Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 21/11/2018 Qui - Vincitore del Golden Globe 2015 come miglior film straniero e del Premio per miglior sceneggiatura al Festival di Cannes (premio opinabile, più che la struttura della storia, non bilanciatissima, colpiscono i valori formali), nonché candidato come miglior film straniero agli Oscar del 2015, Leviathan, pellicola del 2014 diretto da Andrej Zvjagincev e scritto dallo stesso Zvjagincev in collaborazione con Oleg Negin, è un'opera stratificata che, però, vuole apparire più complessa di quanto non sia. Utilizzando l'enorme scheletro di una balena come metafora di un Paese, la Russia, ormai ridotta all'osso dalla propria megalomania, il regista costruisce una tragica parabola socio-politica che si rispecchia nel destino sfortunato e ineluttabile del protagonista. La progressiva e inarrestabile disgregazione del suo nucleo familiare corrisponde, un po' schematicamente, a quella della sua patria, vessata da mostri (il leviatano del titolo) ingombranti e impossibili da sconfiggere come la burocrazia corrotta e la chiesa, ostacoli insormontabili che fagocitano la vita e i diritti del cittadino medio (anche se il suddetto non è certo uno stinco di santo, soprattutto nei rapporti con le persone attorno a lui, senza contare la dipendenza dall'alcol). Cittadino medio appunto come Kolya (Aleksey Serebryakov), un meccanico che vive con la bella moglie (Elena Lyadova) e il figlio Roma (Sergey Pokhodaev) sulle rive del Mare di Barents, cittadino che pacifico e semplice, è orgoglioso della propria casa e non vuole sentir ragioni quando l'arrogante e rozzo sindaco (Roman Madyanov) decide di comprare il terreno dove vive la famiglia, a questo si aggiunge l'adulterio della compagna con un conoscente (finirà in tragedia). Tra scheletri di balene e carcasse di navi che aprono e chiudono il film, film in cui splendidi paesaggi assistono immobili e indifferenti al dolore di chi li abita, si compie così un buio apologo su un Paese oggi schiacciato dal malaffare, dal degrado morale e sociale. Inoltre il brullo paesaggio indifferente ai turbamenti di Kolya assume anche l'inquietante aspetto di una landa desolata (e di solitudine umana), dove ogni grido di disperazione è destinato a riecheggiare eternamente nel vuoto (dove l'unico lavoro possibile rimane una piccola azienda di pulitura del pesce).
Ma c'è un po' di tutto in Leviathan, film che strizza l'occhio ai grandi classici della letteratura, con un deciso balzo alle scritture bibliche e alla storia di quel Giobbe che trovò sulla sua strada Satana (qui invece persiste una assenza totale di trascendenza, nessun diavolo, ancor più rarefatta la possibilità di appellarsi alla chiesa, impersonata da uno scaltro e smaliziato padre spirituale ortodosso, più attento ai beni materiali che alla cura delle anime), rabbia, vendetta, violenza, corruzione, tradimenti e nessuna speranza. Il lavoro del cineasta russo miscela insomma in un'opera ambiziosa politica e società, sacro e profano, passato e contemporaneo, un'opera ben fatta, scarna e cruda. Peccato che il ritmo lento e a volte intenzionalmente soporifero (e troppa minuziosità soprattutto in alcune parti iniziali) non ne fa una visione facile, né per tutti (con una ventina di minuti in meno il film sarebbe stato perfetto), anche se è sicuramente un documento interessante (ugualmente apprezzabile e consigliabile) della Russia contemporanea e delle sue ossessioni, qui stigmatizzate in maniera piuttosto brutale (l'alcolismo, l'isolamento, la sordità maligna delle istituzioni). E tuttavia, nonostante il buon (seppur totalmente sconosciuto) cast, le buone musiche e la bella fotografia (che a tratti ha però il limite di apparire alla forzata ricerca di immagini a tutti i costi suggestive), l'opera non è del tutto riuscita, o almeno non tale che poteva competere con il meritato Oscar dato a Ida di Paweł Pawlikowski. Il limite dell'opera è in un controllo così rigoroso della materia trattata da rischiare il confinamento nel "cinema da festival", tanto apprezzato dai critici quanto poco commestibile per il pubblico. E infatti è stato così per me, anche perché Leviathan tocca soltanto tangenzialmente lo sviluppo dei personaggi nello svolgersi del plot, ingabbiati nelle loro situazioni sì, ma senza nessun sostanziale cambiamento. Anche l'approfondimento e la chiusura di alcuni situazioni sono state relegate al fuori campo, facendo perdere forza e rigore alla struttura stessa che sorregge il film.
Un film interessante, potente e suggestivo ma non eccezionale. Voto: 6-