Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 07/11/2018 Qui - Non è così scontato, per un franchise horror (forse più thriller), ma anche per tutta la serialità cinematografica (quest'anno è capitato solo per l'eccezionale capitolo finale del reboot de Il pianeta delle scimmie, ovvero The War), andare in crescendo. La trilogia di La notte del giudizio ce l'ha fatta, lavorando su più livelli di rappresentazione del concept e della violenza. È cominciato tutto con un home invasion piuttosto classico ma non eccezionale, eppure sufficientemente realizzato, teso e agghiacciante quanto bastava per continuare con un sequel, Anarchia, di più ampio respiro, che spostasse l'azione sulle strade (togliendo ai protagonisti qualsiasi punto di riferimento) e cominciasse a svelare il sistema alla base del provvedimento governativo che per 12 ore all'anno consente a chiunque di commettere ogni tipo di crimine. Sistema in cui ora l'ultimo episodio, Election Year (The Purge: Election Year), si addentra in profondità, rivelandosi come il capitolo (del 2016) dal più spesso sotto-testo politico, il capitolo più angosciante e insomma più riuscito. Una crescita progressiva che ha preso in prestito le selvagge pulsioni di Arancia meccanica, la spettacolarizzazione della morte di Hunger Games e la follia urbana dei Guerrieri della notte, mischiandoli in un franchise intrigante e originale, che ha saputo costruire in tre anni una propria identità narrativa ed estetica. James DeMonaco, il regista di tutti e tre i film, in Election Year propone una violenza ancora più grafica e disturbante (il massacro famigliare che apre il film non si digerisce facilmente), con al centro la caccia al governatore donna (una convincente Elizabeth Mitchell) che aspira a cancellare per sempre lo Sfogo. Fortuna che al suo fianco c'è Frank Grillo, giustiziere in cerca di vendetta in Anarchia e ora granitica guardia del corpo. La fuga li porta a incrociare la strada con altri personaggi e il film, come da tradizione, si trasforma in un survival di gruppo che culmina in una delirante cerimonia in chiesa organizzata dalle alte sfere dietro lo Sfogo, mai come ora simbolo di una religione della distruzione volta a salvaguardare gli interessi, e soprattutto le finanze, delle classi più ricche a discapito dei più poveri (da chi fatica a conservare la sua attività ai tossici e senza tetto).
In tal senso, poiché questo terzo capitolo altro non è che una riflessione (inevitabile, aggiungerei) sul futuro incerto dell'umanità, con la quale risulta impossibile non cadere nello sconforto (Dio benedica l'America, ma maledica i folli americani e il loro ancor più folle idealismo), intelligente è la provocazione del regista (che giunge discretamente alla conclusione del proprio pensiero), che riesce a trasformare il futuro distopico ma apparentemente isolato del primo film, in uno scenario allarmistico che vorrebbe suonare come una grossa sveglia per tutti (America in primis). Infatti al netto di qualche momento retorico e di figure poco sfumate c'è da dire che il contesto sociale distopico è molto azzeccato, con inquietanti riferimenti all'attuale momento politico. Non manca qualche moralismo spiccio ma si può sorvolare. L'intuizione della cattedrale poi è notevole, eletta come luogo di mattanza in cui si concentra l'apice massimo di un'ipocrisia e di un bigottismo che travalica ogni minima logica. Non a caso (come detto) nel film, film che si si snoda attraverso una serie di scontri e momenti di riflessione, film che mantiene una giusta tensione (alla fine è un buon action con momenti di una certa cattiveria), il quadro sociale e politico viene definito meglio rispetto ai precedenti film, mentre le sparatorie si lasciano apprezzare, questo anche grazie al ricercato look ("Le maschere della festa", inquietante, distintiva cifra stilistica del progetto The Purge fin dagli albori, ancora più elaborate e sinistramente spaventose) dei vari personaggi (notevole soprattutto quello delle ragazzine). Non dimenticando che, oltre ai momenti memorabili di questa terza, assai pregevole direzione di James DeMonaco, che sono sicuramente da ricercare nei curati dialoghi tra i canuti padri fondatori, da sottolineare sono, a parte il contesto, quei potenti scorci, bellissimi e raggelanti, splendidamente ripresi e fotografati, di strade come oppresse dalla densità delle tenebre, lasciate alla libera, brutale razzia del comune cittadino. E insomma, sfatando il mito de "il terzo film è sempre il peggiore" con Election Year, il regista, che giunge discretamente alla conclusione del proprio pensiero, politico o sociale che sia, su una nazione nata, cresciuta (e morente, a quanto pare) sul sangue e sullo sfogo (al centro di tutta questa violenza inaudita, resta un punto interrogativo, tutt'ora privo di risposta: come siamo giunti a questo?) riesce a far mantenere smalto al franchise e alla pellicola, pellicola che, nonostante qualche ingenuità di situazioni e dialoghi, nonostante troppi buoni e cattivi risultino a volte afflitti da schematismo comportamentale, si dimostra (arricchita del contesto elettorale), probabilmente come il capitolo migliore e più storicamente connotato. E quindi la trilogia "The Purge" giunge a compimento col suo terzo puntuale tassello, anche se nulla ci assicura che si tratti veramente dell'ultimo episodio (e infatti, il sequel/prequel è già uscito), un tassello discreto, intelligente, convincente e davvero riuscito. Voto: 7