Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 21/11/2018 Qui - Un cinema geriatrico (anche troppo) quello che trapela da 45 anni (45 Years), film del 2015 scritto e diretto da Andrew Haigh, regista dell'inedito Weekend, che qui opera una decostruzione chirurgica, minimale e dolorosa di una coppia che scopre, dopo 45 anni di matrimonio, fantasmi più reali del reale che hanno sempre dormito con loro. Un tipo di cinema che è stato più volte proposto nella prima decade del nuovo millennio (si pensi a Nebraska di Alexander Payne o ad Amour di Michael Haneke, per fare i due più lampanti esempi) e che ha dimostrato di saper funzionare senza fastidiosi intoppi. 45 anni però si carica più di tanti altri film di anzianità (ma non dei disagi che da essa derivano) e non solo di significativi dialoghi ma anche (e soprattutto) di non-dialoghi, di un non-detto implicitamente velato dietro gli sguardi eloquenti di un'anziana coppia inglese che sta per celebrare i quarantacinque anni di matrimonio. Il caso vuole che una lettera, pochi giorni prima dei festeggiamenti, riveli il ritrovamento nei ghiacci svizzeri di una vecchia fiamma di Geoff, conosciuta anni addietro, mettendo in difficoltà la relazione con la moglie Kate. Ecco il dramma che connota il film, lentamente diluito nell'arco di novantacinque minuti che sembrano un'eternità. La vicenda si concentra esclusivamente su questi due vetusti individui, senza permettere che nessun altro soggetto entri nel palcoscenico. Ma è tutto così lento, come se l'azione (se così si può chiamare) non esplodesse mai ma rimanesse sempre intrappolata all'interno dell'incedere degli onnipresenti dialoghi che paiono inghiottire ogni tentativo del film di movimento (le stesse riprese prediligono insistenti e fissi primi piani, focalizzandosi sull'espressione facciale degli attori), così come ogni tentativo di Kate di far uscire la rabbia che cova dentro.
Finanche nell'ultima inquadratura si assiste ad una mancata esplosione di ira dell'anziana donna, un primo piano che è chiave di lettura dell'intera opera: Kate ha vissuto ben quarantacinque anni di matrimonio sotto il peso di una finzione del marito bella e buona (il rapporto con la sua prima fidanzata era stato soltanto accennato sino all'arrivo dell'inaspettata lettera). E nel giorno che dovrebbe suggellare un'unione fondata sulla trasparenza di affetti Kate resta in bilico tra un sincero amore verso il marito e il furore che prova verso il suo ipocrita comportamento. Se non fosse stato per la troppa lungaggine, o per la staticità che impedisce ad un embrionale pathos di esplodere, 45 anni avrebbe senz'altro potuto stupire, ma ci dobbiamo accontentare di un risultato appena passabile. Giacché il film di elegante fattura è perfetto nel suo registro estetico, purtroppo il lavoro però, seppur animato da tante buone intenzioni nulla aggiunge al dibattito risultando, pertanto, eccessivamente autoreferenziale. Anche se impreziosito dalla prova d'attore davvero straordinaria di Charlotte Rampling e Tom Courtenay (che hanno vinto l'Orso d'argento per la migliore interpretazione femminile e maschile al Festival di Berlino 2015, inoltre la Rampling ha anche ricevuto una candidatura come Miglior attrice protagonista agli Oscar del 2016, premio andato meritatamente poi a Brie Larson), il prodotto finale risulta infatti troppo "preconfezionato". Per nulla ispirato, non emoziona, mai. Voto: 5,5