martedì 30 aprile 2019

Scappa: Get Out (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 03/08/2018 Qui - Il 23 gennaio, all'annuncio delle nomination degli Oscar 2018, un nome su tutti balzò all'occhio con grande sorpresa ed incredulità, era quello di Scappa: Get Out, prodotto (secondo alcuni estimatori) dal Re Mida dell'horror indipendente Jason Blum (e la sua casa di produzione Blumhouse) e scritto e diretto dall'esordiente Jordan Peele. Personalmente infatti proprio non capivo come avesse fatto questo film (un ibrido con elementi del thriller psicologico, della commedia nera, della fantascienza e dell'horror), alquanto prevedibile dal trailer e non proprio originale nella trama (appunto questo Get Out da noi tradotto semplicemente con la parola scappa, che è il percorso che dovrà fare il nostro povero sciocco e innamorato ragazzo di colore in una giornata che già sembrava andare nel verso sbagliato per lui e la sua mente) a ricevere quattro candidature, compresa quella cruciale di Miglior Film. Per questo non posso perciò non rivelare che questo lungometraggio lo aspettavo da molto tempo e con ansia, e non solo perché sono un amante del thriller che questi anni ci ha regalato delle perle di rara bellezza e tensione, come lo sono stati The Invitation del 2015 e Man in the Dark del 2016, non dimenticando It Follows, opera seconda di David Robert Mitchell, ma proprio per capire il perché di questo successo, il perché di queste candidature e il perché dei premi vinti. Non riuscivo insomma a trovare risposta, ma la risposta c'è, ed è negli scorrevolissimi cento minuti di Get Out, che dopo un primo atto di tensione e di presagi ed un secondo di pura suspense disseminata tanto di indizi validi quanto di volutamente fuorvianti, rivela con un twist ingegnoso la sua vera natura: quella di un horror cristallino, mix di terrori terreni e paranormali, ironico ma tremendamente diabolico e strettamente aderente al cinema di "mezzanotte". Un film che riesce ad intrigare e intrattenere grazie ad un ritmo straniante, a dei dialoghi arguti e intelligenti e ad un'ottima costruzione narrativa della tensione. Questo film del 2017 è infatti, dopo averlo visto, il thriller psicologico-horror (poiché pur avendo gli stilemi dell'horror e alcune scene che lo ratificano come appartenente a pieno titolo al genere, è la psicologia che regge tutto il gioco rendendo ogni scena importante e portatrice di un proprio senso esclusivo) che non ti aspetti.
Perché certo, la narrazione di Get Out è abbastanza lineare una volta che si comprende dove stia andando la storia, ma arrivarci è il vero divertimento. Infatti, l'originalità della pellicola (e quindi il successo di pubblico e critica) non va ricercata nella sua prevedibilità, ma nel modo in cui il racconto si snoda (imprevedibile) e nel modo (scontato) in cui il suddetto si conclude, ovvero nell'apoteosi del piacere. Ecco, prevedibile è quindi la parola chiave, dopotutto nella storia di un giovane afro-americano che fa visita alla tenuta di famiglia della sua fidanzata bianca, famiglia che sembra anche troppo accomodante nei suoi confronti, è chiaro che qualcosa non torni, ma forse si tratta soltanto di paranoia razziale. Ma trattandosi di un horror psicologico (con alcuni elementi più leggeri da commedia dark), pertanto gli spettatori sanno bene che i sospetti del protagonista sono probabilmente fondati, mentre gli indizi e gli insoliti avvenimenti continuano ad accumularsi (il padre è un chirurgo, la madre una psichiatra esperta), ma non scopriamo esattamente cosa stia veramente accadendo fino all'ultimo atto, e questo gioco delle supposizioni (e le risposte che arriveranno) fanno parte della forza del film. Un film in cui la la quiete non dura a lungo, perché poi il regista (tramite tensioni razziali ed evocazioni horror) inizia (dopo il classico e perfetto quadretto familiare) a iniettarci le prime dosi d'ansia: c'è dell'inquietudine in questa casa, nei loro servi afro, nel papà che cerca di giustificarsi, nella mamma esperta di ipnosi, e nel fratello che si presenta a cena ubriaco. Esattamente come il protagonista, ci guardiamo intorno e cerchiamo di captare cosa stia succedendo, facendoci diverse domande che non possono ancora trovare risposta. Scappa: Get Out si muove così, come un serpente che non ti ammazza subito, ma che prima si diverte a girarti intorno per preparare il terreno e annusare il piatto con gusto. Ne sentiamo il sibilo ma ancora non lo vediamo, e a manifestarsi sono delle tracce di irrequieto timore che si allargano di scena in scena, prima dell'inevitabile attacco. E la cosa bella di Get Out è che quando pensi di aver finalmente capito la situazione, poi la storia devia verso territori ancora più inaspettati, folli e WTF: più che a un teen horror, infatti, il film finisce invece per assomigliare maggiormente a un'estensione cinematografica di Black Mirror tanto spassosa quanto carica di suggestioni.
E quindi il film diretto dal comico Jordan Peele e interpretato da Daniel KaluuyaAllison WilliamsCatherine Keener, si rivela una bella scoperta. Giacché la pellicola, che come detto contiene elementi provenienti da diversi generi cinematografici: dramma, inquietudine, black humor (il che colpisce se si pensa che il progetto ha come tema di forte richiamo il razzismo) e commedia, si riveli essere per questo un mix perfetto per un film ben riuscito, che mette in risalto gli stereotipi relativi alla condizione dei neri di un tempo, ma che spesso ritroviamo anche nella società odierna. Parliamo degli anni in cui questi ultimi venivano usati prevalentemente come "operatori domestici", se non come schiavi personali, e le persone di colore venivano discriminate nei modi più assurdi in quanto tali. Attenzione però, perché il razzismo è solo il pretesto, pretesto che viene inizialmente aggirato, facendosi ipocrisia e, fuor di metafora, diventando l'assurda follia visionaria di una cittadina di bianchi agiati e piuttosto in avanti con l'età. Certo, alla fine dei giochi, tale ipocrisia si mostra nuovamente per quello che è realmente, cioè razzismo, ma intanto il film ci consegna il proprio messaggio "drammaticamente", tramite una storia che spaventa e diverte per comunicare, anche se, a dirla tutta, sorprende un po' poco. Sorprende perché gli aspetti razziali della vicenda sono in verità ciò che rende la pellicola così efficace: senza questi infatti ci troveremmo semplicemente di fronte all'ennesimo film in cui una famiglia apparentemente perfetta o dove una comunità dei sobborghi molto unita cela impensabili misteri sotto la superficie. Ma il conflitto razziale non è un mero espediente di exploitation: il colore della pelle di Chris è parte integrante della trama. Occorre ricordare che di questi tempi affidare il ruolo da protagonista a un attore di colore vittima di un gruppo di bianchi avrebbe potuto rivelarsi qualcosa di esplosivo, ma il fatto che Jordan Peele sia nero aggiunge un ulteriore livello di credibilità al film e aiuta a deviare le possibili accuse. Piuttosto che essere insolente o cercare il conflitto, Get Out è sorprendentemente apolitico e non bombarda lo spettatore con allegorie razziali o pesanti caricature.
I genitori di Rose non sono infatti i soliti vecchi bianchi razzisti stereotipati: sono intellettuali ricchi e liberali che (stando alle parole del capofamiglia) avrebbero votato per Barack Obama una terza volta se avessero potuto. Per la gran parte del film poi, la loro cortesia e l'ospitalità non suonano forzate ma genuine, anche se un po' enfatico, un comportamento che rende ciò che accade nel terzo atto molto più credibile e inquietante. Il colpo di scena, se così si vuole chiamare, è efficace perché perfettamente integrato nella logica di quanto si è visto in precedenza. I cattivi hanno un motivo molto buono (e contorto) per il loro comportamento e sono molto civili e professionali a riguardo. Non diversamente dai "tedeschi buoni" durante il periodo nazista, pensano di agire in favore di un bene più grande (a questo proposito provate a ricordare la storia narrata da Dean all'inizio, quando racconta a Chris la sua ammirazione per Jesse Owens alle Olimpiadi di Berlino del 1936, dove anche suo padre aveva gareggiato). Parlando dello svolgimento, è stato veramente ben costruito, con saggezza e voglia di mettere in scena un teatrino veramente suggestivo e teso, cose che lo elevano ad altri lavori realizzati in questi anni, c'è da dire anche che questa pellicola ha delle similitudini con altre pellicole del genere sia più recenti che meno, come ad esempio lo svolgimento iniziale che ricorda moltissimo appunto The Invitation, ma che negli ultimi venti minuti abbondanti rimanda il film The Skeleton Key del 2005 (che tuttavia non ho tanto apprezzato), di cui trova somiglianze nel modo in cui è stato strutturato il mistero che si cela dietro a quella villa così lussureggiante e sfavillante, quanto oscura e misteriosa, ma non nello stesso identico modo però, si perché qui gli avvenimenti sono ancor più sconvolgenti. In tal senso è bene mettere subito in chiaro che scene prettamente horror non se ne vedono (d'altronde non proprio spaventosa è la piega surreale che prenderà l'horror), ma il ritmo incalzante, la costruzione degli ambienti, le tecniche di ripresa (primi piani e inquadrature ben impostate che riescono a mettere suspense nello spettatore) e una fotografia nitida (composta da tonalità prevalentemente scure), mettono nello spettatore una grande carica di tensione.
Contribuiscono alla riuscita di Scappa: Get Out battute mirate, anche se talvolta banali, molte delle quali hanno lo scopo di alleggerire l'ansia accumulata. D'altronde è giusto ricordare che il regista è nato come comico, quindi un po' di sano umorismo è bene che sia presente (in tal senso proprio simpatico è Lil Rel Howery, nei panni dell'amico, che capisce già i pericoli dietro l'angolo, tentando disperatamente di avvertire Chris). Ed è proprio questa impronta comica che rende la pellicola originale, perché con essa Jordan Peele (che è riuscito nell'impresa di vincere l'Oscar per la migliore sceneggiatura originale) dimostra che un thriller può risultare convincente pur avendo in sé elementi che poco si addicono al genere di appartenenza. Non mancano inoltre, e come già anticipato, colpi di scena ben congegnati e in grado di creare una buona dose di suspense nel pubblico: cosa succederà adesso? Chi è consapevole della situazione? Di chi si può fidare? Sono tutte domande a cui lo spettatore tenterà di dare risposte nel corso del film, le stesse che poi si riveleranno inesatte perché Scappa: Get Out è spesso imprevedibile, soprattutto nel finale. E in una pellicola dove nulla è come sembra, a farla da padrone è la grande forza espressiva degli attori secondari, nonostante l'esordiente Daniel Kaluuya sia perfettamente in parte, egli che aiutato dall'interessante e puntuale regia di Jordan Peele, recita in maniera naturale e credibile (non tale da vincere però l'Oscar), facendo percepire allo spettatore tutto il turbamento, la paura e la rabbia provata dal personaggio nel corso della storia. Il più delle volte, infatti, a mettere ansia sono le espressioni facciali degli interpreti (un cast di volti semi-conosciuti, da Allison Williams, al suo esordio al cinema dopo parecchie produzioni televisive a Stephen Root, noto caratterista, da Caleb Landry Jones, il bravo interprete del bell'horror Byzantium, a Catherine Keener, anch'essa nota caratterista), insieme al loro timbro di voce e ai loro sguardi che spesso appaiono assenti e vuoti. Il lato satirico del film è infatti affidato a loro e non mancano di puntellarlo efficacemente, ognuno con il proprio contributo: il fidanzato sospettoso, i domestici inquietanti, la ragazza dolce, i genitori ambigui, il fratello sregolato, l'amico chiacchierone. Il mosaico è armonico e ben funzionante.
Ma non è tutto, la pellicola merita di essere vista anche per la colonna sonora fresca e accattivante, che mette in luce i momenti più intensi. Momenti da non rivelare, poiché la trama va scoperta di volta in volta, regalandoci così un sano e teso spettacolo di intrattenimento, facendo mettere in moto anche i nostri neuroni nel decifrare il mistero che si cela dietro a tutto quello che andremo a vedere, in poche parole un ottimo esempio di thriller horror psicologico non scontato e da vedere sempre con gli occhi sbarrati (come quelli del protagonista). A tal proposito un appunto, ovvero che forse l'opera avrebbe dovuto osare di più sul versante violenza (tutte le scene più cruente sono celate fuori campo, non si sa se per libera scelta o per imposizioni del mercato), e non lo dico perché sono un maniaco del gore, ma perché avrebbe decisamente aggiunto tanto di più all'impatto emotivo e al delirante "mood". L'impressione, insomma, è che in questo caso il regista (che non a caso e giustamente non ha vinto l'Oscar per la miglior regia) abbia avuto paura di sporcarsi le mani, rifiutando di azzannare con aggressività nonostante più situazioni lo richiedano. Tuttavia gran bel lavoro, che altresì ironicamente diverte. E in tal senso quindi non sorprende che in America, dove la satira (una satira insolita, amara e dissacratoria al bigottismo e alla falsa tolleranza di un'America periferica ancora lontana da quegli ideali di fratellanza e uguaglianza di cui tanto si fa vanto, purtroppo confermata anche dai recenti e frequenti episodi di razzismo e terrorismo) di questo film è peraltro ancora più attuale ed efficace, Scappa: Get Out abbia riscosso un grande successo di pubblico e critica. È effettivamente, pur senza far gridare all'eccezionalità, un prodotto originale e ben riuscito, che mischia generi diversi senza difettare in alcuno degli ambiti che affronta. Gli Jumpscare sonori e l'ansia visiva sono figli di un'abile regia d'esordio, e benché la pellicola non terrorizzi né sconvolga mai (forse il paio di critiche imputabili più rilevante) sa raccontare, convincere e persino divertire, anche con il merito del cast. Imperfetto, a tratti un po' troppo supponente e surreale, ma sicuramente un prodotto che si distingue dalla massa. Un prodotto seducente e astuto (non privo di difetti) che fa veramente sperare il meglio per il futuro low-budget del genere. Un prodotto in cui non c'è bisogno di stare attenti ai messaggi sottostanti per godersi il lungometraggio, ma sono lì in bella vista e sorprendentemente efficaci. C'erano grandi aspettative, e devo dire che sono state soddisfatte, grazie all'onnipresente e malsana atmosfera di mistero e la capacità di non annoiare, anche se poi la candidatura al miglior film mi sembra adesso esser stata, nonostante in definitiva questo film mi sia piaciuto tanto, un'esagerazione. Voto: 7,5