sabato 15 giugno 2019

The Square (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 12/11/2018 Qui - Film eccessivamente lungo e dilatato, dotato di originalità di stile e di racconto ma nel complesso freddo e compiaciuto della sua caratura intellettuale, The Square (Palma d'oro a Cannes 2017) conferma la forza provocatoria dello svedese Ruben Östlund, che già si fece apprezzare con il precedente, durissimo Forza Maggiore. Anche in questo caso infatti, egli torna a lavorare sul rapporto causa-effetto e sulle conseguenze imprevedibili che un evento apparentemente innocuo potrebbe scatenare, come svelare per esempio la spiazzante personalità del protagonista (anche se qui al contrario del suo precedente lavoro, le cose sono molto più complicate, per i tanti elementi e personaggi in campo, e il caos che ne deriva è proporzionale, in un quadro allarmante di vita contemporanea ansiogena e prossima a una quieta follia generalizzata), ma lo fa purtroppo con un film ostico e privo di baricentro, che costituisce una sfida costante per lo spettatore, continuamente destabilizzato dalla varietà dei registri toccati e dalla tendenza a veicolare il racconto tramite macrosequenze apparentemente slegate tra loro. Un'opera che cerca di porsi essa stessa, in maniera per certi versi coraggiosa, come una installazione artistica, riflettendo, spesso con una buona dose di narcisismo, sul confine che separa la provocazione dall'arte concettuale, non a caso The Square è l'opera di un cinema intelligente ma tuttavia poco coinvolgente, angosciante e molto compiaciuto di sé, elitario come l'arte su cui ironizza (tra creativi con idee balzane e inutilmente provocatorie), peccato che proprio per ciò che The Square è un oggetto (personalmente) impalpabile, decisamente discutibile seppur ipnotico e affascinante. Un azzardo cinematografico sbilanciato anche nel ricorso al grottesco, in molte sequenze fine a se stesso, e appesantito da una estenuante dilatazione narrativa. Un film insomma che è possibile respingere in toto dal punto di vista teorico, anche se forte di un approccio originale che non può lasciare indifferenti. Il talento del regista si vede, ma nel complesso il film rimane una mezza occasione sprecata. In tal senso generosa la Palma d'oro al Festival di Cannes 2017 e altrettanto generosa la candidatura all'Oscar 2018 come miglior film straniero (che poi è l'unico motivo per cui ho visto il film, altrimenti ben sapendo di come spesso i film che escono dal suddetto Festival sono abbastanza discutibili, per non dire altro, non l'avrei probabilmente e quasi certamente visto).
Il regista è molto ambizioso, infatti si cimenta nella scrittura di un'opera pretenziosa e decisamente "contro" in cui usa un linguaggio grottesco, in modo esagerato e perfino a tratti irritante. Un film che spiazza di continuo lo spettatore, disseminato di situazioni surreali: Gorilla che entrano in casa, l'uomo con la sindrome di Tourette che interrompe, con i suoi irrefrenabili insulti, il dibattito con l'artista, l'esibizione estrema dell'uomo "scimmia" alla cena di gala, la donna con la quale il protagonista "giace", che pretende il suo preservativo usato e ossessivamente gli si presenta chiedendogli conto del suo comportamento, o il bambino che pretende le scuse, con un'ostinazione devastante, e fuori il mondo degli "homeless", i sacchetti pieni della spazzatura, insomma un bel campionario di stranezze inquietanti. Ed ecco perché nella sua ostentazione dell'assurdo, Östlund, che mira in alto, protraendo le scene in modo molesto, allo scopo di mettere alla berlina la società e l'arte contemporanea che ne è il frutto, lasci perplesso il suo pubblico (o almeno una parte). Difatti il film, che racconta di un brillante, colto, ancora giovane, elegante, bello e di successo curatore (Christian) di un museo di arte contemporanea di Stoccolma che prepara una mostra di grande impatto e provocatoria, dalle grandi ambizioni intellettuali e con l'obiettivo di sollevare discussioni sul mondo e sulla società (al suo interno, l'installazione The Square: un semplice quadrato, dentro al quale tutti hanno gli stessi diritti e doveri, "un santuario di fiducia e di amore" secondo il suo slogan) che si ritrova in grande difficoltà dopo uno strano incidente, il furto del cellulare e del portafoglio segnano infatti un punto di rottura, perché da quel momento niente sarà più come prima, tra la sua reazione scomposta (aizzata da un collaboratore, che tira il sasso e ritira la mano) che genererà conseguenze pericolose per sé e per gli altri, due figlie che vede poco (è divorziato) e che non sa come "gestire", l'avventura con una giornalista assatanata che poi non gli dà tregua (e svela la sua meschinità), due creativi assoldati per far parlare della mostra che cercano il facile scandalo con un video choc e altri personaggi sopra le righe, mediocri o irresponsabili, ponendosi obiettivi ambiziosi, una satira corrosiva sul mondo dell'arte contemporanea, una riflessione sulla mancanza di solidarietà delle società urbane moderne e della classe borghese che le attraversa, un surrealismo scatologico ammantato da riflessione colta, li fallisce tutti, uno dopo l'altro.
Giacché The Square, un film interminabile, pur riuscendo a divertire il pubblico in una prima ora brillante per poi disperdere improvvisamente tutto il capitale emotivo ed intellettuale accumulato, attraverso sequenze elefantiache, interminabili, non conseguenti, sfiori il disastro. Tanto che il film sembri prendere il posto del 2017 che fu di Vi presento Toni Erdmann di Maren Ade, la commedia dall'umorismo discutibile e dal montaggio inesistente, che proprio non mi convinse. Perché certo, l'arguzia e il sarcasmo non mancano al regista, dopotutto il protagonista Christian (comunque ben interpretato da Claes Bang, un attore protagonista che ha la propria forza interpretativa nella mimica facciale e corporea) è ben caratterizzato nel suo egoismo e nella sua presuntuosa superficialità che crea disastri a catena, quasi summa di una classe intellettuale che ha perso ogni contatto con la realtà ma della realtà straparla in modo strumentale (davvero acuminata in questo senso la rappresentazione di cosa ci sta dietro la mostra in preparazione o certe installazioni e le caricaturali ambizioni di creatori e allestitori), perché certo, la prima parte, come già detto sopra, è (quasi) da applausi, l'X Royal Museum, museo dedicato all'arte contemporanea, orchestra personali e campagne di presentazione delle stesse che si cerca di propagandare attraverso tutto l'armamentario "social" e non solo, raggiungendo risultati spesso parossistici, dopotutto la nuova installazione, "The Square" appunto, è fondata sul concetto di confidenza e altruismo, mentre intorno al museo nessuno da retta a nessuno, tutti sono avviluppati dal proprio frenetico percorso di vita, tanto che una semplice intimidazione verso un malintenzionato porta a scatti d'adrenalina che hanno più reminiscenze bestiali che solidarietà umana, perché certo, singoli frammenti dell'opera possono divertire (il comico incidente all'installazione con i mucchi di ghiaia e l'ineffabile soluzione del curatore) e fanno pensare a un nuovo regista di notevole spessore nel panorama europeo, che usa con originalità e inventiva immagini a effetto e suoni dissonanti, ma il gioco alla lunga stanca e gratifica più la critica di un pubblico pur ben disposto.
Come se non bastasse il gioco di contrasti tra mondo dell'arte, della classe e dell'eleganza e ambienti poveri e disperati è più frutto di un disegno e di uno schematismo che di un'urgenza comunicativa. E il sospetto che faceva (seppur minimamente) capolino in Forza maggiore dell'ennesimo autore sadicamente punitivo verso i suoi personaggi (e verso lo spettatore: qui le situazioni sgradevoli o insensate si accumulano), si rafforza a fine proiezione. Perché dopo un inizio ammirevole, e dopo che si è dispiegata una satira multilivello imperniata intorno ad un personaggio, Christian, snob e simpatico al contempo, ad un certo punto, in una singola scena, avviene il "clic" e da lì in poi sarà un baratro di cui non si vede il fondo. Christian passa una notte di sesso occasionale con una ragazza, interpretata da Elisabeth Moss, una scimmia entra in scena durante l'amplesso, vediamo il rapporto sessuale attraverso una soggettiva completamente insensata e stilisticamente immotivata, ed è come se si passasse immediatamente sul lato oscuro della luna. Tutto quello che accadrà poi può essere preso come un manuale (deteriore) di estetica del frammento fine a se stessa. Alcune sequenze sono anche riuscite (come la lunghissima esibizione dell'uomo/scimmia) ma è proprio il collante tra le stesse a mancare totalmente. Il film diventa così ripetitivo, slabbrato, gira intorno a se stesso continuamente, e davvero non si vede l'ora che arrivi la fine, che invece tarda incredibilmente ad arrivare, per poi troncare violentemente sul nero. Il voto è severo per la grande occasione persa, per le aspettative disseminate invano, per la lunghezza estenuante. E tuttavia vi potreste anche divertirvi molto, in tal senso la visione non è mai sconsigliata, soprattutto quando si tratta di un film che partecipa ad un Concorso importante (tranne rari casi). Certo è che Ruben Östlund, per riconquistare la fiducia dello spettatore (io personalmente), dovrà faticare non poco, giacché in definitiva The Square (in cui abbastanza inutile è la presenza di Dominic West) è un oggetto filmico inclassificabile e indimenticabile, ma in negativo, poiché rimarrà incastrato nella sinapsi per tanto tempo, così come rimarrà la sensazione di fastidio montata durante tutta l'ultima ora, ora od alcuni momenti in cui l'irritazione per la ridondanza dei concetti spegne davvero la capacità di raziocinio, tanto che si ha la sensazione che se questa voleva essere una prova per metterci a contatto con la nostra animalità, è riuscita perfettamente. Voto: 4,5