venerdì 14 giugno 2019

Entourage (2015)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/10/2018 Qui - Non conosco la serie tv omonima della HBO (di cui questo ne è l'adattamento e la sua continuazione) ma questo film è una commedia divertente, graffiante per certi versi, dinamica e condita con dialoghi spiritosi e ben scritti. Cast convincente, una marea di cameo, regia affidabile e ritmo narrativo che non cala mai, assicurando così una visione fluida e simpatica. Entourage infatti, film del 2015 diretto da Doug Ellin (che offre un divertente spaccato caricaturale di quello che è la vita di molte star del cinema), è un film leggero, uno di quei film da gustarsi senza troppi pensieri ma che ha dalla sua parte l'abilità di riuscire ad incastrare secondo dopo secondo un quantitativo di attori e volti noti di Hollywood davvero impressionante. Il film difatti, che narra le vicende di Vincent Chase e del suo Entourage alle prese con un nuovo film in cui Vinny sarà, oltre che protagonista, anche regista, attraverso una confezione patinata e scintillante, un ritmo dinamico e un intreccio semplice e brillante, racconta efficacemente il mondo di Hollywood, futile e votato all'eccesso (tra sesso, capricci, alcol, droga e musica disco). Non sorprende in tal senso che la regia opulenta e frenetica di Doug Ellin (al cinema con Amore tra le righe e alla tv con la regia della serie), sia metafora della routine di chi succhia fino all'ultimo sorso e senza vergogna il fantomatico sogno americano, e che la suddetta piccante commedia sia soprattutto (attraverso la sdrammatizzazione dello stress della vita quotidiana e della routine hollywoodianauna critica al sistema e al mondo del cinema che si auto-cita e parla di sé in prima persona. Teatro delle peripezie del chiassoso gruppo di protagonisti è infatti un promiscuo e incurante microcosmo fatto di feste da sballo in ville napoleoniche, in cui un'auto da sogno è un piccolo presente e tutto è apparentemente lecito. Una realtà talmente distante da quella di chi guarda solletica sicuramente il voyeurismo spettatoriale, suscitando al contempo incredulità, coinvolgimento e un pizzico d'invidia. L'approccio immersivo della regia, a tal proposito, fa sì che il pubblico si lasci contagiare volentieri dalla spensierata superficialità con cui Vince e compari vivono l'attimo e (non) affrontano le sfide, spesso grottesche, cui la narrazione li sottoporrà (e che porterà il gruppo dove mai si sarebbe mai aspettato finisse).
Infatti la peculiare e accattivante caratteristica di Entourage risiede proprio nella capacità di ritrarre un ambiente tanto spropositato quanto verosimile. Contribuisce a perseguire con vivida efficacia questo risultato anche la consistente presenza di camei di veri protagonisti dello show business. Si va dalle fugaci ed esilaranti apparizioni di Mark Whalberg (produttore del film e della serie) e Liam Neeson, di Pharrell Williams e Piers Morgan, di Gary Busey e Armie Hammer, alle vulcaniche incursioni delle bellissime ma peperine Jessica Alba e Emily Ratajkowski (non dimenticando Nina Agdal e Cynthia Kirchner). Un espediente di questo tipo accresce le potenzialità della pellicola tanto dal punto di vista umoristico che, come si accennava poco sopra, da quello diegetico, il quale guadagna in autenticità e freschezza. In conclusione, si può affermare che la trasposizione di Entourage in lungometraggio sia un esperimento in linea di massima riuscito (tuttavia i problemi ci sono, dall'intemperante politically correct all'atmosfera ancora troppo televisiva), in grado di offrire un intrattenimento senza pretese ma piacevole anche a chi non ha seguito la serie. È la soluzione ideale per chiunque voglia trascorrere 105 minuti all'insegna del disimpegno e godersi un'avventura hollywoodiana così assurda da risultare credibile. Il merito va in grande parte anche alle inarrestabili interpretazioni (tra gli altri) di Jeremy Piven e Kevin Dillon che, sebbene sopra le righe, si lasciano ricordare e apprezzare maggiormente dei protagonisti principali. Questi ultimi (da Billy Bob Thornton a Haley Joel Osment), sebbene non esenti da un abbozzo di background, non si allontanano mai davvero dal proprio status di caratteri o stereotipi. E tuttavia, seppur in verità l'umorismo resta tiepido e, sebbene il ritmo scorra piuttosto fluido, forse sarebbe stato meglio non ingarbugliare eccessivamente una trama che comunque non offre grandi colpi di scena e lasciar finire il film nell'arco dei salutari 90 minuti oltre i quali, per superarli, bisogna avere molto da dire, ma alla fine ci si può ritener soddisfatti (soprattutto noi maschietti) del minimo indispensabile per raggiungere la sufficienza. Voto: 6