sabato 1 giugno 2019

Sharknado 5: Global Swarming (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 06/08/2018 Qui - Dopo la chiusura del canale Sci-fi della ormai defunta AXN, avevo poche speranze di recuperare (stessa cosa dicasi per la quarta stagione di Z NationSharknado 5, poi un giorno senza saperlo (verso metà luglio) è approdato su DMAX (e in tal senso spero che prima o poi l'ultima stagione della serie sugli zombie approderà anch'essa in Italia), perciò mi sono messo comodo, ho spento il cervello e l'ho finalmente visto. Perché dopo aver visto e commentato tutti i precedenti capitoli (qui la recensione del quarto) l'attesa per il quinto capitolo era un qualcosa di difficilmente quantificabile, anche se non come per il quarto. L'attesa per quello che è ormai considerato appuntamento fisso (di ogni cultore del trash) dell'estate non solo americano dal 2013, è proprio in questo periodo infatti che la saga di Sharknado si arricchisce di un nuovo tassello della propria, personalissima, mitologia. Il punto più alto mai toccato dalla Asylum, capace di dar vita ad un franchise capace di diventare virale ed emergere nella svariata lista di produzioni coeve della casa di produzione americana grazie ad un'idea di cinema di serie z tutto indirizzato su una spiccata, e irresistibile, esagerazione e su una vena citazionista sempre più marcata. Dopo il primo capitolo, sicuramente il più debole e acerbo (ma tuttavia il meno peggio tecnicamente e narrativamente, e certamente il più geniale perché i sequel sono solo seguiti della genialità protesa col primo), la serie si è avviata verso un crescendo, sempre ovviamente rivolto ad un ridicolo "sense of wonder", che si è ulteriormente evoluta (in attesa forse a giorni del sesto capitolo) con Sharknado 5: Global swarming, film del 2017 e quinto capitolo (capitolo che dà a chi ancora segue la saga quello che si aspetta, astenersi quindi tutti gli altri) della saga sugli squali volanti più famosi al mondo. Saga fantascientifica e demenziale che supera se stessa in trovate folli e fantasiose. Il quinto episodio della saga sfiora infatti vette di follia inarrivabili: il fantasioso sceneggiatore Thunder Levin e il regista Anthony C. Ferrante (rei di tutti i capitoli) dimostrano difatti di potersi inventare situazioni ancora più assurde (e di questi tempi creare qualcosa che non si è mai visto è praticamente impossibile, per cui un complimento è doveroso).
Non a caso con un inizio che cita al contempo Mission: Impossible e la saga di Indiana Jones quest'ultimo capitolo mette da subito le carte in chiaro, riproponendosi come irresistibile avventura citazionista in cui si spinge l'acceleratore sul puro, autoironico, delirio narrativo (dopotutto al di là della trama che è solo un canovaccio buttato lì per mettere in scena ogni tipo di divertentissima scelleratezza, ciò che ormai è diventata la cifra stilistica della saga di Sharknado è altro, easter eggs, citazioni cinematografiche e camei a non finire di cui quest'ultimo capitolo è zeppo, ma vedremo dopo). Con tanto di profezie e antiche pitture rupestri rappresentanti tornado di squali risalenti già all'era preistorica, Sharknado 5 infatti osa oltre l'immaginabile tirando in ballo, letteralmente, sacro e profano. A tal proposito non serve svelare come o perché l'impavido surfista Fin (Ian Ziering) e sua moglie April (Tara Reid) comincino a saltare da una parte all'altra del globo in un tour de force frenetico che lascia ben poco tempo per riflettere sulle assurdità che si susseguono alla ricerca del figlio scomparso, e alla salvezza, con l'aiuto delle "Sorelle Sharknado", una setta di bonazze guerriere ed ipertecnologiche (tipo uno SHIELD anti-squali a cui a capo c'è la bonazza numero uno Cassie Scerbo, che seppur si conferma cagna a recitare, non importa perché il costume alla Wonder Woman versione Gal Gadot che indossa verso la fine è da urlo), di un mondo la cui arma definitiva sembra essere un amuleto druidico capace di imprigionare l'ira e la forza devastanti dell'antichissimo dio squalo (conosciuto anche dagli antichi egizi), trascinando regolarmente con sé la catastrofe sulle zone che si ritrovano a visitare. Difatti sulla scia del terzo e del quarto episodio il ritmo mantiene livelli altissimi, con gli eventi che si susseguono in serie senza un attimo di tregua, tra tornado che continuano a formarsi e vengono usati come improbabili mezzi di trasporto dai protagonisti, in un espediente assurdo ma altamente funzionale che permette alla storia di far tappa in diversi angoli del globo: da Londra (al cospetto di chi potete ben immaginare) alla Svizzera, dal Giappone (con gustoso rimando ai kaiju-eiga) all'Australia, dal mar della Cina a Roma (con tanto di omaggio alla fontana di Trevi e non solo, il Vaticano e Pisa vi dicono niente?), la varietà ambientale è garantita proponendo situazioni sempre diverse che flirtano con gli stereotipi territoriali e con i monumenti più rappresentativi di ogni singolo Paese.
Come detto, la cifra stilistica è rimasta la stessa, d'altronde The Asylum ha fatto della citazione (che spesso tuttavia scade nel plagio) una forma d'arte, tanto che non si contano le volte che Fin, la cui arma privilegiata è una sega elettrica, evoca il leggendario Ash ti sfascia. Mentre tra i vari personaggi secondari comparenti nei novanta minuti di visione troviamo un'infinita di star più o meno famose alle prese con citazioni davvero geniali, da un modello italiano (Fabio) nella parte più folle (quella italiana/cattolica per eccellenza), da Olivia Newton-John a Tony Hawk (in una doppia occasione), da Bai Ling (intenta a gettare sfere Poké verso un ammasso di bestie) a Bret Michaels (cantante e leader dei leggendari Poison nella citazione più straordinaria), e ovviamente tanti altri, tra cui una apparizione (la scena e la citazione, piaciuta anche più di quelle a Indiana Jones) che mi ha lasciato veramente di stucco, realmente inaspettata e sorprendente (senza andare a svelare chi). Insomma un turbinio di situazioni e personaggi davvero assurdi in un film dove i titoli di testa animati (dopo 20 minuti dall'inizio) sono anch'essi folli, e quindi eccezionali. L'unico, vero, grosso problema è Tara Reid. Non è un segreto che la sua presenza nella saga sia sempre stata in gran parte limitata a starsene in un angolo in attesa di grandi momenti che corrispondevano quasi sempre al passare la motosega a Ian Ziering, il vero eroe, ma i segni della chirurgia estetica, l'essere conciata con abiti e capigliature totalmente insensate e soprattutto la sua totale incapacità espressiva persino nell'urlare (cosa che qui deve fare parecchie volte) la rendono davvero fuori luogo persino per un prodotto senza troppe pretese, il che comunque la dice lunga (su di lei e sul resto). Incredibile a dirsi. Ma nonostante ciò, ricco di scene (s)cult, con un'improvvisata fuga sugli sci durante una valanga, e relativo massacro di pescecani in atto, accompagnata dalle esaltanti note di The kids aren't alright degli Offspring tra i momenti più riusciti, l'operazione fa il suo dovere per l'ennesima volta e, cosa più importante, non si adagia eccessivamente sui suoi topoi evitando il rischio fotocopia. Certo, forse le idee cominciano un po' a mancare, le deviazioni sempre più evidenti verso la fantascienza spinta non so quanto mi aggradano, alcune fasi (verso la metà in particolare) di lieve noia si fanno indubbiamente sentire e mi verrebbe da pensare ad una conclusione della faccenda prima che sia troppo tardi, ma la citazione finale (del finale post apocalittico e non solo), che lascia presagire un degno finale oppure un intrigante reboot, che già ci catapulta verso Sharknado 6, non lasciano scampo. Ovvio e scontato non vedo l'ora.
Certo, la regia di Anthony C. Ferrante fa un passo indietro con un montaggio pessimo, inquadrature amatoriali e capacità recitative (ancora più) nulle, la pellicola in verità non fa sbellicare dalle risate, anche se come tutti gli altri film della serie, non si prende minimamente sul serio, e a parte Nova il comparto sexy non è poi nel complesso eccezionale, ma è grazie alla violenza (nella misura però in cui lo sono le gag splatter, d'altronde il tutto è ulteriormente edulcorato dalla pessima realizzazione visiva, che non rende credibile mezza scena) e al ritmo (indiavolato con scene folli e trovate divertenti), che è quello che in verità salva il film (e dopotutto lo guardi solo per questo motivo, oltre che per un innato masochismo), che la saga continua a reggere bene anche dopo cinque capitoli. E in tal senso c'è poco altro da aggiungere su Sharknado 5, perché anche per questo quinto capitolo (comunque degno proseguimento di un franchise che non finisce mai di stupire) vale quanto è già stato detto per i film precedenti, è realizzato male (veramente male) e si basa tutto sulle folli trovate che di volta in volta vengono spiattellate a video, alzando sempre più l'asticella delle assurdità. Tuttavia proprio per questo che esso garantisce risate in serie nei suoi novanta minuti di visione. Visione che ovviamente consiglio ai fan, anche perché già so che al 99% delle persone questi film non potranno mai piacere, e io nemmeno mi sogno di provare, anche solo per un istante, a convincerli del contrario (e in tal senso per loro meglio evitare e meglio che evitino pure di dire che è una cagata pazzesca, è superfluo dirlo, si sa già, inutile dopotutto giudicarlo fuori dal suo contesto di riferimento, quello in questo caso di un puro e straripante nonsense da birra e poltrona). E quindi al restante 1% che già conosce di cosa sto parlando e che, per un motivo o l'altro, ancora non l'ha visto, posso certamente dire che tra vecchi personaggi, principali e secondari, che fanno il loro ritorno e cammei d'eccezione (l'ultimo farà la gioia di tutti gli appassionati di action movie) l'operazione vince e convince, tanto che, seppur Sharknado 5 dimostra una stanchezza di fondo che è pure normale quando inizi a raschiare il fondo del barile delle idee (cazzate ce ne sono, alcune perfino geniali, ma certe scene rasentano lo sconforto più totale), esso mantiene quello che promette, divertimento sfrenato e folle. Non resta quindi che collocare quest'ultimo rispetto agli altri, e perciò fermo restando che al momento il migliore resta il primo seguito dal secondo, dal terzo e dal quarto, il 5 mi è piaciuto sicuramente più del quarto. La mancanza di David Hasselhoff, mattatore del terzo, si sente ma tutto sommato ha già detto tutto quello doveva dire e a me va bene così. E per fortuna che arriva quell'eccezionale epilogo, perché senza, sono sincero, il film avrebbe preso mezzo voto in meno. Ma grazie a ciò la sufficienza "politica" è garantita e il film si fa tranquillamente apprezzare. Voto: 6+