Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 28/01/2019 Qui - Si è sempre detto, anzi, è sempre stato così, che la guerra non risparmia niente e nessuno, né i bambini, né i vecchi, né i più deboli in generale, ora si scopre anche che, a soffrire dai crimini perpetrati dai nazisti (in tempo di guerra) ci son stati gli animali, oltre ovviamente a milioni di ebrei. Non a caso, tratto da una storia vera, La Signora dello Zoo di Varsavia (The Zookeeper's Wife), film del 2017 diretto da Niki Caro, racconta uno dei tanti episodi avvenuti nel corso della Seconda Guerra Mondiale legati alla persecuzione del popolo ebreo, solo che insieme a loro il film ci rende partecipi di una storia (sicuramente romanzata ma comunque molto interessante ai fini storici perché innanzitutto, fa conoscere una delle pagine terribili ed ancora poco conosciute del conflitto mondiale) che è un racconto di eroismo civile in tempo di guerra, e insieme una dichiarazione d'amore per la natura e gli animali. Il film infatti, un film che, pur aderendo alle principali caratteristiche dei numerosi lungometraggi sull'Olocausto ebreo, veicola un messaggio di speranza per la redenzione dell'umanità, che diventa possibile anche nelle situazioni più estreme, un film ispirato alla storia vera di Antonina Żabińska e di suo marito e soprattutto al romanzo Gli ebrei dello zoo di Varsavia di Diane Ackerman (che ha svelato al mondo il coraggio di questa coppia, inserita a ragione nel giardino dei Giusti dello Yad Vashem di Gerusalemme), si concentra sulle atrocità compiute dai nazisti e sul coraggio della protagonista e della sua famiglia di ribellarsi, mettendo in pericolo la loro stessa vita, per salvare non solo il loro piccolo Zoo ma anche centinaia di ebrei. I due difatti, proprietari dello zoo di Varsavia vedono le loro vite e la loro attività cambiare drasticamente durante l'invasione nazista. Lo zoo viene distrutto, la maggior parte dei bellissimi animali viene ucciso e successivamente anche i pochi superstiti abbattuti. La famiglia inoltre vede quel luogo verde e accogliente diventare una postazione per i militari tedeschi e allora decidono di escogitare un piano per aiutare le famiglie ebraiche che da lì a poco inizieranno ad essere brutalmente perseguitate. In pieno spirito di solidarietà i due decidono di adibire la parte sotterranea dello zoo a rifugio per alcune famiglie ebraiche, riuscendo così a salvarli dal ghetto e dalla persecuzione. Inizialmente solo poche decine di persone, amici di famiglia ma poi intere famiglie, spesso con bambini piccoli, riuscirono a salvarsi dalla furia nazista trovando rifugio nello zoo.
Quasi 300 persone furono ospitate dai Zabinski e tutte riuscirono a sopravvivere. Il film dunque (che punta molto sullo slittamento del concetto di salvaguardia delle specie nello zoo animale, che diventa salvaguardia della specie nella sua totalità in una sorta di zoo umano creato e organizzato meticolosamente dai due coniugi proprio sotto il naso delle truppe naziste che occupavano i loro spazi) mette in scena questa straordinaria storia di coraggio e tenacia e si concentra maggiormente sul personaggio di Nina, che viene incarnata da una meravigliosa e sempre più impegnata Jessica Chastain, essendo il libro basato sul diario della donna. Antonina è raffigurata come una persona gentile e dolce ma coraggiosa e determinata, tanto con gli animali dei quali si prende cura personalmente, quanto con le persone. E' infatti colei che non solo incoraggia il marito a dare una mano ai loro concittadini di origine ebraica durante il periodo più nero dell'occupazione tedesca ma riesce a tenere sotto controllo Lutz Heck, ex amico della coppia ma anche generale nazista e biologo che prende sotto controllo il posto immediatamente dopo l'occupazione. Nel ruolo di quest'ultimo troviamo un sempre bravo Daniel Bruhl che recentemente si dedica con successo a ruoli da villain, ambigui e oscuri. Ma qui fortunatamente il suo personaggio non è completamente stereotipato e il finale riesce a riabilitarlo. Il film funziona, ha ritmo (esso infatti procede nel thrilling creato dalle visite di Jan al ghetto per raccogliere l'immondizia, e non solo, con cui sfamare i suoi maiali, e le visite allo zoo di Lutz Heck, sempre più ambiguo nei suoi intenti e deviato nelle sue ideologie), girato indubbiamente bene, arricchito da una fotografia raffinata (una fotografia che non vita mai su tonalità cupe ma anzi ci regala sequenze luminose e brillanti quasi a ricordare il carattere positivo della storia) e da un piano visivo incredibilmente ben riuscito, che mantiene altissima la tensione e ci parla in modo molto più empatico dei drammi vissuti dai protagonisti, vivificati da sequenze pregne di paura e sofferenza (dopotutto non mancano momenti di spiccata drammaticità e ferocia, come il bombardamento del parco e la distruzione del Ghetto o la brutale esecuzione di due donne ebraiche messe in salvo dagli Zabinski), ma è fin troppo classico e piatto.
La vicenda è sì ricreata in maniera rigorosa e pulita nel suo sviluppo, molto belle anche le ricostruzioni, la scenografia del posto, e ovviamente lo zoo dove si svolge il 90% della pellicola, ma è la solita pellicola dal taglio americano che ci aspettiamo di vedere. Il film infatti si bea di una forma narrativa che ricalca un canovaccio ormai un po' usurato nel tempo, tra produzioni americane ed europee che negli anni hanno trattato il tema dell'olocausto. In tal senso di questa storia vera, legata allo zoo, fino all'uscita del romanzo della scrittrice non si sapeva quasi nulla e quindi per questo è certamente un film che vale la pena di vedere comunque, però rispetto a ciò che avrebbe potuto essere a livello di tematica e fattura, pecca davvero di originalità (e senza particolari accenti). Forse la regista, che aveva per le mani una grossa produzione, ha preferito restare sul classico, costruendo qualcosa di buono senza sbilanciarsi troppo, ma il soggetto era talmente potente, di per sé, che dal mio punto di vista meritava molto di più, in termini di studio ed approfondimento di una formula narrativa più ricercata. Ad ogni modo, la regista prosegue nel suo importante tentativo di portare sotto ai riflettori storie di vera comunità: cosa che, data la sua innegabile professionalità, può certamente fare tramite visioni più innovative ed audaci (tra i suoi lavori figurano La ragazza delle balene, North Country: Storia di Josey e McFarland, USA). Gli attori sono tutti convincenti (anche Johan Heldenbergh e Michael McElhatton tra il cast principale, ma pure Shira Haas, con il suo volto elegante e interessante, nei panni di Urzula) e Jessica Chastain (sempre più a suo agio nell'incredibile trasformismo a cui ci ha abituati) è perfetta per la parte, oltre che davvero molto brava, anche se quest'ultima viene un po' svilita da dei dialoghi che danno un senso di déjà-vu, anche un po' retorico e sentimentale, che finiscono per rendere a volte i personaggi (alcuni di questi) prevedibili nei comportamenti e quasi bidimensionali nei caratteri, e come se non bastasse il doppiaggio è purtroppo orrendo, come spesso accade, e penalizza tantissimo la sua interpretazione.
E tuttavia, al di là di alcuni pur significativi difetti, l'adattamento della Caro resta ben riuscito soprattutto nella volontà di comunicare il valore di un messaggio di speranza, umanità e condivisione che coraggiosamente non scende a patti con la mostruosità dei regimi politici, ma che obbedisce solo alle dinamiche del proprio cuore. Perché sì, peccato che la sceneggiatura, in alcuni punti, rischi la superficialità, sarebbe stato interessante, infatti, trattare più a fondo il rapporto di attrazione e potere che si instaura tra Heck e Antonina, peccato anche che il valore etico della storia raccontata non sia accompagnato da una piena riuscita cinematografica, nel film infatti il contrasto fra la quiete della natura e la brutalità dell'invasore, da un inedito e promettente punto di vista come quello di uno zoo cittadino, viene banalizzato da una sceneggiatura un po' piatta e prevedibile, ancorata a una retorica mielosa e scene madri, sceneggiatura che cerca di raccontare tutto, senza approfondire a sufficienza niente, perdendo di vista opportunità molto ghiotte, ma in definitiva, si tratta comunque di una storia straordinariamente positiva e a lieto fine che riesce a ristabilire un senso di fiducia nell'umanità e a ricordarci che anche in uno dei periodo storici più bui la solidarietà e la compassione non si esaurirono, ma anzi, trovarono terreno fertile da coltivare. In questo caso molte famiglie riuscirono a salvarsi grazie alle gesta di Antonina e Jan, mentre grazie alle note sul diario di lei, successivamente adattate in libro, ora anche noi possiamo diventare partecipi di quel coraggioso progetto umanitario. La Signora dello Zoo di Varsavia infatti, un bel film, che non si fa pesare le sue due ore di durata, che riesce a creare empatia con i protagonisti trattando la storia con rispetto e dignità senza scadere nel banale melodramma, nonostante i problemi rimane comunque e certamente un film con diversi punti di forza (alcune scene funzionano molto bene e suscitano tante emozioni differenti), primo fra tutti quello di promulgare la storia di Jan, di Antonina, e di tutti coloro che li hanno aiutati in questa straordinaria e a dir poco ammirevole impresa. Come già detto, aspettatevi insomma una storia molto interessante, ma una forma piuttosto canonica (e non a livello di altri simili), che tuttavia non inficia il valore del film (ben riprodotto dal punto di vista dei costumi dell'epoca), un film godibile e scorrevole (ben interpretato), e con un messaggio speranzoso di fondo e nobili intenzioni, un film sicuramente consigliabile, sia come sguardo sul passato, sia come invito a riflettere sulle pagine oscure della crudele umanità, ma non privo di una certa speranza. Voto: 6,5
La vicenda è sì ricreata in maniera rigorosa e pulita nel suo sviluppo, molto belle anche le ricostruzioni, la scenografia del posto, e ovviamente lo zoo dove si svolge il 90% della pellicola, ma è la solita pellicola dal taglio americano che ci aspettiamo di vedere. Il film infatti si bea di una forma narrativa che ricalca un canovaccio ormai un po' usurato nel tempo, tra produzioni americane ed europee che negli anni hanno trattato il tema dell'olocausto. In tal senso di questa storia vera, legata allo zoo, fino all'uscita del romanzo della scrittrice non si sapeva quasi nulla e quindi per questo è certamente un film che vale la pena di vedere comunque, però rispetto a ciò che avrebbe potuto essere a livello di tematica e fattura, pecca davvero di originalità (e senza particolari accenti). Forse la regista, che aveva per le mani una grossa produzione, ha preferito restare sul classico, costruendo qualcosa di buono senza sbilanciarsi troppo, ma il soggetto era talmente potente, di per sé, che dal mio punto di vista meritava molto di più, in termini di studio ed approfondimento di una formula narrativa più ricercata. Ad ogni modo, la regista prosegue nel suo importante tentativo di portare sotto ai riflettori storie di vera comunità: cosa che, data la sua innegabile professionalità, può certamente fare tramite visioni più innovative ed audaci (tra i suoi lavori figurano La ragazza delle balene, North Country: Storia di Josey e McFarland, USA). Gli attori sono tutti convincenti (anche Johan Heldenbergh e Michael McElhatton tra il cast principale, ma pure Shira Haas, con il suo volto elegante e interessante, nei panni di Urzula) e Jessica Chastain (sempre più a suo agio nell'incredibile trasformismo a cui ci ha abituati) è perfetta per la parte, oltre che davvero molto brava, anche se quest'ultima viene un po' svilita da dei dialoghi che danno un senso di déjà-vu, anche un po' retorico e sentimentale, che finiscono per rendere a volte i personaggi (alcuni di questi) prevedibili nei comportamenti e quasi bidimensionali nei caratteri, e come se non bastasse il doppiaggio è purtroppo orrendo, come spesso accade, e penalizza tantissimo la sua interpretazione.
E tuttavia, al di là di alcuni pur significativi difetti, l'adattamento della Caro resta ben riuscito soprattutto nella volontà di comunicare il valore di un messaggio di speranza, umanità e condivisione che coraggiosamente non scende a patti con la mostruosità dei regimi politici, ma che obbedisce solo alle dinamiche del proprio cuore. Perché sì, peccato che la sceneggiatura, in alcuni punti, rischi la superficialità, sarebbe stato interessante, infatti, trattare più a fondo il rapporto di attrazione e potere che si instaura tra Heck e Antonina, peccato anche che il valore etico della storia raccontata non sia accompagnato da una piena riuscita cinematografica, nel film infatti il contrasto fra la quiete della natura e la brutalità dell'invasore, da un inedito e promettente punto di vista come quello di uno zoo cittadino, viene banalizzato da una sceneggiatura un po' piatta e prevedibile, ancorata a una retorica mielosa e scene madri, sceneggiatura che cerca di raccontare tutto, senza approfondire a sufficienza niente, perdendo di vista opportunità molto ghiotte, ma in definitiva, si tratta comunque di una storia straordinariamente positiva e a lieto fine che riesce a ristabilire un senso di fiducia nell'umanità e a ricordarci che anche in uno dei periodo storici più bui la solidarietà e la compassione non si esaurirono, ma anzi, trovarono terreno fertile da coltivare. In questo caso molte famiglie riuscirono a salvarsi grazie alle gesta di Antonina e Jan, mentre grazie alle note sul diario di lei, successivamente adattate in libro, ora anche noi possiamo diventare partecipi di quel coraggioso progetto umanitario. La Signora dello Zoo di Varsavia infatti, un bel film, che non si fa pesare le sue due ore di durata, che riesce a creare empatia con i protagonisti trattando la storia con rispetto e dignità senza scadere nel banale melodramma, nonostante i problemi rimane comunque e certamente un film con diversi punti di forza (alcune scene funzionano molto bene e suscitano tante emozioni differenti), primo fra tutti quello di promulgare la storia di Jan, di Antonina, e di tutti coloro che li hanno aiutati in questa straordinaria e a dir poco ammirevole impresa. Come già detto, aspettatevi insomma una storia molto interessante, ma una forma piuttosto canonica (e non a livello di altri simili), che tuttavia non inficia il valore del film (ben riprodotto dal punto di vista dei costumi dell'epoca), un film godibile e scorrevole (ben interpretato), e con un messaggio speranzoso di fondo e nobili intenzioni, un film sicuramente consigliabile, sia come sguardo sul passato, sia come invito a riflettere sulle pagine oscure della crudele umanità, ma non privo di una certa speranza. Voto: 6,5