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lunedì 28 febbraio 2022

Peter Rabbit 2 - Un birbante in fuga (2021)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 28/02/2022 Qui - Forse sono stato una voce fuori dal coro per quanto riguarda il primo Peter Rabbit, che mi era tutto sommato piaciuto. Molto ironico, un po'  Paddington ma comunque godibile ad ogni età. Questo secondo episodio mi sembra molto categorizzante in quanto a target, concentrandosi su un pubblico giovane. Sicuramente il tema principale è la capacità o la possibilità di rimanere se stessi senza snaturarsi. Stanco di essere additato come personaggio negativo, Peter fugge insieme a un ladruncolo, e iniziano le disavventure. Il film ha ancora nello humour un suo punto di forza, seppure qui sia troppo infantile. La tecnica mista di live action e CGI funziona ancora bene. Molto, troppo di già visto, qualche tratto simpatico ma niente di che. Un sequel che riprende le fila del capitolo precedente (squadra che vince non si cambia, Will Gluck torna alla regia, tornano anche Rose Byrne e Domhnall Gleeson, e Nicola Savino doppia ancora Peter), senza esagerare e senza grandi guizzi creativi, però abbastanza fresco e godibile a vedersi. Voto: 6

venerdì 13 agosto 2021

Tenet (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 13/08/2021 Qui - Esperimento riuscito a metà: nel senso che Christopher Nolan ancora una volta ha voluto sperimentare qualcosa mai visto prima, nella sua fissa col tempo e le costruzioni temporali presenta qualcosa volutamente ingarbugliato e di difficile fruizione, e in questo c'è riuscito, ma non è riuscito nel successo perché aldilà del progetto ambizioso quel che resta dello spettatore a fine visione è l'inebetimento di un sonoro martellante, la sensazione del vuoto e del WTF che lascia il film (un film non riuscito ma non per il suo essere troppo complicato ma per volerlo essere per forza). Insomma dal mio punto di vista "tanto fumo e poco arrosto", i capolavori di Nolan restano altri, questo resterà un esperimento originale al quale però difficilmente ci si affezionerà. Questa volta egli infatti nel ricercare il rompicapo perfetto è uscito un po' fuori tema confezionando un prodotto certamente originale ma poco avvincente. Come se non bastasse, egli riesce a costruire un muro invisibile fra lo spettatore e i personaggi. Tutto risulta freddo, asettico, privo di umanità. Non ci è consentito empatizzare con nessuna delle vicende dei protagonisti. Potrebbe succedergli qualsiasi cosa e non ne saremmo colpiti. Al regista manca proprio la capacità di farci sentire fisicamente i corpi degli attori. Come delle bellissime statue esposte in un museo che non possono essere toccate (in questo senso la  caratterizzazione dei personaggi non è delle migliori, nonostante le ottime prove attoriali, e di tutti). La sensualità è quindi bandita, perché altrimenti tutto potrebbe risultare "vero". Lo spettatore deve quindi essere sovrastato dalla potenza di fuoco del cinema Nolaniano, ricco di budget ma povero di cuore. Dopo il bellissimo Dunkirk mi aspettavo un altro approccio dal regista inglese che con questo Tenet firma sicuramente il suo film peggiore, anche se resta una pellicola interessante e di qualità, che merita la visione. Voto: 6

venerdì 16 luglio 2021

The Cloverfield Paradox (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 16/07/2021 Qui - Dopo Cloverfield, esperimento mokukaiju riuscitissimo e 10 Cloverfield Lane, di difficile collocazione in un genere e a mio parere riuscito anche questo, arriva The Cloverfield Paradox, che sceglie di percorrere la strada della fantascienza mista a orrore. La sceneggiatura è quasi maldestra ma la messinscena e alcune sequenze (la donna intrappolata dentro una parete) lasciano il segno. Meno potente rispetto ai due film che lo precedono, è comunque un gioiellino d'intrattenimento che sa il fatto suo. Certo, alcune cose risultano alquanto confuse e non ben sviluppate, ma alla fine risulta senza infamia e senza lode, onesto nella sua non originalità. La pellicola, che si salva anche grazie (appunto) ad una impeccabile realizzazione tecnica e ad una convincente prova degli attori (da Gugu Mbatha-Raw a Daniel Brühl, fino a tutti gli altri), cerca di dare una pseudo spiegazione dell'apparizione del gigantesco mostro protagonista del primo capitolo, ma vi riesce solo in parte ed in maniera anche un po' forzata (cosa comunque comprensibile dato che inizialmente non doveva essere collegato agli altri), ma nonostante questo si lascia seguire fino al suo finale ad effetto. Voto: 6

mercoledì 13 novembre 2019

Widows - Eredità criminale (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 13/11/2019 Qui
Tema e genere: Un heist movie declinato al femminile che ha come punti cardine la miseria umana e la sete di potere. Ma è anche un thriller drammatico, purtroppo però sin troppo smaccato e dalla tesi prevedibile per convincere minimamente.
Trama: A Chicago quattro donne, rimaste vedove dopo l'uccisione dei rispettivi mariti, si uniscono per scampare da debiti e minacce, e organizzano una rapina.
Recensione: Una Chicago attuale ma colma di irregolarità governative, stile Capone d'annata (dove il 18° distretto diventa l'oggetto dei desideri di due sponde, nessuna delle quali dedita a legge e onestà, nessuna delle quali presumibilmente avulsa di quattrini), è la location della quale si serve Steve McQueen per adattare, cinematograficamente parlando, l'omonima (e anonima) serie tv degli anni '80, aiutato dalla sceneggiatura di Gillian Flynn, non una qualunque, già scrittrice del romanzo Gone Girl e poi sceneggiatrice della trasposizione cinematografica diretta da David Fincher, ma non basta, tremenda delusione. Perché certo, non si può dire che manchi il materiale narrativo, in questo guazzabuglio convulso, serioso ed altamente improbabile che segna il ritorno in regia di Steve McQueen, un cineasta fino ad ora assai apprezzato con Shame, Hunger e soprattutto 12 Anni Schiavo, pellicole notevoli in grado di azzerare quasi la sua iniziale imbarazzante omonimia provocata dal suo nome "impegnativo", qui alla sua prima clamorosa débâcle (almeno secondo il presente punto di vista), ma molte, troppe, sono le cose che qui non funzionano: a partire dalla costruzione dei personaggi, concatenati l'un l'altro da un filo di combinazioni e probabilità assurdi. I due, anzi tre (c'è pure il grande vecchio Robert Duvall) politici coinvolti nella sporca vicenda sono così laidi, beceri e corrotti da apparire come caricature quasi comiche, Liam Neeson, marito della protagonista Viola Davis, è un delinquente incallito ed impenitente, ma viene celebrato al funerale con gli onori che si riservano ad un eroe nazionale, la coppia tra l'altro si scopre afflitta in precedenza da un grave lutto da intolleranza razziale (che accozzaglia incontrollata di carne sul fuoco..) mai elaborato che ha finito per dividerli, ancora, come se non bastasse, il colpo messo a segno comporta tutta una serie di circostanze "ad orologeria" tanto fantasmagoriche ed improbabili, che pare trovarci in un film di fantascienza, tanto risultano campate per aria le vicissitudini delle quattro serissime donne coinvolte, casalinghe frustrate e al verde a causa degli scellerati consorti.

domenica 7 luglio 2019

Peter Rabbit (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 18/03/2019 Qui - Dopo il criticabile remake di Annie (l'adattamento cinematografico dei fumetti Little Orphan Annie), il regista Will Gluck ci riprova, adattando la serie televisiva Peter coniglio (Peter Rabbit), basata a sua volta sul racconto di Beatrix Potter (conosciutissima nel mondo anglosassone e meno da noi), uno dei capisaldi della letteratura inglese per l'infanzia. Qualche anno fa una biografia cinematografica con protagonisti Renée Zellweger e Ewan McGregor, che ne aveva raccontato anche la storia d'amore poco convenzionale con il suo editore, ebbe poca fortuna. Forse non ha avuto neanche questo live action tanta fortuna, eppure, rendendo le avventure dell'irresistibile coniglio e della sua combriccola adatte non solo ai più piccini, ma anche ai teenager e agli adulti, il regista riesce a fare centro. Anche perché a parte l'indiretto omaggio all'autrice nel nome della protagonista femminile umana, poco rimane (fortunatamente) dello spirito originale dei racconti (alquanto stucchevole), che si trasformano in una specie di slapstick comedy in stile Tom e Jerry, dove la sfida è tra il roditore astuto e senza paura e un giovane umano che ha la pessima idea di sbarrargli la strada verso i suoi ortaggi. In più, al vecchio e burbero McGregor dei racconti originali (che tira le cuoia a inizio film per un infarto, proprio quando aveva finalmente acchiappato il coniglietto e si accingeva a trasformarlo in una torta da forno) si sostituisce il pronipote Thomas, un personaggio più "fresco". Fresco come il film, Peter Rabbit è infatti, un film (del 2018) divertentissimo e dal ritmo frenetico, che tra musica pop, irriverenza e sarcasmo, assicura risate e coinvolgimento. Realizzato con la stessa tecnica del bellissimo Paddington 2, grazie al lavoro straordinario dell'Animal Logic sulle animazioni e i modelli in CGI dei conigli, Peter Rabbit è un live action pieno di personaggi indimenticabili, a cui è facile affezionarsi per la capacità della sceneggiatura di dipingerli in modo ironico, realistico e gustosamente "scorretto". Oltre ai cattivissimi conigli antropomorfizzati, pienamente convincenti sono, difatti, anche i personaggi umani, in primis un perfetto Domnhall Gleeson (ottimo protagonista di film come Ex machina e Questione di tempo, che farebbe bene a non accumulare altri ruoli come quello dell'insulso generale Hux di Star Wars), che sembra nato per il ruolo dell'impacciato Thomas.

giovedì 20 giugno 2019

The Tale (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/11/2018 Qui - Scritto e diretto dalla regista e sceneggiatrice Jennifer Fox, prodotto e trasmesso da HBO (e l'estate scorsa su Sky), The Tale racconta la progressiva presa di coscienza di una donna vittima di ripetuti abusi sessuali sepolti nel passato e nella memoria. Questo film del 2018 infatti, prima ancora di essere un'intensa e intelligente autobiografia audiovisiva, giacché le parole che si ascoltano in apertura sono esattamente quelle dell'autrice, perché The Tale è prima di tutto un film autobiografico, un memoir che parte dalle lettere che la stessa Jennifer Fox ha scritto all'età di tredici anni quando è stata vittima di Bill e della Signora G. mentre frequentava un centro di equitazione, è un prodotto necessario, un film che si pone il problema di parlare dell'abuso sessuale e delle difese che il cervello adotta per fare i conti con la violenza subita e lo fa senza alcun compromesso. Un film, un racconto realistico su come mente e corpo immagazzinano ed elaborano le memorie traumatiche. Difatti, avanti e indietro tra un presente fatto di rievocazioni, racconti e foto, e un passato che ritorna fuori piano piano, il film mostra diverse ricostruzioni, alcune ingannevoli, altre che si rivelano false e poi quella vera, per mostrare come il tempo avesse modificato i ricordi della protagonista e come a fatica questa stia comprendendo ed elaborando per la prima volta quegli eventi. È forse proprio questa una delle cose più interessanti di The Tale, ovvero la costante riflessione sulla natura della memoria, sui meccanismi di difesa dell'essere umano nel momenti in cui subisce traumi. Per molti anni infatti Jennifer è stata convinta che il rapporto tra lei e Bill avesse una natura consensuale, ma solo dopo quarant'anni riesce a elaborare davvero l'accaduto, facendo una vera e propria attività di ricerca sia all'esterno (rintracciando le persone che quarant'anni prima sono state in maniera più o meno diretta testimoni degli abusi) sia all'interno, scavando profondamente dentro la propria memoria per entrare in contatto diretto con una ferita mai davvero rimarginata. Jennifer Fox nel resuscitare i fantasmi del passato mette in scena la natura magmatica e anarchica della memoria, facendo della Signora G. un gigante agli occhi della se stessa bambina, un modello femminile inarrivabile (grazie anche all'azzeccata scelta di Elizabeth Debecki), salvo poi presentarla nel presente come una donna decisamente normalizzata, in particolare riguardo all'altezza (come dimostra la scelta della bravissima Frances Conroy).

martedì 7 maggio 2019

Guardiani della Galassia Vol. 2 (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 23/02/2018 Qui - Se il primo era stato una sorpresa, il secondo è una conferma. Perché Guardiani della Galassia Vol. 2 (Guardians of the Galaxy Vol. 2), film del 2017 scritto e diretto da James Gunn, sequel forse persino superiore del precedente, non delude affatto le aspettative, anzi, divertente, scanzonato e ironico come il primo capitolo, dalla quale riprende e migliora i punti di forza (personaggi idioti, chiari riferimenti ai mitici anni '80 e colonna sonora epica), riesce nell'arduo compito di fare addirittura meglio, cosa più unica che rara. La pellicola infatti, dove il lato migliore rimane l'alone di leggerezza che lo contraddistingue, e in cui non mancano i momenti epici e quelli commoventi (con tanto di lacrimuccia finale sulle note della bellissima Father & Son, il funerale più bello di sempre) ma il tutto senza mai prendersi troppo sul serio e mantenendo una verve comica costante e mai banale, non è soltanto un degno sequel del film originale, ma anche la sua ideale "estensione" tematica e strutturale, un colossal che incarna l'eredità del cinema delle attrazioni e la rilancia verso nuovi orizzonti. Anche perché, se l'antecedente capitolo del 2014 dei Guardiani della Galassia (rivisto per l'occasione e nuovamente adorato) si dimostrò una convincente novità dalle tinte effervescenti e giocose, Guardiani della Galassia Vol. 2 (con quel "Vol. 2" così Tarantiniano), del suo antesignano di tre anni fa, semplicemente ne conferma l'efficacia della formula, esilaranti situazioni, coloratissime atmosfere, dialoghi irriverenti, guizzanti ed a volte sboccati, una punta di sentimento ed un'azione girata con magistrale perizia (epicamente spassosi il piano-sequenza iniziale e le sequenze in slow motion), il tutto diretto dal regista del primo episodio, James Gunn, un cineasta che è stato capace di imprimere la sua delirante autorialità ad una pellicola (due se vogliamo proprio essere precisi) che va ad aggiungersi al magma indifferenziato del Marvel Cinematic Universe, in cui l'impersonale standardizzazione filmica è oramai di casa.

sabato 6 aprile 2019

Macbeth (2015)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 06/11/2017 Qui - Trasporre il Macbeth su grande schermo sconta inevitabilmente il confronto con illustri predecessori, non nomi qualsiasi, ma registi del calibro di Orson WellesAkiro Kurosawa e Roman Polanski. Per cui non facile era per Justin Kurzel, di cui da menzionare c'è oltre ad Assassin's Creed anche Snowtown (anche se entrambi non ho visto), proporre nuovamente l'ennesimo adattamento della tragedia "maledetta" di Shakespeare, forse il più terribile e compiuto apologo mai scritto sull'intreccio tra ambizione umana e destino. Ma non può bastare questo per giustificare un lavoro, almeno personalmente, così deludente. Perché in Macbeth, film del 2015 diretto dal regista australiano, egli punta molto, forse troppo sull'aspetto visivo, attraverso una ricerca estetica ai limiti dell'esasperante. Tanto che seppur Kurzel mette in scena con suggestivi accorgimenti estetici e rispetto del testo questa nuova trasposizione, lo fa però senza coinvolgere nelle emozioni lo spettatore, in mancanza di una vera scintilla creativa. Anche perché egli decide di riportare fedelmente sul grande schermo l'intera storia, conservando nella loro interezza (e complessità linguistica) i dialoghi shakespeariani. Infatti il contributo originale di Kurzel si limita alla messinscena (in una Scozia selvaggia e brulla a metà fra Braveheart e la Grecia arcaica di 300), per il resto l'adattamento è talmente fedele e ossequioso rispetto al testo di Shakespeare da risultare convenzionale.

venerdì 15 marzo 2019

Operazione U.N.C.L.E. (2015)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 29/06/2017 Qui - Dopo un inizio interessante, dopo un clamoroso flop ai tempi della relazione con Madonna e dopo essersi moderatamente ripreso ecco ritrovare il regista Guy Ritchie sui territori dello spy-movie, il genere a lui più congeniale, specie se condito di abbondante humor e un pizzico di glamour (successe col trittico ben fatto di Lock & Stock, Snatch, Rocknrolla). E di glamour e fashion ce n'è da vendere in Operazione U.N.C.L.E. (The Man from U.N.C.L.E.), film del 2015 diretto e co-sceneggiato dal regista, remake vintage di un celebre vecchio telefilm incentrato sulla strana e forzosa alleanza che unisce, di malavoglia e per necessità superiori, due investigatori segreti di gran classe e charme, uno americano, di nome Solo (Henry Cavill), moro, ex ladro abilissimo acciuffato anzitempo ed incastrato a collaborare con la CIA, l'altro, Kuryakin (Armie Hammer), un biondo russo glaciale e riservato, efficiente e di poca favella, in pratica l'esatto opposto del precedente. In un clima di guerra fredda tipico dei complottistici anni Sessanta, quando un muro invalicabile divideva una delle più grandi città europee, ed una nazione forzatamente smembrata in due, quando la differenza tra Occidente ed Oriente costituiva realmente una variabile legata non solo ai limiti geografici, bensì a quelli vincolati alle libertà di pensiero ed azione, ecco i due professionisti impegnati dapprima a cercare di eliminarsi, poi costretti a collaborare per sventare una minaccia terroristica legata a missili nucleari che una micidiale organizzazione terroristica si appresta a far brillare. Tra i due elegantoni, stili diversi, opposti, ma ugualmente ricercati, naturalmente una donna, la figlia tosta (oltre che bellissima, dopotutto è interpretata da Alicia Vikander) di uno scienziato, costretta al di là della cortina di Berlino Est nei falsi panni di un meccanico dalle innegabili potenzialità. E quindi tra rivalità bonarie o meno ed anche aiuti reciproci si troveranno così ad affrontare numerose avventure in svariate città dell'Europa (Berlino, Roma, etc) sino, ovviamente, alla piena risoluzione, con ovviamente esito positivo, del caso.