Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 21/11/2018 Qui - Seppur gli elementi alla base di Tangerines: Mandarini (Mandariinid), film del 2013, scritto, prodotto e diretto dal regista e sceneggiatore georgiano Zaza Urushadze, non siano né originali né innovativi, il regista riesce a firmare un film solido e stimolante, capace di tenere viva l'attenzione dello spettatore e abile nell'evitare la maggior parte delle trappole disseminate lungo la narrazione. Il regista ha infatti a disposizione un copione ambientato quasi totalmente in un'unica dimora, che tratta l'importanza della pace e cerca di sensibilizzare il pubblico sull'inutilità dei conflitti razziali prima ancora che bellici. Il rischio di scadere nella banalità o nei buoni sentimenti risulta potenzialmente assai elevato, ma l'opera persegue invece una strada più cruda e meno battuta, avvalendosi di dialoghi carichi di suspense e utilizzando al meglio l'elemento tensivo grazie a un montaggio calibrato e alla bravura degli attori protagonisti. Il film infatti, candidato dell'Estonia nella cinquina degli Oscar 2015 per il Miglior Film Straniero, ambientato in una piccola valle che si apre in una fertile zona collinare non lontana dal mar Nero nel 1991 (al culmine del conflitto tra la Georgia e la Repubblica separatista di Abcasia), che narra di due vecchi contadini estoni impegnati nella raccolta dei mandarini, due vecchi amici e vicini di casa, Ivo (Lembit Ulfsak) e Margus (Elmo Nüganen), che hanno scelto di rimanere, nonostante i rischi (tutti i coloni estoni dell'enclave, insediati in Abcasia ai tempi delle migrazioni forzate degli Zar o di Stalin, sono rientrati in patria, lontana quasi 3.000 chilometri, fuggendo dalle ostilità), poiché Margus desidera portare a termine il raccolto, Ivo invece non ha nessuna intenzione di abbandonare la casa in cui è vissuto e la terra alla quale è legato, che si ritroveranno in difficoltà quando due soldati feriti di opposti schieramenti verranno da loro curati, scatenando così uno scontro interno abbastanza acceso, scontro che subirà cambiamenti quando per forza di cose la convivenza obbligata, gli spazi ristretti, la necessità di dividere il poco cibo a disposizione, imporranno una tregua fra il rude ceceno e l'impulsivo georgiano (che si scopriranno somiglianti più di quanto credano, accomunati prima dall'odio che li anima e dall'intransigenza, poi dalle identiche sofferenze, per le ferite e per gli amici persi), anche se ha inevitabilmente l'impianto delle opere a tesi e non può non impolverarsi di velature buoniste (dopotutto è difficile proclamare la fratellanza universale senza cascare nel melismo moralista) rifugge ed evita sia la retorica pacifista che gli schematismi manichei, conservando una rude onestà che alla fine ci evita le stucchevolezze insopportabili della parabola umanista.
Determinanti sono la scelta della location austera (un'unità di luogo quasi da rappresentazione teatrale), il rigore della regia (sobria e contenuta, senza i virtuosismi barocchi della scuola americana) e la recitazione asciutta, quasi reticente, attenta a non guastare l'eloquenza dei lunghi silenzi, delle occhiate, dei movimenti impercettibili. Non è un caso difatti che Tangerines si schieri sul fronte del silenzio, delle poche parole ma buone, di sguardi decisi, di gesti impercettibili, e ci conduca in un angolo nascosto di una guerra dimenticata. Tangerines è per questo un piccolo film dal cuore grande, che sa essere intenso senza alzare mai la voce, catturandoci piano piano. Tangerines ha il suo punto di forza in una sceneggiatura nella quale nessuna parola è superflua o sprecata. Tutto è misurato, centellinato, come in un'economia di sussistenza, come il numero di quelle cassette che Ivo quotidianamente pialla e inchioda in vista della raccolta dei frutti. Il tempo, nella valle dei mandarini, è rallentato, e sembra momentaneamente sospeso: i mandarini brillano al sole e i quattro uomini vivono in una vita interrotta, si lasciano quasi imbozzolare da una fragile condizione provvisoria, restano lì in attesa che intrusioni esterne rompano gli equilibri, consapevoli di essere destinati a finire di nuovo ingoiati e maciullati dalla realtà. Un'inaspettata situazione di pericolo determinerà il crearsi di un'imprevedibile alleanza: i due antichi nemici si coalizzeranno per difendersi a vicenda (e per proteggere il vecchio Ivo) e di nuovo imbracceranno i mitra (non poteva essere altrimenti). E stranamente è proprio questa parte finale più accomodante e retorica, che stona notevolmente con quanto visto in precedenza a rovinare in parte l'opera, che in ogni caso ha il merito di far conoscere una storia di guerra sconosciuta ai più. Tuttavia nonostante questo limite, comunque, il progetto colpisce e sorprende grazie anche alla suggestiva colonna sonora. Non un capolavoro ma bel film. Voto: 6+