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venerdì 31 maggio 2024

Rebel Moon - Parte 1: Figlia del fuoco (2023)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/05/2024 Qui - La saga fantasy di Zack Snyder, divisa in due parti, si ispira ampiamente, sia visivamente che narrativamente, alle Guerre stellari di George Lucas, includendo alcuni elementi che superano la mera ispirazione. Nonostante questa marcata derivazione, il film risulta piacevole, con un ritmo sostenuto, ambientazioni affascinanti e personaggi memorabili, anche se alcuni risultano poco definiti e inseriti casualmente. Il make-up è efficace, mentre gli effetti speciali sono meno convincenti (a volte poco credibili), la fotografia è notevole, le scene d'azione sono ben orchestrate e il casting è molto azzeccato, con una brillante Sofia Boutella (però l'uso del rallenty è discutibile). Nel complesso non è male, grazie anche a un'epicità ben calibrata, con la speranza che la seconda parte sia ancora più coinvolgente. Voto: 6 [Netflix]

lunedì 3 maggio 2021

Antebellum (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 03/05/2021 Qui - La classificazione horror è un po' ingannevole, a meno che non s'intenda l'orrore del persistere nella nostra società di mali atavici come il razzismo. Su tutto ciò ruota questo strano film, una sorta di social-thriller con sfumature da fantascienza (ma neanche troppo), che mescola passato e presente. Il consiglio è di approcciarsi alla visione sapendo poco o nulla della trama, per lasciarsi sorprendere dagli eventi e dalla crescente tensione. L'abilità dei registi (Gerard Bush e Christopher Renz) è quella di fornire certezze per poi sistematicamente smontarle attraverso piccoli particolari. E quando si riesce a comprendere quanto sta accadendo si rimane affascinati da come sia stata strutturata l'opera. Al netto di certe incongruenze e di alcuni difetti (tipo quando eccede nell'enfasi di alcune sequenze), è un lavoro tosto e avvincente, che non disdegna di lanciare messaggi (feroci e allo stesso tempo inquietanti) e denunciare soprusi, di ieri e di oggi. Un thriller che ti entra dentro marchiandoti a fuoco. Buona prova di Janelle Monáe, e di tutti gli altri attori coinvolti. Voto: 6,5

sabato 1 giugno 2019

Animali notturni (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 01/08/2018 Qui - Personalmente non amo questi tipi di film sofisticati, criptici, che durante ma soprattutto a fine visione lasciano parecchi punti interrogativi senza una risposta sicura. Ve ne sarete forse accorti di ciò da alcune mie recensioni, da alcuni giudizi a certe pellicole simili (anche se non per tutti i suddetti casi). Sia chiaro però, Animali notturni (Nocturnal Animals), film drammatico e neo-noir del 2016 scritto, diretto e co-prodotto da Tom Ford (basato sul romanzo del 1993 di Austin Wright Tony & Susan), è un film solido, ma non è un grande film. Infatti questa pellicola, che mi ha lasciato abbastanza perplesso, anche perché pensavo meglio, vista la miriade di osanna ricevuti a destra e a manca, è una pellicola molto pretenziosa che cerca di mettere in scena, con un doppio livello narrativo, il tema della vendetta e dell'abbandono, inseguendo costantemente una profondità, in ciò che vuole narrare e veicolare, che però mai raggiunge. E in tal senso l'opera seconda del regista/stilista dopo A Single Man non pecca nel tema, sempre meritevole di interesse, ovvero le cicatrici, dolenti ancora dopo anni, causate da rapporti sentimentali finiti male, bensì nella struttura (un racconto-cornice da dramma sentimentale che racchiude come narrazione di secondo livello un revenge movie nel profondo West, con atmosfere alla Killer Joe o Non è un paese per vecchi), potenzialmente intrigante ma non priva di difetti, e nel legame troppo strombazzato tra i due livelli narrativi. L'impressione è difatti che la montagna abbia partorito il topolino: costruzione diegetica ambiziosa, grande fotografia, attori in grande spolvero, intensità dialogica, cura certosina nella messa in scena, quello che manca sono storie interessanti, approfondite, che non sappiano di già visto e stravisto. In questo senso, le due parti di cui è composta l'opera, quella reale su Susan e quella romanzesca su Tony e l'indagine del detective, vanno a pescare da bacini tematici particolarmente frequentati nel cinema hollywoodiano: la ricca donna infelice, il crimine e la violenza in scenari desolati. Non a caso la pellicola ci racconta della vita di una gallerista che va in crisi quando riceve un manoscritto da parte del suo ex-marito, la cui storia sembra essere una inquietante metafora del loro rapporto di coppia.

martedì 9 aprile 2019

Vizio di forma (2014)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 01/12/2017 Qui - La settima fatica (e il suo terzultimo film prima del documentario Junun e del nuovo film in uscita l'anno prossimo in Italia) del quarantasettenne Paul Thomas Anderson è la prima pellicola mai tratta da un libro di Thomas Pynchon, l'omonimo Vizio di forma, ed è un film bello e (o ma?) complesso, pienamente nell'ormai riconoscibile, tanto venerato da alcuni quanto disprezzato da altri, stile del regista statunitense. Egli è infatti famoso per la coralità dei suoi film, e questo non è da meno, la pellicola è colma di personaggi, tutti funzionali alla costruzione del quadro di un'epoca, quella dell'America anni '70, rappresentata con un pizzico di nostalgia e devozione. Ne esce un paese a due facce, da una parte lo Stato che va in Cambogia a controllare il traffico di droga, i suoi funzionari (i poliziotti) intolleranti e ottusi e la borghesia bene (i dentisti) con i suoi vizi privati e pubbliche virtù, dall'altra quei ragazzi che non si riconoscevano in quel tipo di paese, gli hippy appunto, che per evadere sperimentavano droghe e che predicavano l'amore. Le prime tre categorie sono rimaste, la quarta no, e con questo il regista vuole avanzare anche una riflessione sull'America di oggi, un paese che "ha perso la sua innocenza" e lo ha fatto proprio a cavallo di quegli anni, quando Charles Manson (deceduto pochi giorni fa) commettendo i suoi delitti ha svegliato gli Stati Uniti dal quel sogno che erano stati gli anni '60. Assistiamo perciò, attraverso il personaggio principale, a questo ristagno generazionale, e seguiamo quindi una trama sotto i fumi della "maria", un (strano, quasi incomprensibile) viaggio psichedelico con visioni di un futuro prossimo aberrante ma vestito in doppiopetto. Anche perché Vizio di forma come The Master è un'opera estremamente complessa e stratificata, fin appunto dalla storia stessa ascrivibile ad un vero e proprio trip.

sabato 6 aprile 2019

The Neon Demon (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 02/11/2017 Qui - Fiaba cupa e violenta diretta con un grande stile che spesso sconfina nel manierismo dal Nicolas Winding Refn di Drive è The Neon Demon. Difficile guardare a questo film (del 2016) stratificato, citazionista, suggestivo e originale dal punto di vista visivo e disturbante in un paio di scene evitabili e di cattivo gusto, senza riandare infatti con la mente al grande film interpretato da Ryan Gosling. Tanti sono difatti i punti di contatto tra Drive e The Neon Demon, a partire dallo stile, riconoscibilissimo ormai, fatto di atmosfere sospese, un'illuminazione suggestiva, un'attenzione maniacale alla messa in scena. Peccato che dal film del 2011, quest'ultimo lavoro si discosta per una  minor coerenza narrativa e una minor efficacia dei personaggi. Perché anche se visivamente è molto ben fatto, psichedelico, artistico in alcuni momenti, con una fotografia alquanto pregevole, ha una trama un po' piatta, con dialoghi abbastanza (troppo) banali, tanto da annoiare presto. Sì c'è questo finale abbastanza inaspettato, disturbante, anomalo che è quello che giustifica l'etichetta di film horror (anche se di horror in generale c'è ben poco, l'avrei più definito un thriller cupo), ma prima del finale la storia non è nient'altro che quella della classica giovane campagnola dalla bellezza diafana che entra nel mondo della moda, fatto di apparenze, finzioni, invidie e manie, e incredibilmente si scopre essere in possesso della bellezza più fulgida in circolazione facendo rapidamente breccia nel jet-set. Il film racconta tutti i cliché del caso, trasmette questo senso di plastico, finto, vuoto di un certo mondo dello spettacolo, facendoci scattare sempre il solito interrogativo, è il film che vuole trasmettere il senso di vuoto del mondo della moda, oppure è proprio un film vuoto di contenuti. Difficile rispondere. Purtroppo in genere quando ci si pone questa domanda significa che si è visto un film piuttosto sterile e poco umano, volere o no del regista, posso apprezzare la parte visiva ma trovo stucchevole tutto il resto.

sabato 23 febbraio 2019

Hunger Games: Il canto della rivolta - Parte 1 (2014)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/01/2017 Qui - Il terzo episodio della saga, Hunger Games: Il canto della rivolta - Parte 1 (The Hunger Games: Mockingjay - Part 1), film del 2014 nuovamente diretto da Francis Lawrence, nonostante le premesse è davvero poca cosa, perché seppur piacevole non è all'altezza addirittura dei primi due (qui il secondo), due orette in cui (troppo) poco accade, due ore inevitabilmente vuote poiché sembra abbastanza palese che sia solo una sorta di trailer promozionale allungato per quello che verrà (che s'immagina dia fuoco alla rivolta e a un minimo di spettacolo accettabile, finalmente). La trama infatti scorre lenta quasi senza colpi di scena o cambi di ritmo, anche se finalmente ci stacchiamo un po' dalla ripetitiva e macchinosa riproposizione delle suggestioni dei "giochi" dell'arena, e guardiamo un po' cosa c'è fuori, e cosa ne è stato e ne sarà degli abitanti più umili e indifesi dopo e durante le aberrazioni perpetuate dalla dispotica Capitol City, sotto il comando del presidente Snow, che ha rapito Peeta e vuole solamente uccidere Katniss che nel frattempo è diventata suo malgrado il simbolo (La ghiandaia imitatrice, nome non propriamente d'impatto secondo me..) di una ribellione che ben presto si trasformerà in guerra. Quest'ultimo fatto è però l'unico che riesce nel suo piccolo a offrire qualche piccolo sussulto. Poiché nel tentativo di cambiare strada qualcosa finalmente si muove, cambia e muta, anche se le stesse nuove idee spacciate per originali, sono sempre identiche con situazioni stra-note, come quella delle dinamiche rivoluzionarie, della perdita degli affetti, dello spettacolo che manovra e gestisce il popolo attraverso le sue immagini eloquenti ma fallaci. Ma oltre a questo e qualche movimento di trama interessante non c'è niente, neanche nelle interpretazioni, anche se una nota di merito la merita sia Jennifer Lawrence sempre brava ma costretta a vestire i panni di un personaggio del tutto privo di ironia ancor più che nei precedenti episodi, sia al grande Philip Seymour Hoffman, che seppur nuovamente trascurato e impiegato male riesce a salvarsi. Così come Julianne Moore (che ritroveremo dopo scorrendo la lista di film anche se ugualmente non in un film eccezionale) che riesce a rendere credibile nel particolare il suo personaggio.