Visualizzazione post con etichetta Mark Wahlberg. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Mark Wahlberg. Mostra tutti i post

martedì 30 aprile 2024

Spenser Confidential (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/04/2024 Qui - Quinto film per Mark Wahlberg con il regista Peter Berg, un riuscito e lineare buddy movie adrenalinico e movimentato. La trama è piuttosto classica con poliziotti corrotti, altri accusati ingiustamente, con i protagonisti che, con le buone, ma soprattutto con le cattive, cercano di rendere giustizia alla memoria di un poliziotto ucciso anni prima e ingiustamente accusato. Non si vedono certo situazioni o cose nuove, ma quello che si vede fa divertire con intelligenza. Apprezzabile il feeling tra Whalberg e Winston Duke, mentre il grande Alan Arkin (purtroppo recentemente scomparso) appare più defilato, ma il suo contributo ugualmente importante ai fini della storia, banale ma onesta. Tutto sommato non male, anche se al cinema (perché qui Netflix produce) il regista aveva dato prova di sapersi impegnare molto di più. Voto: 6 [Netflix]

venerdì 30 settembre 2022

Uncharted (2022)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/09/2022 Qui - Quando vengono annunciati film o serie tratti da videogiochi si ha sempre un po' paura, quasi mai infatti sono stati fatti lavori degni di nota (solo Arcane ultimamente ci è riuscito), spesso si è rovinato completamente il titolo che si aveva fra le mani. Non è questo il caso, anche se risulta troppo anonimo e scontato per convincere pienamente (si spera che il probabile sequel sia un po' più intraprendente), ma l'intrattenimento proprio non manca. Uncharted difatti, a cui tuttavia non ho mai giocato (solo ad alcuni simili), che è praticamente una specie di Tomb Raider (videoludico e cinematografico) maschile, è un onestissimo avventuroso che si fa forte di un ritmo scoppiettante, navi volanti, Antonio Banderas con tanto di accento spagnolo e cattivoni vari. Appare chiaro che il modello sia sempre il vecchio Indy, ma appare anche difficile riuscire a superare del tutto questa sindrome ormai quarantennale. Ruben Fleischer (quello di Zombieland 2) parte quindi da lì e riesce però ad appassionare con una storia risaputa ma ben svolta, con qualche interessante inghippo e un paio di svolte repentine e riuscite. Tom Holland e Mark Wahlberg si divertono e si vede. Spettacolari alcune scene, per arrivare ad un finale molto d'impatto che riesce a chiudere la storia e aprire nuovi ed interessanti scenari, un prequel abbastanza simpatico a vedersi. Non è il nuovo Indy ma diverte. Voto: 6

venerdì 13 agosto 2021

Instant Family (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 13/08/2021 Qui - Il mestiere del genitore è difficile, quello del genitore affidatario lo è molto di più e se veramente il film in questione prende spunto da una storia vera, allora questo compito meriterebbe anche la beatificazione. Una dramedy discreta che propone tematiche nobili e di grande sensibilità, mettendo in evidenza il difficile rapporto generazionale e genitoriale mostrando un certo garbo, ma anche una evidente enfasi narrativa, capace di rendersi apprezzabile e godibile. Emozionante e spiritosa al tempo stesso grazie alla buona prova di tutto il cast. Mark Wahlberg è una garanzia e la Rose Byrne col suo fare "radical chic" è ben centrata nella parte. Le giovani leve (tra cui Isabela Moner, già ammirata in Soldado) se la cavano discretamente. Il regista Sean Anders, cavalcando il precedente successo ottenuto con la "saga" Daddy's home, dirige così un'altra commedia con al centro le dinamiche familiari puntando sulla brillantezza di talune situazioni e non calcando troppo la mano sul versante drammatico della vicenda, riuscendo a farsi sufficientemente apprezzare. Perché sì, il tessuto narrativo percorre lidi già battuti senza proporre niente di particolarmente originale, ma almeno è sincero nella sua attuazione. Voto: 6

giovedì 1 luglio 2021

Scooby! (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 02/07/2021 Qui - Simpatica e movimentata rivisitazione aggiornata ai tempi di internet e dei social di un classico delle serie animate, in cui non mancano ammiccamenti anche ad altri personaggi dell'universo Hanna & Barbera oltre che una celebrazione del valore dell'amicizia. La pellicola (diretta da Tony Cervone) è realizzata interamente in CGI e l'effetto che ne deriva appare decisamente moderno (con omaggi che vanno da Harry Potter a Netflix fino ad A Star Is Born). Modernità, tuttavia, diventa spesso sinonimo di freddezza, se si vogliono considerare sia gli aspetti positivi che quelli negativi. L'emotività viene fortemente ricercata nelle primissime scene (quando Shaggy e Scooby si incontrano per la prima volta) e nel finale, quando i due affermano una volta di più la loro amicizia. Peccato però che la resa scenica non sempre sia in grado di supportare questo desiderio. La trama è semplice, adatta ad un pubblico di giovanissimi (il target ideale), ma anche sufficientemente briosa. Il problema, semmai, è l'incapacità di aggiungere qualcosa al ben navigato franchise. La visione nel complesso è piacevole, anche se lascia un po' tiepidi. Un reboot grazioso ma non eccezionale, che fa sorridere ma non arriva al cuore. Voto: 5,5

martedì 29 ottobre 2019

Red Zone - 22 miglia di fuoco (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 29/10/2019 Qui
Tema e genere: Thriller spionistico dalla forte componente action, una pellicola che mira inoltre a sfidare e a svelare gli scheletri nell'armadio dell'Intelligence, le sue zone d'ombra e i suoi pilastri costitutivi.
Trama: Indonesia. 22 sono le miglia che l'agente della CIA James Silva (Mark Wahlberg) deve percorrere per giungere in aeroporto: insieme alla sua squadra deve scortare e proteggere un informatore compromesso. Durante il lungo percorso dovrà scontrarsi con funzionari corrotti, signori della malavita e fuorilegge armati pronti a tutto.
Recensione: Quarto film consecutivo per la coppia Peter Berg/Mark Wahlberg dopo Lone SurvivorDeep water e Boston - Caccia all'uomo, ma anche il meno riuscito di tutti e l'unico che non sia tratto da una storia vera. A questo giro infatti il duo "muscolare" (che sforna un altro film d'azione che non offre certo molte novità a livello di sceneggiatura) non funziona come dovrebbe e vanifica quello che poteva essere un buon film d'intrattenimento. Mile 22 è difatti il punto di non ritorno del cinema di Peter Berg, onesto artigiano capace di toccare anche le corde giuste (nelle pellicole sue precedenti) nonostante sia sempre stato pericolosamente in bilico tra retorica e patriottismo. Regista dalla costruzione della ripresa frenetica ed adrenalinica, con tanta camera a mano unita a tagli di montaggio bruschi e ritmo serratissimo. Il problema di questa sua ultima fatica non è propriamente la tecnica di ripresa (nonostante alcune scelte confusionarie di montaggio), quanto l'ideologia di fondo, spiattellata davanti allo spettatore con un arroganza che ricorda il peggior episodio di Attacco al potere ma senza Gerard Butler. Ed è un peccato, perché il finale pensato da Berg è molto meno scontato di quanto si potrebbe pensare, ma si arriva a quel finale oggettivamente stanchi, dopo un'ora abbondante di scontri a fuoco al limite (e ben oltre) del credibile, intrisi di quella filosofia spicciola tutta a stelle e strisce che riesce davvero a stancare alla terza battuta. Sicuramente con una impostazione meno "machista", Red Zone avrebbe funzionato sicuramente molto meglio. Così com'è è un film sicuramente trascurabile. Un film che, afflitto da dialoghi un po' convenzionali in cui la star Mark Wahlberg (forse anche mal diretto, imbrocca una prova saccente, non riuscendo a caricarsi il film sulle spalle come invece gli era successo altre volte, il suo personaggio è sì originale ma definito secondo meccaniche poco credibili e surreali) sciorina tutto il suo repertorio da eroe un po' fuori di testa ma di corretti principi in stile Mel Gibson-Arma letale, si salva però proprio per il dinamismo dell'action, e per i 10 scarsi minuti di evoluzioni compiute dall'eccezionale attore indonesiano Iko Uwais, noto per i due eccezionali film The Raid, ed ormai star sbarcata nell'olimpo del cinema occidentale. Tutto il resto, comprese le moine di un John Malkovich cappellone (lui come tutti gli altri bidimensionale e stereotipato), è noia o déjà-vu.

domenica 7 luglio 2019

Tutti i soldi del mondo (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 19/03/2019 Qui - Sarò stato uno dei pochi a vedere prima la serie tv e poi il film, quest'ultimo uscito molti mesi prima rispetto alla serie diretta da Danny Boyle, ovvero Trust, e già all'epoca rimasi un po' dubbioso sul fatto di come il film potesse in 120 minuti, paradossalmente eccessivi, a sciorinare tutti i temi e a cogliere tutte le sfumature, ed infatti non ci riesce al contrario della serie, seppur la suddetta aveva nel corso delle tante puntate la possibilità di riuscire nell'intento senza alcun problema, e difatti quella grande possibilità l'ha sfruttò nei migliori dei modi. Perché regia, stile della narrazione, le parti italiane, il cast (su tutti Donald Sutherland più Luca Marinelli), tutto (a parte forse la fotografia) è nettamente superiore a questo film. Un film, Tutti i soldi del mondo (All the Money in the World), film del 2017 diretto e co-prodotto da Ridley Scott, mediocre, che poteva e doveva raccontare di più, soprattutto in virtù dell'ottimo potenziale di una sceneggiatura (di una storia nota e famosa, di una storia avvincente ed appassionante), scritta da David Scarpa, molto promettente. Ed invece, nonostante in se la storia, proprio in quanto vera, avesse delle sfumature che erano necessariamente interessanti, tutto sbiadisce. Il suo primo difetto è tuttavia l'eccessiva lunghezza. La durata del film, che preme volontariamente sulla lunga durata della prigionia del protagonista, annoia ben presto, riscuotendo così l'opposto dell'effetto desiderato. La lunghezza non riesce nemmeno a creare il pathos desiderato, facendo scadere buona parte delle scene in un insensato giro di parole e azioni. Alla base come detto c'è una storia vera che, come prassi, è stata rivista e romanzata per l'occasione, al fine di lasciare la dovuta libertà allo sceneggiatore di affrontare i diversi temi (ed effettivamente l'intera vicenda risulta assai elaborata e romanzata rispetto ai fatti realmente accaduti come titoli di testa ci avverte, i fatti presentati sono stati infatti dal regista liberamente tratti da un libro concernente il rapimento del ragazzo) purtroppo, tutto scivola via nella mediocrità (perché sì, uno dei limiti, per non dire, uno dei tanti, di questa pellicola è che l'intera vicenda è stata presentata parecchio distante dalla realtà), nella prevedibilità dei luoghi comuni (ormai titanici) sugli italiani che, spiace dirlo, vengono visti nel ruolo di mangiatori di spaghetti, con forze dell'ordine idiote e corrotte e Brigate Rosse che, per evitare attacchi di amnesia, tappezzano il loro rifugio con decine di bandiere recanti il loro nome.

venerdì 14 giugno 2019

Entourage (2015)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/10/2018 Qui - Non conosco la serie tv omonima della HBO (di cui questo ne è l'adattamento e la sua continuazione) ma questo film è una commedia divertente, graffiante per certi versi, dinamica e condita con dialoghi spiritosi e ben scritti. Cast convincente, una marea di cameo, regia affidabile e ritmo narrativo che non cala mai, assicurando così una visione fluida e simpatica. Entourage infatti, film del 2015 diretto da Doug Ellin (che offre un divertente spaccato caricaturale di quello che è la vita di molte star del cinema), è un film leggero, uno di quei film da gustarsi senza troppi pensieri ma che ha dalla sua parte l'abilità di riuscire ad incastrare secondo dopo secondo un quantitativo di attori e volti noti di Hollywood davvero impressionante. Il film difatti, che narra le vicende di Vincent Chase e del suo Entourage alle prese con un nuovo film in cui Vinny sarà, oltre che protagonista, anche regista, attraverso una confezione patinata e scintillante, un ritmo dinamico e un intreccio semplice e brillante, racconta efficacemente il mondo di Hollywood, futile e votato all'eccesso (tra sesso, capricci, alcol, droga e musica disco). Non sorprende in tal senso che la regia opulenta e frenetica di Doug Ellin (al cinema con Amore tra le righe e alla tv con la regia della serie), sia metafora della routine di chi succhia fino all'ultimo sorso e senza vergogna il fantomatico sogno americano, e che la suddetta piccante commedia sia soprattutto (attraverso la sdrammatizzazione dello stress della vita quotidiana e della routine hollywoodianauna critica al sistema e al mondo del cinema che si auto-cita e parla di sé in prima persona. Teatro delle peripezie del chiassoso gruppo di protagonisti è infatti un promiscuo e incurante microcosmo fatto di feste da sballo in ville napoleoniche, in cui un'auto da sogno è un piccolo presente e tutto è apparentemente lecito. Una realtà talmente distante da quella di chi guarda solletica sicuramente il voyeurismo spettatoriale, suscitando al contempo incredulità, coinvolgimento e un pizzico d'invidia. L'approccio immersivo della regia, a tal proposito, fa sì che il pubblico si lasci contagiare volentieri dalla spensierata superficialità con cui Vince e compari vivono l'attimo e (non) affrontano le sfide, spesso grottesche, cui la narrazione li sottoporrà (e che porterà il gruppo dove mai si sarebbe mai aspettato finisse).

lunedì 3 giugno 2019

Daddy's Home 2 (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 22/08/2018 Qui - Non era forse il momento o il periodo giusto di vedere un film natalizio, ma se parliamo del sequel di una divertente commedia come fu Daddy's Home allora era questa forse la migliore occasione che aspettare Natale. Anche perché dopo il primo riuscito film, con la coppia collaudata Will Ferrell/Mark Wahlberg (che confermano la loro sintonia incredibile e l'indiscutibile talento comico, i due attori non sono infatti alla prima collaborazione e si vede), ecco che il divertimento in Daddy's Home 2, film del 2017 diretto da Sean Anders, raddoppia con l'arrivo dei rispettivi padri John Lithgow/Mel Gibson (seppur entrambi leggermente spiazzati e intimiditi). Certo, il primo era più divertente e più cattivo, questo è imprigionato nella solita logica statunitense della commedia buonista natalizia per famiglie con il lieto fine zuccheroso obbligatorio, ma c'è anche da dire che funziona (se non migliore del precedente, quanto meno sugli stessi livelli), ha un ottimo ritmo, moltissime gag divertenti e gli attori fanno un grandioso gioco di squadra. Non solo i due mattatori ma anche i due "vecchi" che calzano comunque a pennello, giacché rispecchiando quello che sono i loro figli, poiché come nel primo film si notano le differenze di rapporto che hanno con i figli e i nipoti, i loro comportamenti creano situazioni divertenti che fanno apprezzare il film. Un film che tra incidenti con la macchina per la neve finta, voli sulle slitte-gommoni, si dipana mettendo sempre più in evidenza le differenze tra le due famiglie, ma naturalmente come in tutte le commedie natalizie che si rispettino non può che esserci il riavvicinamento e il finale con la canzone cantata tutti insieme al cinema che riunisce tutti.

mercoledì 29 maggio 2019

Boston: Caccia all'uomo (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 29/06/2018 Qui - Terza regia di Peter Berg basata su eventi realmente accaduti dopo Lone Survivor e Deepwater: Inferno sull'oceanoBoston: Caccia all'uomo, film del 2016 diretto dal regista (e attore) statunitense, si pone come un operazione altamente spettacolare ed efficace nel richiamare alla memoria un fatto di sangue, pur soffrendo di un evidente patriottismo che ideologicamente ne assottiglia il valore. Non a caso Patriots Day, che è l'adattamento del libro "Boston Strong" che narra gli accadimenti dell'attentato alla maratona di Boston e della conseguente ricerca dei terroristi che l'hanno compiuta, è l'ennesimo film che rispecchia i pregi ed i difetti di Peter Berg. Il film infatti, nonostante la retorica dell'eroismo e dell'impegno civico, qui tuttavia in quantità più visibile e ancor più profuso, è comunque un lavoro di buonissimo livello, che riesce a coinvolgere e appassionare lo spettatore dall'inizio del film grazie anche all'ottimo cast. Perché bisogna dare atto al regista di saper fare il suo mestiere specialmente quando ci si immerge nella caccia all'uomo notturna dei due fuggitivi, c'è ritmo e tensione, i momenti d'azione sono orchestrati molto bene e le scene dell'esplosione sono veramente concitate, rendendo bene la sensazione di caos e smarrimento di un evento sportivo che diventa drammaticamente tragico. Il regista difatti (che alterna sapientemente diversi stili registici), puntando sulla drammaticità, sulle emozioni, sul realismo e sui cittadini di Boston (in divisa e gente comune) che hanno unito le forze per cercare di stanare i terroristi, riesce bene a coniugare tutti gli aspetti, rendendo Boston: Caccia all'uomo un film dai toni patriottici, ma non eccessivo, che riesce a farti provare empatia con le vittime, e senza tanti pietismi (anche se non proprio efficace è la storia d'amore tra un giovane poliziotto e una studentessa del Mit o quella dell'asiatico Manny). Certo, non sempre il ritmo rimane costante e magari alcune scene anzi sono eccessivamente lente, certo, la colonna sonora è tutto sommato anonima e non sempre in grado di supportare la messa in scena, è certamente da rivedere la caratterizzazione dei personaggi, un po' tutti tagliati con l'accetta, non ci sono caratteri sfaccettati, solo buoni o cattivi insomma, ma nell'insieme Boston: Caccia all'uomo, è una pellicola interessante, ben costruita che riesce a farti immergere nella storia.

domenica 26 maggio 2019

Transformers: L'ultimo cavaliere (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 11/06/2018 Qui - Ogni volta è sempre la stessa storia, perché è innegabile che ogni film di Michael Bay si "trasformi" in un caso mediatico ogni qualvolta, con la critica che continua a stroncarlo senza ritegno, mentre al box office si registrano (immancabilmente) incassi altissimi, ma come spesso accade in questi casi, la verità sta sempre nel mezzo. Perché anche se nel corso degli anni (a eccezione del primo film, che risulta ancora oggi un perfetto mix di intrattenimento, scene d'azione e idee visive) i capitoli di Transformers hanno sempre vissuto nel limbo della mediocrità (quel luogo dove a fine visione già ci si era scordati di quanto appena visto), Transformers: L'Ultimo Cavaliere (Transformers: The Last Knight), quinto capitolo della serie datato 2017, pur non esente da difetti (anzi, ce ne sono tanti), è forse il miglior film dei Transformers (sempre escludendo la pellicola d'esordio e sempre non discostandosi molto dalla sua costante mediocrità), riuscendo altresì dove il quarto aveva fallito (praticamente quasi in tutto). Già con il precedente (buon) lavoro, 13 Hours, Bay (alla soglia dei 57 anni) aveva scoperto un oggetto mistico e dai grandi poteri cinematografici: la sceneggiatura. Anche se, nonostante questa venisse a mancare in altri lavori, il risultato finale è sempre riuscito a regalare grande intrattenimento (infatti anche qui, come nei precedenti, senza dubbio ci si diverte, indubbiamente gli effetti speciali sono eccezionali, anche se esagerati). Perché si sa, la sceneggiatura se applicata con sapienza anche a un prodotto ormai testato (e con delle proprie logiche che vivono al di fuori di ogni sistema, come la saga dei Transformers) ne arricchisce il racconto. Tuttavia, l'inserimento di questa nuova rotella in una macchina perfettamente oliata avviene con qualche intoppo. Perché è innegabile che qui, anche se l'intrattenimento rimanga comunque elevato e godibile, essa non venga usata in modo del tutto consono, facendo risultare uno dei migliori film della saga in un film solamente sufficiente e fortunatamente non totalmente bocciabile.

lunedì 8 aprile 2019

Deepwater: Inferno sull'oceano (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 20/11/2017 Qui - Solida ricostruzione del disastro della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon, avvenuto nell'aprile del 2010 è Deepwater: Inferno sull'oceano (Deepwater Horizon), film del 2016 diretto discretamente bene da Peter Berg (HancockBattleship). Il regista infatti, probabilmente al suo miglior film, negli spazi angusti della piattaforma, dove è ambientata gran parte della vicenda, lascia ai margini retorica e sentimentalismo per concentrarsi sui fatti e sull'azione raccontati con un taglio assai realistico e senza troppi fronzoli. Deepwater difatti è un disaster movie di grande presa, non solo visiva, capace di mantenere in costante attenzione il pubblico coinvolgendolo e trasmettendogli discrete dosi di emozioni, forse un po' troppo spettacolarizzate ma ampiamente capaci di soddisfare le attese e i requisiti che storie come questa intendono proporre. Anche se la cosa più interessante del film (e di questa storia), non è il dramma accaduto al largo della costa della Louisiana, dove la piattaforma trivellatrice semi-sommergibile Deepwater Horizon, di proprietà della multinazionale britannica "British Petroleum", a causa della superficialità e della cupidigia dei dirigenti della stessa compagnia, è esplosa causando undici operai morti e inquinando con milioni di barili di greggio l'oceano e tutto il Golfo del Messico con un disastro ambientale riconosciuto unanimemente, come il più grave della storia americana, ma i rapporti, l'aspetto umani (quello che al regista lo interessa di più e quello che gli riesce meglio raccontare) e gli scontri tra chi mette al primo posto la sicurezza dei lavoratori, e chi invece mette al primo posto solo ed esclusivamente il business. Del resto Deepwater Horizon, dal titolo omonimo con la piattaforma, non vuole essere un documentario o un film forzatamente ambientalista, ma un film che racconta nel modo più verosimile e genuino la tragedia umana.

martedì 5 febbraio 2019

Daddy's Home (2015)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 02/11/2016 Qui - Sono i figli e la loro educazione il punto focale di Daddy's Home? crescerli a suon di mitezza e calore o istigarli a ribellarsi quando serve? Istruirli alla virtù o viziarli per essere il migliore ai loro occhi? Non lo so, ma alla fine, la migliore soluzione consiste, com'è prevedibile, in una ponderata via di mezzo. Ma il vero motivo per guardare questa commedia del 2015 di Sean Anders e John Morris è godere della guerra psicologica tra il bravo Will Ferrell, dedito passionalmente a lavoro e famiglia e patrigno dei bambini dell'amata mogliettina (Linda Cardellini), e il vero genitore di costoro (Mark Wahlberg, comunque già visto in parte comica e più che discretamente in Ted 2), rude palestrato che arriva di punto in bianco e pretende di riprendersi donna e prole snervando il pacato e gentile pater familias. Ovviamente da lì comincerà a suon di misfatti una vera e propria guerra e anche se il finale è abbastanza prevedibile le risate tra i due, che tornano a fare coppia dopo il film I poliziotti di riserva (The Other Guys) del 2010, a sua volta prodotto da Adam McKay, lo stesso di questo, sono assicurate. Lo scontro tra i due infatti fa davvero faville. Perché nonostante l'esilità e la banalità della trama, grazie al gioco degli attori e di una regia che sa assecondarli, il film risulta straordinariamente divertente, con gag a ripetizione ed un ritmo interminabile. Non ci sono mai tempi morti e quasi tutte le gag vanno a segno.

sabato 5 gennaio 2019

Lone Survivor (2013)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/06/2016 Qui - Lone Survivor è un adrenalinico ma anche emozionante nonché entusiasmante film bellico del 2013, scritto e diretto da Peter Berg. La pellicola è la trasposizione cinematografica dell'omonimo romanzo autobiografico Lone Survivor: The Eyewitness Account of Operation Redwing and the Lost Heroes of Seal Team 10 di Marcus Luttrell (che vediamo in una scena del film), ex-Navy SEAL in missione in Afghanistan, qui interpretato da Mark Wahlberg. Il film è una storia di eroismo, di coraggio e di sopravvivenza, Lone Survivor infatti racconta l’incredibile storia (vera) di quattro Navy SEAL in missione segreta per neutralizzare una cellula operativa di al-Qaeda che cadono in un'imboscata del nemico sulle montagne dell'Afghanistan. Di fronte ad una decisione morale impossibile, il piccolo gruppo è isolato e circondato da una forza superiore di talebani pronti per la guerra. Quando si confronteranno con impensabili probabilità di sopravvivenza, i quattro uomini troveranno riserve di forza e resistenza che li terranno in lotta fino alla fine, resistendo ai colpi inflitti e sperando nella buona sorte e nell'arrivo della cavalleria. La pellicola anche se sembrerebbe intriso dei soliti cliché, è un film unico nel suo genere, solo in apparenza può sembrare ipocrita e di propaganda. E' anzi un film profondo sul senso etico e dell'onore, valori che in alcuni rari casi vengono ancora percepiti superiori a quelli della stessa vita. Ci sono quei film che, oltre all'aspetto prettamente tecnico, sono in grado di emozionare e di lasciare qualcosa di indefinito dentro a ciascuno di noi e a parer mio (parere certamente modesto), questo è il caso di Lone Survivor. Il Cinema "bellico" nel proseguo degli anni ha donato a noi pubblico, molto pretenzioso, certi capolavori, da Salvate il Soldato Ryan ad Apocalypse Now e tanti altri. Questi sono i film che per me meritano di essere ricordati, che mi hanno emozionato per regia, fotografia, musiche e interpretazioni talmente toccanti da renderti partecipe delle sofferenze dei protagonisti. Ora non voglio risultare irriverente, ma "Lone Survivor" mi ha toccato allo stesso modo, cullando dentro me sensazioni che vanno dalla serenità iniziale, fino ad arrivare alla più totale ansia che culmina in una profonda sensazione di tristezza e di rispetto. Il rispetto, perché aspettandomi una colossale americanata, invece il film (tratto da un libro derivante da un'esperienza reale di guerra), non fa di tutta l'erba un fascio, non criminalizzando un'intera popolazione ma bensì solo una fazione, onorando chi di dovere.

lunedì 26 novembre 2018

The Gambler (2014)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 13/02/2016 Qui - The Gambler è un film del 2014 con protagonista Mark Wahlberg, qui anche produttore. La pellicola è il remake del film 40.000 dollari per non morire (The Gambler) del 1974. Jim Bennett è un professore associato universitario di New York, frustrato, scontento del suo lavoro e segretamente schiavo del gioco d'azzardo, che ha una visione drastica del mondo e dell'esistenza: o si ha tutto o non si ha nulla. Rampollo di una ricca famiglia di banchieri, si ritrova alla morte del nonno a dover gestire il difficile rapporto con la madre separata e le pulsioni autodistruttive di una sfrenata dipendenza dal gioco. Durante una sola notte s'indebita al punto da entrare in contatto con persone poco raccomandabili. Gli rimangono solo sette giorni per saldare i debiti e trovare il modo di lasciarsi alle spalle quel genere di vita. Chiede allora un cospicuo prestito a un temutissimo gangster, e a causa dell'aumentare dei debiti, da quel momento inizierà la sua lenta e inesorabile discesa nel mondo della criminalità, fra strozzini allibratori e maniaci del gioco, in un inferno privo di qualunque regola. Coinvolto in una spirale compulsiva senza via d'uscita ma anche in una appassionata storia d'amore con una sua studentessa, finisce per giocarsi tutto in una sola puntata alla roulette. L'amore per la sua bella ed una buona dose di fortuna lo renderanno però un uomo diverso.

mercoledì 24 ottobre 2018

Ted 2 (2015)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 07/12/2015 Qui - Grazie al servizio Extra di Sky, fino a metà dicembre ho la possibilità di vedere 4 film su Primafila, e la prima scelta è ricaduta su Ted 2 (arrivato nelle sale cinematografiche il 25 giugno 2015) che aspettavo da tanto, perché il primo (questa seconda pellicola infatti è il sequel del film Ted del 2012) anche se demenziale ed irriverente mi aveva fatto ridere, come questo appena visto. Il film è co-scritto co-prodotto e diretto da Seth MacFarlane, interpretato da Mark Wahlberg, lo stesso Seth MacFarlane nuovamente nei panni di Ted, Amanda Seyfried e Jessica Barth, che interpreta nuovamente la cassiera Tami-Lynn. In questo secondo capitolo non è più John il protagonista ma Ted, nel primo infatti l'orsacchiotto di peluche prende vita per rimanere sempre insieme al suo proprietario, crescendo con lui e diventandone il migliore amico, nel secondo l'orsacchiotto lotterà per se stesso, una grottesca lotta per essere riconosciuto come umano. Il viaggio dei protagonisti è scoprire cosa renda umano gli umani e quindi anche Ted. L'esito sarà abbastanza banale ma condito, come il resto del film, di un umorismo dai tempi e dalle trovate folgoranti. Come in tutti i sequel, il primo è quasi sempre migliore, la novità, la sceneggiatura originale e le magnifiche battute, non facile riproporre tutto con la stessa verve, ma riesce ad intrattenere lo stesso. Da quando abbiamo lasciato John e Ted, i due continuano a spassarsela alla grande in quel di Boston. Mentre John ora è scapolo (afflitto a causa del divorzio con Lori), Ted convola a nozze con Tami-Lynn, la donna dei suoi sogni. Trascorso un anno il rapporto tra i due coniugi diventa sempre più difficile e i problemi coniugali cominciano ad assalire gli sposi. Ted e Tami-Lynn decidono di avere un bambino per salvare il loro matrimonio, sperando che un nuovo nato possa riavvicinarli. Per farlo ricorre all'inseminazione artificiale (dal momento che Ted, che è di peluche, è incapace di funzioni riproduttive), dopo diverse richieste e tentativi di aggiudicarsi del seme "famoso", la scelta del donatore ricadrà sull'amico di una vita: John (che allo stesso tempo cerca di incoraggiarlo a cercare una nuova compagna, ma John è riluttante). Purtroppo Tami-Lynn è sterile per colpa delle droghe assunte, così la coppia opta per l'adozione: l'assistente sociale tuttavia riferisce che Ted, essendo un orsacchiotto, è classificato agli occhi dello Stato non come una persona bensì come un bene.