (è proprio il caso di dirlo) di tutta l'erba un fascio. Peggio ancora, quell'ambiguità intrinseca nel modo italico di pensare alla Storia non è sciolta del tutto, anzi è amplificata ulteriormente da scelte narrative discutibili (non si ha l'impressione che Miniero voglia condannare i movimenti neofascisti, e se era davvero quello l'intento, cinematograficamente parlando il messaggio non arriva affatto). Spiace anche per la grandissima interpretazione di Massimo Popolizio, che riesce nel difficile compito di non scadere mai nella macchietta o nella banale imitazione di un personaggio giullaresco come quello del Duce (la sua versione di Benito Mussolini è totalmente personale e personalizzata, per questo molto più credibile e realistica). Da rivedere invece sia Gioele Dix e Stefania Roccameri personaggi di pura routine e facciata, visti mille volte, scritti frettolosamente, senza serbare nulla di interessante addentro ai rispettivi personaggi senza spessore o sfaccettature. Lo è anche Frank Matano, anche se il comico casertano è senza dubbio il male minore del film, anzi sono proprio quei momenti che lo vedono lontano dal vero protagonista a far rifiatare lo spettatore che per tutta la durata si sentirà indeciso sul messaggio veicolato (ma sicuro delle proprie convinzioni, siano esse di destra o di sinistra). Il problema, semmai, giace proprio nella struttura narrativa (soggetto e sceneggiatura, quest'ultima anche premiata, sono firmati dal regista insieme a Nicola Guaglianone, artefice di ben altri film, sicuramente migliori) in cui quest'ultimo va a inserirsi, costituita dalla solita storiella sentimentale, che dopo un inizio nella norma si sfalda e rimane irrisolta (anche se era così anche nell'originale, qui però si nota di più). In definitiva, quello di Luca Miniero è un ritratto svogliato e pressappochista (quando non esplicitamente populista) dell'Italia, dei suoi difetti e delle sue eterne contraddizioni politiche, in cui non emerge mai un'altra faccia della medaglia o una speranza di cambiamento. Perché certo, non manca una certa semiseria riflessione di fondo, la volontà di farci (sor)ridere a denti stretti riguardo ad un Paese dalla memoria corta e troppo puerilmente soggetto a condizionamenti televisivi o da capobranco (da Mangiafuoco del paese dei balocchi), ma al film mancano le basi cinematografiche e stilistiche necessarie per poter slanciarsi in riflessioni pertinenti e mature di tale calibro. E quindi non pessimo ma rimandato. Voto: 5,5