mercoledì 8 maggio 2019

Il tuttofare (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 15/11/2018 Qui - Dopo qualche sceneggiatura (la più rilevante è quella di Smetto quando voglio, di Sydney Sibilia, 2014) e alcune regie di cortometraggi, ecco il debutto nel lungometraggio per Valerio Attanasio, un lungometraggio, Il tuttofare (film del 2018), ambizioso, un tentativo di raccontare in chiave di satira sociale certi aspetti distorti dell'Italia contemporanea, dalla tremenda difficoltà dell'inserimento lavorativo per i giovani fino alla corruzione che permea incontrastata gli alti piani del potere. In alcuni momenti il lavoro risulta assolutamente azzeccato, altrove invece è risaputo, tutt'altro che inventivo e quindi poco convincente. Giacché la vocina fuori campo del protagonista, le blande strizzate d'occhio allo spettatore (e non solo), tolgono originalità e rendono un po' meccanico il tutto, soprattutto a ridosso del finale, quando entra in scena il consueto ricorso fumettistico alla mafia. Perché certo, Sergio Castellitto è quasi perfetto, come altre volte, nella parte del gaglioffo in fondo simpatico, nella parte di un uomo che ciancia di merito ma porta avanti le peggio pratiche clientelari (offre favori e ne chiede di continuo), sfruttando giovani disperati alla sua mercé (tra questi un giovane avvocato di nome Antonio che sarà costretto addirittura a sposarsi) e distribuendo a caso promozioni o bocciature agli esami, anzi, se non ci fosse stato il film avrebbe perso molto (praticamente si regge grazie a lui, lui che sembri, e bene ricalcare, le orme dei grandi attori della grande commedia all'italiana), ma questo accentramento attoriale mette in cattiva "luce" tutti gli altri protagonisti, su tutti Guglielmo Poggi, che seppur funzionale e azzeccato nel ruolo del coprotagonista non viene aiutato dalla sceneggiatura pienissima di parole più che di battute folgoranti, e queste, quasi sempre affidate ai big, Castellitto ed Elena Sofia Ricci nella parte della moglie (molto brava ed efficace) che insomma non danno spazio (tra l'altro debolissimi) ai comprimari (tra questi la sensuale Clara Alonso) di aggiungere qualcosa ad una storia già debole di sua.
Fra le pecche principali c'è infatti la storia, che dopo una prima parte con alcuni spunti gustosi prosegue affastellata di siparietti male abbozzati e colpi di scena sempre meno credibili, che portano il povero Antonio sempre più nei guai, fino al quasi finale già anticipato nell'incipit. Il tuttofare poteva inserirsi in quel filone di commedie sul precariato, da Generazione mille euro al già citato Smetto quando voglio (che ne è sicuramente l'esempio migliore per i temi affrontati), con varianti interessanti sul cinismo dei "baroni" e delle classi privilegiate, invece, il regista debuttante punta così tanto su stranezze, episodi sopra le righe e gag tanto scatenate quanto sempre meno divertenti e, appunto, credibili con il passare dei minuti, da far perdere ogni equilibrio possibile al film. A quel punto può succedere di tutto, non gli si crede più e difatti certi colpi di scena, non ingannano nessuno. Davvero un peccato quindi, un'altra occasione persa per far ridere (anche di più di quanto non avvenga qui, davvero poco nella seconda parte del film) e anche "castigare i costumi". Come appunto riusciva a fare, benissimo, il primo Smetto quando voglio che si deve anche alla penna dello stesso Valerio Attanasio. In tal senso e per questo un po' di indulgenza se la conquista giusto perché è all'esordio, e perché le doti di scrittura comunque le ha e tutto sommato anche di regia (sperando però le usi meglio nelle prossime occasioni), e in verità siccome brutto questo film non è, anche se qualcosa in più doveva e poteva tranquillamente esserci, la bocciatura non c'è. Voto: 5,5